22. Colorare i sentimenti - Pt. 1

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"Where have you been?
Do you know if you're coming back?
We were too close to the stars.
I never knew somebody like you, somebody... Falling just as hard.
I'd rather lose somebody than use somebody. Maybe it's a blessing in disguise.
I see my reflection in your eyes."
— Reflections, The Neighbourhood.


Ischia.
Estate.


Con Elia imparai a sentirmi bene nella mia pelle, a non pensare a come il mio corpo potesse mostrarsi ai suoi occhi. Perché a lui non fregava, semplicemente, e a me fece capire molte cose.

Erano le dieci di sera, il caldo tropicale non arrivava in quella bolla in cui c'eravamo rinchiusi.

Presto la casa del nonno Gioele diventò il nostro posto preferito. Ci recavamo lì spesso, anche solo per restarcene in silenzio, abbracciati e nudi.

Perché alla fine ci trovavamo sempre così. Ammassati in un letto troppo stretto, a sfiorarci la pelle, a sussurrarci qualcosa, a ridere di niente e baciarci senza motivo.

Elia m'aveva insegnato che l'amore, quello praticato, era un modo per riempire il silenzio di cose belle, un modo per far unire l'anima di due persone. I corpi si muovono assieme, uno imita l'altro; le mani sono autonome che partono a graffiare e stringere; le bocche svuotano l'anima, le danno voce.

E, quasi quasi, mi piaceva essere toccata da lui. Mi piaceva sentire i muscoli del suo torace contrarsi sul mio stomaco, mi piaceva la sua lingua sul mio collo, mi piacevano i suoi ricci che solleticavano il mio seno, mi piaceva quella sensazione di bruciore nel ventre quando le mie cosce prendevano ad avvinghiarsi al suo bacino.

Percorsi la sua schiena con il dorso della mano, flemmatica e attenta al guizzare dei suoi lineamenti rigidi sotto quella pelle olivastra. Elia era seduto con il piumone a coprirgli le gambe, con la sigaretta tra le labbra e gli occhi socchiusi.

Mi sollevai piano, strisciando un po' impacciata sul materasso per poi accomodarmi a cavalcioni su di lui, attorcigliando le cosce attorno ai suoi fianchi. Elia poggiò istintivamente le dita sul perimetro delle mie gambe.

«Ciao», sussurrai, spostando una ciocca dietro le spalle.

Lui nascose un sorriso, soffiando via il fumo dalle labbra increspate. «Ciao.» Accarezzò il tratto che andava dal ginocchio all'angolo del fianco.

«A cosa stai pensando?» Domandai, giocherellando con un suo riccio.

«Niente di importante.» Scosse il capo, per poi prendere un tiro dalla sigaretta.

«Ma io vorrei tanto sapere cosa passa per la tua testolina...», gli diedi un bacio sul mento.

La sua mano raggiunse la mia guancia, il suo pollice si strofinò sul mio labbro inferiore, ammaliandomi per qualche secondo: «Stavo pensando a quanto tu sia bella sopra di me.»

Mi diede un bacio sulla clavicola, io gli circondai le spalle con le braccia per poi sfiorargli la punta del naso con le labbra: «L'avrai detto a tutte», canzonai, passando il pollice sul suo sopracciglio.

Elia mi mostrò un sorrisetto divertito, «No, non l'ho detto a tutte.»

Con lui era diverso, non mi sentivo di insistere, di discutere su ogni cosa dicesse — come spesso facevano i miei —, gli credevo sulla parola, senza aver bisogno di maggiori conferme.

«Mh.» Mi mordicchiai il labbro, sospirando. «Però, adesso sul serio. A cosa stavi pensando? Eri troppo silenzioso.»

Elia fumò ancora, facendomi aspettare di proposito. Osservai e studiai la sua mascella contratta quando il fumo gli percorreva la gola fino a incenerirgli il respiro.

Alla ricerca dell'albaWhere stories live. Discover now