21. La leggenda di Celentano

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Ischia.
Estate.






Mistica, come le sirene. Avevo ripensato a quella mattinata per tutta la notte, non riuscivo a prendere sonno per colpa di Elia che continuava a tormentarmi.

Restammo nella casa di Gioele finché non ricevetti messaggi ripetitivi da parte di mia madre che mi chiedeva di ritornare. Avevamo mangiato della pizza che Elia era corso a prendere con solo i bermuda addosso e avevamo sfogliato varie fotografie dagli scatoloni.

Alla Villa discussi con mio padre sul fatto del: "se ti ammali finisci sotto i farmaci di nuovo, sii più responsabile!"

Lo sapevo perfettamente che se mi fossi ammalata sarebbero stati guai, per me e per i miei, ma cosa c'era di sbagliato nel fingere che tutto quello che mi faceva male, in realtà, mi faceva bene? Volevo solo pensare di essere normale per qualche mese, senza preoccuparmi troppo, senza avere troppe responsabilità.

Quindi, non gli diedi ascolto. Atteggiamento maturo, già. Mi richiusi in camera mia con le cuffiette nelle orecchie.

L'unica a cui avevo raccontato qualcosa era Monica e inutile dire che reagì in una maniera un tantino esagerata.

«Cosa?!» Gridò, sbattendo la porta e guardandomi con gli occhi spalancati, «Come, quando e perché?» Sbottò, scandendo ogni parola.

«È successo stamattina, come non lo so, è successo e basta. Perché... perché...», riflettei, sorridendo, «Perché mi piace, non mi sono nemmeno chiesta se fosse quello giusto, perché lo sapevo. So che sembrerà sciocco o affrettato–»

«Affrettato?», Monica si gettò sul letto di nuovo, «Era pure ora! Ti ha proprio conquistata: primo bacio e prima scopata, ammazza, dev'essere bravissimo a tombola.»

«Spiritosa», alzai gli occhi al cielo, «E non urlare.»

Monica scosse il capo, sistemandosi e mangiucchiando una caramella, mi domandò: «Quindi? Com'era?»

Aggrottai la fronte, «Mh?»

«Ce l'aveva grosso?»

«Non ci credo! Monica!» Scoppiai a ridere, portandomi le mani sul viso, «Non intendo risponderti.»

«Che palle che sei», ridacchiò. Mi domandò cose futili a cui risposi senza problemi. Parlare con Monica di queste cose era sempre stato facile, era pur sempre mia sorella maggiore.

Nei giorni consecutivi io ed Elia non ci vedemmo. Mi aveva avvisato che Ilaria fosse malata, perciò le doveva stare vicino perché Simona non poteva restare a casa tutto il giorno.

Un pomeriggio, verso le tre, mentre ero impegnata in un rebus sotto all'ombrellone, il cellulare squillò. «Pronto?» Filomena mi schizzò dalla piscina.

«Impegnata?»

Mi venne spontaneo sorridere non appena la sua voce arrivò al mio orecchio. «No, non sono impegnata.»

«Ti scocci di venire con me dalla nonna?»

«Certo che no», ridacchiai, alzandomi dalla sedia a sdraio, «Quanti minuti ho?»

«Facciamo sei.»

«Ti raggiungo tra sei minuti», corsi in camera.

Mi preparai alla velocità della luce, infilando un abitino bianco di lino, legai i capelli in una coda ordinata e uscii dal cancello canticchiando. Passeggiai lungo il tratturo giallognolo e secco, calciai qualche sassolino finché non giunsi a tre metri da casa di Elia, bloccandomi di scatto.

Alla ricerca dell'albaWhere stories live. Discover now