XXIII.

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Non sapevo se mi stesse corrodendo di più lo stomaco la rabbia o la tristezza in quel momento. Forse l'invidia.

Erazm, mio fratello, era entrato pochi minuti prima al fianco di colui che non sapevo neanche più se fosse la mia condanna o la mia salvezza. La rabbia mi aveva incendiato da subito le viscere, come se Ignis fosse ancora dentro di me, e mi ero morsa le labbra così forte da farle sanguinare. 

Mio fratello e il mio nemico. Mio fratello e la persona che avrei desiderato mi fosse stato concesso amare. Mio fratello e la persona che mi aveva fatto più male. Mio fratello e il mio indiretto assassino. Mio fratello e il mio odioso irritante demoniaccio. 

Mio malgrado, però, c'era anche un'altra visione delle cose.

Mio fratello e la sua valvola di sfogo. Mio fratello e il suo unico amico. Mio fratello e la compagnia per il mio silenzio assordante. Mio fratello e colui che aveva riempito il vuoto della mia assenza. Mio fratello e quello che avrebbe voluto fosse suo cognato. Non "mio fratello e il mio nemico", non "Erazm e Dantalian", ma "due amici fianco a fianco".

Amici che si erano ritrovati a condividere lo stesso dolore e a capirsi. Amici e basta.

Una presenza, di cui sentii prima il respiro lento, dietro di me mi costrinse a voltarmi verso di essa.

«Arya». 

Occhi blu cobalto, fiamme invisibili al loro interno, e sorriso incerto sulle labbra che di solito erano sempre curvate in snervanti ghigni.

«Rut». Mormorai tremante, ma con un sorrisino simile al suo.

Annuì a sé stesso. «Lo so».

«Cosa sai?». Alzai un sopracciglio. 

Sbuffò e mi spinse in avanti, trascinandomi verso una stanza che forse non avevo ancora mai visitato. Era un'aula abbandonata, con una calca di banchi sulla destra e una porta di vetro dall'altra parte che portava ad un piccolo balcone. Affacciava sul bellissimo giardino pieno di cespugli verdi e rose rosse, l'unico spruzzo di colore, e in lontananza si vedeva il labirinto fatto da altrettanti cespugli. 

«So che hai bisogno di parlare, Arya, e questo non significa fare i soliti discorsi del cazzo, filosofici e intelligenti. Parlare, far uscire tutto ciò che vuoi dalla tua bocca, lasciare al tuo cuore la possibilità di lasciare andare il dolore. Non importa quello che dirai, non importa il senso che avranno le tue parole, io sarò qui e ti ascolterò. Proverò anche a darti dei consigli, anche se sono un figlio di puttana che ha sbagliato tutto nella vita». Si voltò verso di me e indicò la porta con il dito. «Ma una volta uscito da quella porta, io farò finta di non aver mai sentito quelle dannate parole. Una volta usciti da lì io tornerò ad essere l'idiota che stuzzica tutti e tu la solita stronza divertente».

Guardai la porta e poi guardai la sua mano, adesso rivolta verso di me, come ad incitarmi a prenderla. «Accetta, signorina Arya?».

«Accetto, signorino Rutenis. Ma ad una condizione». Alzò un sopracciglio e mi incitò a continuare. «A patto che tu sappia che puoi fare lo stesso. A qualsiasi ora di qualsiasi giorno di qualsiasi anno e di qualsiasi secolo io ci sarò per te, come tu ci sei stato e ci sei ora. Perché essere amici forse non è andare nella stessa strada, ma sicuramente è saper fare dietrofront e correre nella sua quando sai che ha bisogno di te».

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