XLIV.

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"Il sesso è tutto nella testa".
- Erica Jong

❄︎

Non avrei mai pensato di tornare a sentirmi a mio agio, figuriamoci a sentirsi davvero sexy, come d'altronde mi ero sempre sentita prima del grande ostacolo che il destino mi aveva messo davanti e che mi aveva diviso in due parti, simili per gli altri, ma spezzate e diverse per me.

Oscillai il corpo, reso più slanciato dai tacchi che mi aveva regalato, o che forse aveva rubato, il mio principe guerriero, e mi osservai allo specchio con il primo sorriso orgoglioso che mi dedicavo da anni. Accarezzai le curve morbide del mio corpo senza più vergognarmi, strette nel tessuto di pizzo di un corpetto nero. Mi voltai e mi osservai il sedere, sorridendo di più nel vedere come fosse evidenziato da un paio di culotte quasi del tutto trasparenti, malgrado il pizzo dello stesso colore del resto.

Il tocco più sensuale, però, lo davano le autoreggenti. Avevo scoperto che a Dan piacevano, più di tutto, tre cose in particolare nel mondo del sesso: strapparmi gli indumenti, accarezzarmi la bocca con il pollice e stringermi il collo con la mano. Lo faceva davvero senza pensare, lo vedevo dal suo sguardo che in quei momenti era perso. 

Raccolsi tutto il coraggio presente in me, che probabilmente era molto, e uscii dal bagno della camera per poggiarmi allo stipite della porta con il fianco. Mi aveva portata allo stesso cottage dell'ultima volta, obbligando Melville a dargli la macchina per ricambiare il favore di aver badato a Damian e Amaya. Un'esperienza terribile gli aveva detto, facendo il solito melodrammatico, ma io sapevo che sotto sotto gli era piaciuto. 

Notando il lievissimo rumore di uno spostamento d'aria, posò il telefono sul comodino e si voltò, finalmente, verso di me. 

Mai niente fu così soddisfacente come vederlo sgranare gli occhi e sentirlo deglutire a secco. Tenne il labbro inferiore sui denti e mi squadrò da capo a piedi, percorrendo il mio corpo con uno sguardo così intenso da sentire le sue mani bruciarmi addosso come fuoco. Poi posò una mano alla sua sinistra, sul letto, e la batté più volte sulle lenzuola in un invito silenzioso. 

Scossi la testa con un sorrisino sulle labbra. «Se mi desideri, oggi dovrai venirmi a prendere tu». 

«Non che io abbia fatto altro fino ad ora, flechazo». Mormorò roco e si alzò lentamente, come un felino che puntava alla gustosa preda. 

Indossava solo dei boxer neri e bianchi, aderenti fino a mostrare la grande protuberanza che li riempiva. Il petto era abbronzato, come sempre, con gli addominali dalla parvenza di pietra, coperti da alcuni tatuaggi, sia piccoli che grandi. Il più maestoso era sicuramente il leone, la cui parte finale della coda spariva sotto l'elastico e che sapevo a memoria dove si fermasse: seguiva l'incavo perfetto della V dei suoi fianchi. Era sempre strano pensare che fosse bellissimo e ricordarmi che era mio. 

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