18. Non sei come dicono loro

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"E una volta che la tua bocca ha toccato ed esplorato la mia, nessun'altra è riuscita a farlo meglio."


Ischia.
Estate.




Il mattino successivo il mio corpo venne percosso da Filomena che saltava sul mio letto appositamente per svegliarmi.

Mi portai le mani sulla faccia e cercai di fermarla, tutto ciò che sentivo era il rumore limpido della sua risata infantile.

«Filo, sono sveglia, sono sveglia!» Bofonchiai. «Cosa c'è?»

Mi strofinai gli occhi e cercai di aprirli, sapevo fossero gonfi dal pianto, non mi serviva nemmeno guardarmi allo specchio.

«Mi fai chiamare Elia?»

La guardai senza capire. È uno scherzo?

«Cosa?»

«Sì», si accomodò a gambe incrociate. «Ila mi ha detto che potevo chiamare lui quando volevo invitarla qua.»

«Ma sei sicura?» Borbottai, ancora frastornata. «Sono le...», mi voltai verso l'orologio sul comodino, «Le nove, starà ancora dormendo.»

«Per favore, Isa», piagnucolò.

Sapevo che dir di no ad una bambina come Filomena sarebbe stato peggio di una tortura cinese. Perciò, mi armai di pazienza e allontanai l'immagine di lui che vedeva il mio nome sullo schermo. Le chiesi di chiudere la porta mentre io cercavo il suo contatto nella rubrica.

Guardai un paio di secondi il numero prima di schiacciarlo senza ripensamenti. «Me ne pentirò...», sussurrai, passandomi una mano sugli occhi.

Squillò circa tre volte, pensai non avesse risposto, ma quando feci per attaccare la sua voce risuonò roca dall'altro lato dello schermo. «Pronto?»

«Sono io», strinsi gli occhi e le labbra, balbettai e ricominciai: «Scusami se ti rompo a quest'ora...»

«È successo qualcosa?»

«No, no», scossi il capo, «È che Filomena, mia cugina, voleva invitare Ila qui, e tua sorella ha detto di chiamare te...» Cominciai a mordermi le unghie.

Non sapevo se quell'ansia che avevo in corpo fosse per quel che era accaduto il giorno prima, per quello che stavo iniziando a provare nei suoi riguardi o perché credevo che per lui fosse una cosa come un'altra. Avevo il terrore che io potessi fraintendere e che, magari, mi stavo solo montando la testa di nulla.

Sentii Elia schiarirsi la gola, «E io che pensavo che m'avessi chiamato perché non riuscivi a stare senza di me.»

Lo ignorai, diventando un po' nervosa. «Allora?» Sospirai.

«Cerasì, che c'hai stamattina?» Domandò, serio.

«Niente, perché?» Feci cenno a Filo di andar via, lei non se lo fece ripetere e strisciò giù dal letto per poi correre fuori. Mi sistemai nuovamente con la schiena sul materasso.

«Hai un tono strano, ti ho fatto qualcosa?»

«No, sto bene.» Continua, catatonica.

«Sei sicura? Non ci metto niente a verificare se è così, ti ricordo che sto a dieci metri da casa tua.»

«Veramente, è una sciocchezza.»

«Posso fare qualcosa?»

«No», mi venne da sorridere. «Può venire Ila, quindi?»

«Certo», sospirò. «Adesso sta ancora dormendo, appena si sveglia l'avviso. Va bene?»

Mi portai i capelli dietro le orecchie, «Sì, tranquillo, fa' con calma. Scusami se ti ho svegliato così.»

Alla ricerca dell'albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora