XLIII.

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«Mettiti dei vestiti, scostumata!». La mano di Dantalian si abbatté sulla carne morbida del mio sedere, stretto nel tessuto delle culotte di pizzo, facendomi sussultare. 

Lo fulminai. «Se sono mezza nuda è solo per colpa tua, visto che mi hai strappato il vestitino che stavo indossando». Era anche uno dei più belli che avessi portato, aderente, con piccole margherite stampate sopra, e un bel corpetto che evidenziava il mio seno.

Lo avevo indossato perché oggi Denholm non c'era, di nuovo. A quanto pare era fuori città per preparare qualche gita, ma nessuno ne conosceva la data precisa ancora, e tutti ne erano entusiasti. Quindi avevo preso la palla al balzo, ma il mio fidanzato l'aveva letteralmente bucata e distrutta. 

Con i denti aveva strappato le spalline, con le mani aveva tirato la gonna così tanto da staccarla dal resto, e tutto ciò solo in nome della passione incontrollabile che lo colpiva quando stavamo insieme, tanto che a volte mi ritrovavo piccoli lividi che sparivano poche ore dopo. I preliminari non erano mai stati così interessanti come con lui.

«Non è colpa mia, flechazo, se mi fai perdere il controllo». Batté le palpebre con innocenza. 

Scossi la testa esasperata e aprii l'armadio, controllando, fra la sua parte, se ci fosse qualcosa di adatto a me, malgrado l'enorme differenza fisica. Non trovai molto, se non l'unica maglia nera che sembrava più corta e meno grande delle altre, quindi la presi e mi voltai, trovandolo occupato ad osservarmi il sedere.

Quando alzò lo sguardo su di me sorrise nostalgico. «Becchi sempre le cose giuste, amore mio». La voce triste che usò mi fece mancare un battito. 

Corrucciando la fronte osservai il retro della maglia e lo stesso sorriso si formò sulle mie labbra nel leggere la scritta stampata su di essa. C'era il numero 69 in stile football ed era ancora perfetta come lo era stata anni prima, quando mi fu regalata dallo stesso demoniaccio che avevo di fronte proprio ora. 

«Hai tenuto davvero tutto e in modo immacolato». Parlai con voce roca e la indossai, sentendomi un abbraccio invisibile sulla pelle. 

Mi guardò con occhi lucidi. «Ho atteso il tuo ritorno per anni e infinite sono le volte in cui rifarei tutto da capo, perché non voglio vivere nessun altro amore che non sia tu». Scosse la testa dopo poco, ritornando il solito Dan, e si avvicinò per prendere qualcosa dal cassetto del suo comodino. 

Mi si parò davanti con una collana in mano, il cui ciondolo era nascosto dentro al suo pugno. «Te la faccio vedere adesso, ma questa la potrai indossare solo quando saremo usciti da questo posto del cazzo e quella collana che indossi adesso andrà a fanculo, chiaro?». Annuii e me la mostrò. 

La prima cosa che saltava all'occhio era il bellissimo celeste del ciondolo, probabilmente fatta di cristallo e dallo stile simile ai gioielli Swaroski, oltre che la forma. Era una farfalla, con le ali aperte come se fosse in volo, del perfetto colore di quella che io mandavo sempre dall'Olimpo a lui o ad Erazm. Celeste come il cielo e azzurro come il mare uniti in un gioiello che ricordava ciò che ero stata io per un paio di anni, confinata in una crisalide di cui ero finalmente riuscita a liberarmi. 

Trattenni un singhiozzo con la mano sulla bocca. «È- è stupenda». La presi e la sfiorai con delicatezza, quasi come se avessi dovuto osservarla volare via fra qualche secondo. 

«Diciamo che questa diventerà l'unica collana che avrai di me». Si sfregò la nuca con imbarazzo. 

Lo guardai. «E quella con il cuore? L'hai persa?».

TecumWhere stories live. Discover now