1. Odio l'estate

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Ischia.
Estate.




Ischia era un concentrato di ossigeno.

La prima cosa che sentii non appena messo piede sul molo era stato proprio l'ossigeno. Non avevo mai respirato aria così pura e rigenerante prima di allora.

L'aria della città era pesante, ingombrante e sporca. Ma, io, non appena adagiato il piede su quel traghetto massiccio e lurido, avevo sentito l'aria ristagnare nei polmoni.

L'odore salmastro del mare ingolfava le narici quasi a soffocarmi e il fetore del fumo dei motori mi faceva rivoltare lo stomaco.

Non era iniziata bene quella vacanza, a mio dispiacere.

Era la prima volta che vedevo quell'isola dal vivo e non da una foto, e già volevo ritornarmene indietro, nel mio letto con qualche film o a dormire e basta.

La motivazione era semplicemente banale: non avevo alcun tipo di amico o amica, ero sicura, anzi certa che avrei passato il resto dell'estate a starmene seduta sul portico, davanti al giardino, oppure davanti al tratturo sterrato, a intrecciare fili d'erba o a tagliare gli steli dei capperi.

A differenza di Monica, mia sorella maggiore, che a Ischia c'era venuta già un paio di volte e una compagnia l'aveva. Io non avevo niente, lì.

Le uniche ragazze che credevo ritenere mie amiche, erano rimaste a Roma, sarebbero dovute partire tutte assieme per le Maldive a metà luglio, circa. Ed io, invece, dovetti seguire i miei in un'isola come Ischia, dove il massimo che potevo fare era ubriacarmi e buttarmi a mare nuda.

Anche se, inconsciamente, sapevo che uno dei motivi per il quale quell'anno non volessi andare in vacanza da alcuna parte, era per via del mio corpo.

Drammatico. Lo so.

Più ci pensavo — più vedevo il mare, più vedevo bikini, pelli perfette, braci incrostate d'olio e pesce fritto — più saliva il rigetto, e quel fumo nauseabondo che fuoriusciva dalla canna del traghetto non aiutava affatto.

«Isa, vieni!» Mi richiamò Monica dalla saletta del traghetto, con un movimento del braccio che mi incitava ad andare verso di lei. «Siamo arrivati!»

Io annuii, le feci cenno di aspettare.

Rivolsi lo sguardo sul Porto di Ischia che si avvicinava, con le auto che andavano e venivano, turisti branditi di valigie più grandi di loro, un marinaio lanciò una fune per attraccare il portellone di ferro battuto alla terra ferma ad un altro marinaio.

Sospirai, mi feci coraggio.
Provai a convincermi che non era poi così male. Quindi, mi girai, mi sistemai il vestitino bianco sulle cosce, sperando le coprisse abbastanza, e mi diressi dai miei.

«Oh, eccola qui», esordì mamma, guardandomi raggiungerli, passò il braccio dietro le mie spalle e mi tenne incollata a lei, «Come stai, amore? Ti è passato?»

Io mi sforzai di sorridere e annuii. «Siamo arrivati, vero?», chiesi.

«Sì», disse papà, infilando gli occhiali scuri.

Monica era al telefono da quando eravamo partiti, seduta sulla poltroncina infeltrita del traghetto non faceva altro che gesticolare; deglutii, «Ma zia Bruna e zio Gianni già sono arrivati?» Chiesi.

Almeno avrei avuto qualcuno con cui condividere la solitudine. «Sì, sono scesi ieri pomeriggio. Ci stanno aspettando.»

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Alla ricerca dell'albaWhere stories live. Discover now