XXXVI.

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«Prego, entrate pure». La voce bassa e decisa d Denholm mi fece venire voglia di tirarmi via la pelle a morsi, mentre ci invitava ad entrare nel suo ufficio. Si chiuse la porta alle spalle, a chiave, e si fermò dietro la sua scrivania. 

Con il dito diede un colpetto ad una pallina di metallo di un gioco, che a sua volta colpì le altre, e l'ultima, tornando indietro, colpì di nuovo la prima, creando un piccolo ciclo infinito. «Questo gioco potrebbe facilmente chiamarsi "contra e patior", ovvero "soffrire il contrario", dalla frase latina da cui nasce la parola contrappasso. Esiste una legge su questo, lo sapete?».

«La legge del contrappasso...». Lo fissai e lui mi fissò a sua volta.

Annuì lentamente. «Ad ogni reazione corrisponde...».

«...una conseguenza uguale e contraria». Mormorai. 

Myn ci osservò stranita, ma non ebbe il coraggio di dire nulla, malgrado si vedesse dalla sua espressione che non fosse a conoscenza di quella legge. 

Denholm superò la scrivania e ci si appoggiò contro a braccia conserte, allungando le gambe e incrociandole, in una posizione rilassata ma al tempo stesso intimidatoria per noi. «È la natura umana, tutti sanno che ogni minimo gesto che facciamo scaturisce una o una serie, addirittura, di reazioni uguale e contrarie. Un po' come l'effetto farfalla, no? Siamo lì. E allora io mi chiedo, a questo punto...». Mi fissò intensamente. «Se alla fine non ti piacciano queste conseguenze, Arya. Se tu non le stia cercando».

«Non so davvero di cosa lei stia parlando». Alzai il viso, mostrandomi il più possibile intimidita, ma senza perdere il coraggio caratteristico del personaggio che stavo rivestendo. Era tutto un teatro pieno di maschere, il mondo, e non era quella che decidevi di indossare a dire chi eri. Nessuno poteva mai, alla fine, sapere quando tu fossi tu. Forse perché neanche tu, alla fine, sapevi i momenti in cui eri tu. 

Inclinò la testa. «Sai perché prima del tuo arrivo regnava la paura qui dentro? Perché tutti, più o meno, sanno cosa succede quando si varca la soglia del mio ufficio».

«Li picchi come hai picchiato me? Ti sei offeso perché non mi sono piegata a te anche dopo le botte?». Non riuscii a frenare la lingua. 

Spostò lo sguardo su Myn, che era nettamente più pallida del solito e ora tremava anche in maniera incontrollata, fissando un punto in particolare della stanza. Una poltrona dall'aspetto vecchio di pelle marrone. «Myn, glielo vuoi dire tu cosa succede in quella poltrona? E cosa succede poi sulla superfice di questa scrivania su cui sono appoggiato?». 

Al fruscio della cintura che si slacciava, Myn crollò. Iniziò a singhiozzare come mai prima d'ora e mi si avvicinò inconsapevolmente, mentre lui sorrideva soddisfatto. Era soddisfatto di farle paura. Qualcuno bussò più volte alla porta e lui fu costretto a spostare lo sguardo su di essa, non contento di quella interruzione. 

«Che c'è?». Inspirò frustrato, chiudendo gli occhi. 

«Sono io, signor Cox!». Era la vecchia segretaria, che stava sempre chiusa in segreteria come se ci vivessero dei mostri in quel posto. «C'è una maxi rissa nel corridoio delle classi e neanche i professori riescono a domarla, abbiamo bisogno del suo intervento autoritario!».

Denholm si prese la base del naso fra le dita e sospirò, continuando a tenere gli occhi chiusi. «Arrivo!». Si alzò e fece scattare la serratura della porta di legno, spalancandola totalmente. Spostò lo sguardo su Myn e le percorse interamente le gambe nude. «Fuori. Va a vestirti, su di te posso sorvolare, non combini casini da tanto». 

TecumTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang