VII.

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Il dormitorio femminile era più triste di quello che mi aspettassi, ma soprattutto non molto lontano da quello maschile, visto che un solo corridoio divideva la parte sinistra, dove eravamo noi, da quella destra.

Avevo scoperto anche che la mia compagna di stanza, per ironia della sorte, fosse "l'altra ragazza nuova", ovvero Ximena, mentre Honey era in camera con niente di meno che Nezha. Mi parlò di lei e mi raccontò di quanto fosse solitaria, seppur molto simpatica, e di quanto la sua vita qui non fosse facile. A quanto pare, per un motivo o per un altro, finiva sempre nell'ufficio di Denholm ma nessuno sapeva o aveva anche solo l'idea di cosa succedesse tra i due. Per questo non era ben vista dal resto degli orfani, perché l'idea comune era che andasse a letto con lui in modo consenziente, quasi come se avessero una relazione extra-coniugale, e per me fu una teoria agghiacciante. La sindrome di Stoccolma non era stata considerata nel nostro piano.

Di Ximena non disse molto, poiché era lì solo da qualche giorno, ma tutti avevano notato il suo occhio di riguardo verso Nezha, ma nessuno le chiedeva nulla perché intimoriti dal suo carattere forte. Era salva, disse, e aveva imparato a non pestare i piedi alle persone sbagliate. Quali fossero queste persone, però, non lo disse mai.

Rimasi sola in quella stanza dai colori grigi e spenti fino alla sera, non avevo voglia di sfidare Denholm il primo giorno, e quando piegai l'ultimo vestito, nascosto tra i tanti pigiami, la mia compagna di stanza finalmente tornò.

Le guardai i capelli con sdegno. «Ma che hai fatto? Hai litigato con un piccione nel venire qui? A quanto pare ha vinto lui...».

Mi osservò con occhi lucidi e il respiro corto. «Non credevo mi fosse più concesso essere rimproverata da te per il mio aspetto estetico».

Non mi lasciò il tempo necessario per ribattere. Si fiondò su di me per stringermi con forza, spostando le mani lungo tutto il mio corpo come aveva fatto Erazm giorni prima, quasi come se volesse essere sicura di star abbracciando un corpo fatto di ossa e muscoli veri. Quell'abbraccio fu la seconda azione che riportò un pezzo del mio cuore al suo posto e quasi mi lasciai andare alla speranza che un giorno sarebbe tornato intero. Che un qualcosa di fragile e duro come il vetro sarebbe stato in grado di tornare nella forma in cui era nato, senza alcuna deturpazione crudele.

«Quando Rut mi ha raccontato tutto non potevo crederci. Ho passato le ore di lezione con un peso sullo stomaco e ho ingurgitato il cibo della mensa come se fosse acqua per correre qui il prima possibile. Non hai idea di quanto tu mi sia mancata, Arya». Le tremò la voce.

La mia, invece, si spezzò proprio. «Ti mancavo? Sul serio?».

Si allontanò solo per guardarmi in faccia. «Ovvio che sì!». Mi schiaffeggiò il braccio. «Sei l'unica amica che io abbia mai avuto. Mi hai sempre difeso dal brusco carattere di Rut ogni volta che potevi, mi hai insegnato tanto, non solo come difendermi, e mi hai fatto capire che in me non c'era nulla di sbagliato. Ti sei sacrificata per me, per tutti noi, tu...».

«Xim?». Mi preoccupai, quando la vidi chiudere gli occhi di scatto.

Scosse la testa. «A differenza degli altri io non sono arrabbiata con te per il tuo gesto. Non perché so che non avevamo altra scelta, né perché mi ero resa conto che eravamo spacciati contro tutti quei Moloch, ma perché io al tuo posto avrei fatto lo stesso. Mi hai salvato, ci hai salvato tutti. Sei stata la nostra salvezza, Arya Buras».

Sentirsi così importanti per qualcuno non era una sensazione a cui ero abituata, ma mi scaldò come se ci fosse un camino a pochi centimetri da me. Capii che chi non desiderava essere amato, lo faceva solo perché non aveva mai provato come ci si sentisse.

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