XXXVII.

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Ero diventata brava a mentire ormai. Sembrava quasi che gli angoli della mia bocca si sollevassero da soli, che i miei occhi si illuminassero in automatico e che la mia lingua si sciogliesse in allegre parole come se per tutta la vita non avessi fatto altro che mentire. Mentire, mentire, mentire.

Aveva ragione Nivek a dire che tutti avevamo mentito almeno una volta, cominciando dalla risposta "sto bene", passando per i "non ti amo" e, poi, finendo ai fantomatici "non sono ferita".

Il tradimento di Kyran non mi aveva effettivamente ferita, ero io ad essermi ferita da sola nella terribile illusione di credere che la bontà della gente non avesse un secondo fine. Ero stata tradita tre volte, due volte e mezzo se avessimo dovuto considerare meno grave quella di Dantalian, ma comunque, anche provandolo sulla mia pelle, non avevo imparato la lezione. Mi ostinavo ancora a trovare un motivo per cui credere in qualcosa che non fosse me stessa.

Stamattina lo avevo anche incontrato, in biblioteca, mentre cercavo un libro triste al punto giusto da farmi uscire quelle lacrime che dovevano uscire dal mio corpo per potermi permettere di superare la delusione che mi aveva innestato dentro. Il dolore era un po' come le radici, c'era un immenso bisogno di estirparle del tutto per poter ricominciare a piantare nuova vegetazione.

Gli avevo sorriso, avevo accettato il biscotto integrale con i frutti rossi che aveva rubato dal buffet della colazione e lo avevo mangiato con gusto sotto i suoi occhi, finché non mi aveva lasciata da sola in mensa perché "aveva qualcosa da fare". Non immaginavo che tipo di impegni avesse e non avevo voluto saperlo. Le talpe non erano i miei animali preferiti.

La gonna aveva svolazzato molto mentre mi avvicinavo al cestino e ne sputavo dentro l'intero contenuto della mia bocca, incapace di ingoiarlo come se fosse pieno di veleno. Quel biscotto aveva toccato le mani di una persona finta e per me aveva il gusto della carta. Avevo intercettato lo sguardo triste di Dantalian, triste per me, che mi fissava intensamente mentre mi pulivo la bocca con un tovagliolo.

Adesso non era più tanto triste, ma anzi, mi guardava dall'alto con uno sguardo divertito e un sorrisetto. Io ero piegata sulle ginocchia, con in mano una boccetta di smalto nero e nell'altra il pennello che passavo con precisione millimetrica sulle sue unghie.

«Pensavo, sinceramente, che sarebbe andata in un altro modo quando ti avrei avuta in ginocchio davanti a me per la prima volta». Scherzò.

Alzai gli occhi al cielo, con l'ombra di un sorriso sulle labbra. «Pensi sempre e solo a quello, eh?».

«È il mio sport, la mia cena preferita, il mio hobby, la mia passione, la mia terapia... mi offendi profondamente se pensi il contrario». Si portò la mano sul cuore.

Risi di cuore. «Sei davvero un idiota!».

Si sporse per accarezzarmi, ma poi si ricordò dello smalto fresco e allora inclinò solo la testa, con un sorriso sul volto. «E tu sei bellissima».

Mi tirai in piedi e rimisi lo smalto nel beauty case di Ximena, che avrebbe sicuro provato piacere nell'essere l'estetista di Dantalian. Mi poggiai sulla piccola scrivania accanto alla porta del bagno e poggiai una caviglia sull'altra.

«Il motivo per cui sei entrato nell'Élite è...?». Lasciai la frase in sospeso.

Non sembrò sorpreso da quella domanda, mentre accavallava le gambe e mi osservava da sotto le ciglia scure. «Tu, ovviamente. Tutto quello che faccio, io lo faccio per te. Anche il sacrificio morale di far parte di un gruppo sessista che tratta le donne come bambole, scegliendo te come mia partner per non permettere a nessuno di farti del male o toccarti. L'unico problema restava Denholm, ma speravo che avresti ascoltato i miei unici avvertimenti».

TecumWhere stories live. Discover now