XXXIX.

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Nezha era davvero brava a cucinare, lo constatai mentre mangiavo con gusto il riso alla zucca che aveva preparato da sola. Come Honey aveva detto tempo prima, la sorellastra di Ximena era sempre stata da sola, non aveva mai legato con nessuno, a causa della frequente presenza nell'ufficio di Denholm. Non sapevo dire se fosse perché tutti pensassero di lei che fosse una porta guai o se pensassero che avesse sviluppato la sindrome di Stoccolma.

Sta di fatto che si era abituata alla solitudine e non era molto a suo agio neanche a stare con noi, tanto che spesso preferiva mangiare in un tavolo a parte, da sola e sempre con un libro fra le mani. Avevo spesso convinto Ximena a lasciarla stare, perché sapevo bene che a volte, semplicemente, si preferiva la sincera compagnia di sé stessi rispetto alla compagnia altrui, che non potevi mai sapere se fosse vera o meno.

«Fai fare a me, Nezha». Le posai una mano sul fianco e con l'altra mi avvicinai al coltello che stava usando per tagliare una carota, che avrebbe usato come contorno per un polpettone ripieno di crema di funghi. «Per grazia degli dei, questo lo so-».

Lei sussultò sorpresa, quasi intimorita da qualcosa, e per questo perse la presa sul coltello, che scivolò dalla sua mano e si piantò sulla mia, con la lama che aprì la pelle del mio palmo in due con uno squarcio. Dopo poco, il mio sangue scarlatto uscì a fiotti copiosi dalla ferita, ma il dolore non mi fa neanche storcere il naso.

«Oh mio dio!». Si voltò di scatto verso di me e mi coprì la ferita con un panno. «Sono un disastro!».

Strinsi il panno fra le dita non per tamponare la ferita, ma per nascondere la sua veloce guarigione. «Va tutto bene, Nezha, non è-».

«Mi dispiace, scusami, è che ci sono certe parti di me che... che mi fanno sobbalzare se qualcuno mi tocca». Abbassò lo sguardo. «Fammi vedere come va».

Tentai di tirare via la mano dalla sua presa con delicatezza, ma essa si fece più forte e insistente. Alzai lo sguardo su di lei. «Nezha, non fa nulla».

«Non c'è alcun bisogno di nascondersi, Arya». Anche lei alzò lo sguardo su di me, ma nei suoi occhi marroni aleggiava qualcosa di nuovo. Una scintilla che non c'era mai stata, oscura quanto quella di tutti noi, e molto diversa dalla timida innocenza che l'aveva sempre caratterizzata.

La fissai come lei fissò me: mento alto, spalle rigide e sguardo misterioso.

«Che è successo?». Strillò Ximena, entrando bruscamente nella piccola cucina della mensa, adesso vuota come ogni mattina dopo la colazione, in particolare la domenica, che era il giorno libero dell'intero istituto, dove non c'erano lezioni e si poteva fare, più o meno, ciò che si voleva.

Si avvicinò a noi confusa, osservando me e Nezha ancora occupate a fissarci con intensità, cercando di scoprire le carte l'uno dell'altra. Nel suo sguardo vedevo chiaramente la tranquillità di chi sa ciò che sei e non ciò che avrebbe dovuto esserci, ovvero la paura di avermi fatto del male.

Inclinai la testa e tirai bruscamente il polso dalla sua presa ferrea, che per quanto fosse più alta del normale da ibrida, non era nulla in confronto alla mia. «Mi sono tagliata per sbaglio, ma non c'è problema, tanto in pochi minuti, se già non lo è, guarirà». Ximena guardò, allarmata, la sorellastra, che adesso aveva un lieve sorrisetto sulle labbra. «Tanto Nezha lo sa già, no? Mi sbaglio, tesoro?».

«Mi sorprende che tu non l'abbia capito prima». Tirò via il panno dalla mia mano e la ferita, ormai rimarginata come se non ci fosse mai stata, apparve agli occhi di tutte e tre.

TecumWhere stories live. Discover now