XLIX.

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Quando si cadeva, metaforicamente parlando, di solito c'era sempre qualcuno che ti aiutava a rimetterti in piedi. A volte eri tu, a volte era un amico, un fratello, un fidanzato o un parente. Ma quando erano tutti a crollare e nessuno aveva la forza necessaria, cosa si faceva?

Mi strinsi di più nell'abbraccio consolatorio di Erazm e nascosi il viso nel suo petto, cercando di scacciare le lacrime agli occhi. Mi sentivo grata, dannatamente grata, ad averlo ancora qui con me e di conseguenza quasi in colpa. Nivek era morto per salvarmi o almeno credeva di star facendo questo. 

Non sarei morta. Mi sarei beccata la pallottola, sarei finita in coma, avrei sofferto, ma non sarei morta. E lui sarebbe stato ancora vivo, perché era così che doveva andare. 

Osservai Rut stringere Ximena, che piangeva a dirotto malgrado non avesse chissà quale rapporto passato con Nivek, e Med che stava poggiato sul muro a braccia conserte e sguardo vitreo. Anche Erazm piangeva, ma lui era sempre stato così: sentiva il dolore degli altri come se fosse suo e piangeva, piangeva e piangeva. Non lo conoscevano molto, ma erano sconvolti quanto noi, perché non c'era una singola persona al mondo che avrebbe potuto dire che Nivek non era speciale per tutti. Emanava luce e divertimento da lontano e anche se non ci parlavi quella luce ti scaldava dentro. Non potevi non volergli bene. 

Spostai lo sguardo su Dantalian e Myn. Si stringevano con un braccio e lei aveva la testa posata sul suo petto, proprio come me ed Erazm. Piangeva a dirotto, osservando il corpo di Nivek che io e Melville avevamo coperto con un lenzuolo in attesa della polizia e dei soccorsi che sarebbero serviti a ben poco. Quest'ultimo si era occupato di tutto il resto.

Aveva addormentato Denholm a forza di pugni, scagliandosi contro di lui con tutta la rabbia e il rancore per aver ucciso quello che reputava suo fratello, "la sua ombra da anni" l'aveva chiamata. Poi aveva preso la pistola con un fazzoletto, per non sovrapporre le sue impronte a quelle di quel bastardo, e l'aveva posata sulle sue gambe. I fascicoli, le foto della stanza di cui parlava Nezha, i filmati delle videocamere poste nel bagno e anche la vera planimetria dell'istituto, compreso di tunnel segreti, era mostrata da una foto presente nel telefono di Denholm, il tutto poggiato sulla scrivania in attesa delle forze dell'ordine. 

Melville tornò dentro, mano nella mano con Honey, che era così sconvolta con quei suoi occhi rossi e le guance rigate di lacrime che non fu difficile trovare la forza di sorriderle un po', solo un po'. E per lui sembrò una salvezza, perché ricambiò malgrado la lucentezza dei suoi occhi. 

Mi districai dall'abbraccio di Erazm per prendere un po' di aria e mi sporsi dalla finestra che avevamo aperto del tutto, per far entrare aria pulita e cancellare la puzza di sangue. Oggi, malgrado tutto, c'era un sole caldo e splendente lì in alto. 

Mi chiesi se Nivek sapesse che io fossi diversa, se avesse capito qualcosa di me e della mia vera natura. Se saperlo avrebbe cambiato qualcosa nel corso degli eventi o se avesse comunque avuto l'istinto di buttarsi davanti a me per salvarmi. Chissà cosa aveva pensato negli ultimi attimi, mi chiesi, ma in realtà lo sapevo perché lo avevo vissuto. A me, però, era stato dato il modo di tornare. Lui non sarebbe potuto tornare più, ovunque fosse, e io speravo fosse in paradiso. Lo speravo con tutto il cuore. 

Un piccolo movimento destò la mia attenzione e quando spostai lo sguardo su di esso il mio cuore saltò un battito. 

C'era una farfalla. Una farfalla bianca, con delle piccole linee arancioni sulle ali. E mi stava volando attorno. 

TecumWhere stories live. Discover now