VIII.

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La divisa obbligatoria di quell'orfanotrofio era la cosa più oscena che avessi mai indossato in vita mia.

Non perché fosse esteticamente brutta, ma per la corta lunghezza della gonna mista al contesto in cui ci trovavamo. Per una serata in discoteca sarebbe anche stata adeguata, ma in quel caso sembrava solo essere uno degli ulteriori modi per oggettivizzare sessualmente le ragazze.

Purtroppo, come tutte, fui costretta ad indossarla, chiudendo i bottoni della camicetta bianca e indossando una finta cravatta azzurra, forse per facilitare l'inserimento come se fosse una collana e non perdere ulteriore tempo nell'allacciarla. Lisciai la gonna svasata, a scacchi e dello stesso colore della cravatta, e inserii anche la spilla con il logo dell'orfanotrofio, che altro non era se non un cerchio dorato con una riga rossa che lo tagliava a metà.

Sembrava fosse fatto appositamente, per ricordare il significato del nome di quel posto crudele.

Indossai anche delle calze lunghe, anch'esse bianche, e una giacca del solito medesimo colore: azzurro chiaro. Le scarpe, per fortuna, erano a libera scelta e per questo portavo dei semplici sneakers. Un tempo, forse, avrei indossato dei tacchi. Un tempo ero più me di quanto non fossi ora.

Scesi velocemente le scale, visto che ero dovuta tornare su a causa della mia divisa arrivata in ritardo e a causa di questo avevo dovuto fare colazione in mensa con mille occhi puntati addosso, per dirigermi in aula, sperando di trovare quella giusta. Honey e Ximena mi aspettavano già lì, per fortuna avevamo tutte la stessa età almeno secondo i nostri falsi documenti. Peccato che quello significava condividere la classe anche con Dantalian.

Quando entrai in classe, neanche se l'avessi chiamato, alzò la testa di scatto. Era l'unico presente all'interno, seduto comodamente sulla sedia, con i piedi appoggiati sul banco di legno chiaro e il telefono in mano, come se fosse il comportamento più normale da assumere in classe. Mi chiesi che tipo di problemi lo affliggessero e perché gli era così difficile comportarsi bene.

Lo fissai storto. «Perché ci sei solo tu?».

«Perché sono rimasti gli unici di cui ti importa davvero». Ironizzò.

Storsi il naso. «Allora tu sei l'ultimo della lista a dover essere qui».

«Mi rincuora sapere che almeno ci sono...». Si alzò lentamente, con quel suo solito passo felino, e mi venne vicino. «Ad ogni modo, oggi abbiamo la rara fortuna che di solito quando ci vede scappa via. Niente lezioni oggi, il professore della nostra classe è rimasto imbottigliato nel traffico e non arriverà in tempo».

«Addirittura? Perché, non abita qui vicino?».

Scosse la testa. «Tutti i professori di questo orfanotrofio vengono da altre città, perché sono amici di Denholm. Sai com'è...». Abbassò la voce di qualche tono.

Annuii. «Bene, più tempo libero per esplorare questo posto». Mi diressi verso la porta, ma mi fermai quando sentii la sua replica.

«Non fare casini». Ringhiò. «Qui c'è più mistero di quello che credi e io so quanto tu sia attratta dai problemi».

Mi irrigidii. «Sei sempre stato solo tu, fino ad ora, a creare casini».

Tornai a camminare lungo il corridoio, pieno di vociferi e frastuoni a causa della campanella di fine lezione appena scattata, che segnava l'inizio della materia successiva. Non mi resi conto del ragazzo di fronte a me, persa nei pensieri che quella frase enigmatica di Dantalian aveva innescato, finché non mi scontrai contro il suo petto.

TecumOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz