14. Baby & Johnny

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Ischia.
Estate.


Una volta, a lezione, il professore di filosofia disse che noi siamo tutti esseri singoli, di una diversità unica, talmente unica da essere spaventosa. Ed è proprio a causa di ciò che cerchiamo di colmare la nostra paura con qualcuno che sia più o meno simile a noi o del tutto diverso. La colmiamo per non sentirci talmente unici da sentirci soli.

Dopo quella lezione delle ore dieci e dodici di un giorno uggioso d'autunno, ho iniziato a vederla come il professore, a credere nelle sue parole: tutti cerchiamo qualcuno che riesca a colmare la nostra singolarità con la propria, per non sentirci soli.

Non mi sarei mai aspettata di trovare quella persona in un'estate noiosa come quella. In realtà non avrei mai pensato di trovarla e basta.

I giorni fluivano flemmatici tra la siccità di quell'estate e il suono delle cicale mischiato al profumo di grano.

«Non è giusto!» Sbottai ridendo guardando le spalle di Elia allontanarsi fra le spinte veloci delle sue ginocchia sui pedali della sua bicicletta.

Il Sole caldo del pomeriggio incendiava anche l'anfratto più recondito del campo secco, il rumore delle ruote riempiva l'aria assieme al cinguettio perpetuo degli uccellini.

La risata di Elia ghermì le mie orecchie quando si alzò dal sedile per pedalare ancor più repentinamente, lasciandomi dietro di qualche decina di metri.

Avevamo deciso di farci una pedalata per sbarazzarci della noia da campagna, c'era stato un temporale fortissimo nei giorni precedenti che aveva sfasciato quasi tutto, impedendo l'intento di vederci, così Elia se ne uscì con una proposta delle quattro del pomeriggio: "Tira fuori la bicicletta, ci andiamo a sperdere." Mi scrisse, senza aggiungere altro.

A me venne spontaneo acconsentire.

In quell'orario il silenzio abitava nella Villa, c'era chi riposava nella freschezza delle lenzuola pulite o chi si metteva a mollo in piscina. Io, invece, prima di precipitarmi in giardino a recuperare la bicicletta, ero intenta a leggere — in fondo era l'unica cosa che mi permetteva di evadere.

«Lo vedi quell'albero?» Mi pedalò di fianco.

«Sì.»

«Vuoi scommettere che c'arrivo prima io?»

«Non faremo alcuna stupida gara da bambini di sei anni, rischiamo di intrappolarci nel grano e l'ospedale è abbastanza lontano.»

«Cagasotto!» Borbottò dopo aver sbuffato. Fissai le sue spalle che giocavano con i raggi solari, i capelli irti che gli ricadevano sulla nuca mentre il vento li districava.

Le api germogliavano dai meandri più insidiosi del campo, una palpitazione di fervore mi spinse a raggiungerlo con un paio di pedalate.

Una volta giunti all'ombra della quercia, Elia fece scivolare la bici sul terriccio arido e verdeggiante, io lo imitai finché non si accomodò ai piedi di esso. Dinanzi a noi una distesa sciupata di grano d'oro.

Quando mi sedetti di fronte a lui a gambe incrociate, strappai una manciata di erbetta in un pugno ed Elia si accese una sigaretta.

Aprii il palmo della mano e lasciai che il vento si portasse con sé i straccetti d'erba; i miei occhi incrociarono quelli di Elia. Ci sorridemmo a vicenda ed io riabbassai lo sguardo sui miei piedi. Sentivo il Sole bruciarmi la schiena, ma non era spiacevole.

Il silenzio composto da cinguettii e frusciare del grano venne sovrastato dalla voce sottile di Elia: «Hai più lentiggini.»

Un alone di fumo si disperdeva sopra la sua testa, la sigaretta a penzolare dalle dita e un riccio tra le sopracciglia.

Alla ricerca dell'albaМесто, где живут истории. Откройте их для себя