XII.

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Due mani, abbastanza esili e chiare di pelle, si posarono sui miei occhi ma senza sfiorare la mia pelle, impedendomi però di continuare a leggere il libro che avevo iniziato da qualche giorno.

Per un momento mi preoccupai che fosse Dantalian, anche se non ci parlavamo quasi dopo l'ultima litigata se non al momento della doccia, e nulla era cambiato rispetto ai giorni precedenti. Pranzavo e cenavo ancora di nascosto e lui sapeva che io lo facessi, eppure non faceva nulla per fermarmi. Perché anche lui, in cuor suo, sapeva che ci sarei morta ribelle e che non avrei mai cambiato me stessa per essere ubbidiente.

«Non potresti toccarmi, lo sai?». Scherzai.

«Ciao anche a te, saponetta». Mormorò la sua voce profonda e io sorrisi.

Lui era quasi una delle poche cose belle che avevo incontrato in quel brutto posto, così come Honey e Nezha. La sua amicizia era una ventata di aria fresca durante una giornata afosa.

Mi girò attorno e si sedette sulla poltrona di fronte a me. Quello era quasi il nostro posto ormai, poiché erano le uniche sedie in un punto più nascosto da occhi indiscreti rispetto alle altre, collocate in mezzo tra i mille scaffali alti e pieni di libri.

«Hai trovato il biglietto di oggi?». Ghignò, aprendo il suo libro, che non vedevo quale fosse, con un luccichio interessato nello sguardo.

Ormai era diventata una caccia al tesoro per me. Ogni giorno era solito farmi trovare una citazione su un post it in diversi luoghi e di solito riuscivo a trovarlo entro l'inizio delle lezioni, per iniziare la giornata al meglio. Erano tutte citazioni di Shakespeare.

Sbuffai, quasi offesa dal suo credere che non avrei potuto trovarlo, anche se inserito nella doccia che eravamo soliti usare io e Dan. Per fortuna lui non l'aveva notato e io ero riuscita a tenerlo stretto nel pugno di una mano finché non era uscito, lasciandomi in intimo e con i vestiti puliti su un mobile vecchio lì vicino. Poi aguzzava le orecchie e cronometrava quanto tempo perdessi a lavarmi per sapere se l'avevo fatto davvero. Così si assicurava che mi comportassi bene come desiderava. Finiti quei momenti, poi, tornavamo ad ignorarci.

«Date parole al vostro dolore...». Mormorai.

Annuì. «Il dolore che non parla...».

«Sussurra al cuore troppo gonfio». Mi morsi il labbro.

Sorrise lievemente. «E lo invita a spezzarsi».

Mi dimenai, improvvisamente a disagio. «Perché hai scelto proprio questa frase?».

«Perché credo ti sia utile». Si strinse nelle spalle. «Il dolore è limpido come l'acqua di un mare caraibico. Più è profondo, più spicca. E per ironia della sorte, ci vuole aver provato un grande vuoto per essere molto profondi».

Giocai con la pagina del libro che portavo sul grembo e successivamente mi sarei odiata, perché era così che si formavano gli orecchioni. «È questo quello che hai visto nel mio sguardo?».

«Ho visto molte cose, ma ho fatto finta di essere cieco. Un dolore non si chiede mai ed è una cosa che sai se sei ferito anche tu». Mormorò.

Per la prima volta nella mia vita avevo la possibilità di parlare con una persona che non conosceva la vecchia Arya, che non aveva stretto un legame con Dantalian, che non sapeva cosa lui mi avesse fatto o quanto io fossi stata stupida. Potevo fingere, ma potevo fare anche qualcosa di meglio: raccontare tutta la verità ad una persona che non era destinata a rimanere nella mia vita a lungo. «Una volta mi sono presa... una cotta... per una persona».

TecumWhere stories live. Discover now