19. La casa in riva al mare

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"There's things I wanna say to you, but I'll just let you live. Like if you hold me without hurting me, you'll be the first who ever did.
There's things I wanna talk about, but better not to keep, but if you hold me without hurting me, you'll be the first who ever did."
— Cinnamon Girl, Lana Del Rey.

Ischia.
Estate.



L'estate infuocava gli animi. I tramonti diventavano rosso fuoco, che ardevano il mare e le spighe di grano. Luglio era un torrente irrefrenabile, si scolpiva tutt'intorno, indimenticabile.

Io ed Elia eravamo stesi nella campagna, il caldo torrenziale a farci sentire appiccicosi, il nitido silenzio naturale a rilassarci  in una nenia. La sua mano sulla mia coscia, che accarezzava delicatamente, e gli occhi chiusi mentre fumava. Aveva le guance arrossate dal caldo, la pelle olivastra brillava per il contatto diretto con i raggi del Sole.

Sorrisi quando sospirò lentamente: le labbra morbide un po' increspate e i ricci disordinati sulla fronte. Lo osservai attentamente per lunghi minuti, ne approfittai. Lui mi guardava sempre, indecoroso, io mi vergognavo ogni volta. Forse perché credevo che i miei occhi non potessero coglierne la bellezza o perché credevo di non meritare di osservarlo.

Lasciai scivolare lo sguardo sul suo profilo armonioso; sulla mandibola ben definita notai una cicatrice. Aggrottai la fronte e allungai il dito per sfiorarla piano. Elia non si mosse, e allora continuai ad accarezzarlo come se fosse fatto di ceramica, malleabile e fragile.

Il mio polpastrello giunse sul suo mento, salì lungo il perimetro delle sue labbra e sorrisi quando mi lasciò un bacio sul dorso della mano.

Mi domandai se gli piacesse essere accarezzato. Mi domandai se gli piacesse essere guardato. Mi domandai se gli piacesse la mia attenzione, perché l'aveva tutta.

E, ancora, mi domandai cosa nascondesse dentro di sé.

«Hai così tante cose da dire...» Sussurrai, dolcemente. «Ma non sai da dove cominciare.»

Solo in quel momento Elia si voltò a guardarmi. I suoi occhi verdi si collegarono ai miei, mascheravano sorpresa. Il muscolo della sua mandibola guizzò, non parlò.

Così aggiunsi: «O mi sbaglio?»

Elia mi esaminò. Ebbi paura che quello che vedeva non gli piaceva affatto. Forse sono stata invadente. Ma lui negò, mordendosi l'interno della guancia. C'era qualcosa che metteva paura anche a lui, però.

«Come lo sai?»

Gli sorrisi, vedendo della strana tenerezza nella sua impotenza. Per la prima volta, ai miei occhi, Elia apparve debole, sensibile. «Sto imparando a conoscerti un po'», feci spallucce, sistemandomi sul fianco e poggiando la guancia sul palmo. «Se guardi bene, anche a te si legge tutto in faccia.»

Elia alzò le sopracciglia, sorridendo divertito. «Davvero?»

«Sì.» Annuii, i miei occhi ricaddero sulle sue labbra ipnotiche. «Un giorno vorrei sapere cosa ti ostini a non far vedere.»

Elia tornò serio, cercava di dirmi qualcosa attraverso piccoli gesti. «Ci sono fin troppe cose di me che potrebbero farti scappare a gambe levate.»

Alla ricerca dell'albaWhere stories live. Discover now