9. Troppo sensibile

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"È la gentilezza a renderti attraente."

Ischia.
Estate.

Mi limitavano manco fossi fatta di cristallo.

Mancavano due settimane dalla fine di giugno ed io sentivo che il tempo fosse fermo dappertutto. Quando volgevo lo sguardo ad un orologio le sue lancette sembravano bloccate sullo stesso orario per mesi interi e non per secondi o minuti.

A mio malgrado dovevo ammettere che la compagnia di Elia mi aveva aiutata parecchio nei giorni precedenti; c'eravamo scritti un paio di cose, c'eravamo scambiati la noia e poi niente.

Un pomeriggio, mentre me ne stavo nella vasca a mettermi lo smalto ai piedi, zia Bruna bussò alla mia porta due volte con le nocche, «Tesoro, sei lì?»

«Sì, zia!» Gridai, tra le bolle di sapone.

«Senti, ma non è che potresti sta' un po' coi bambini? Io e la mamma dobbiamo scendere a comprare del pesce.»

Sospirai, richiusi lo smalto rosa pallido e poggiai la nuca al bordo della vasca, «Sì, certo. Tempo di due minuti e scendo.»

Pochi minuti dopo scesi le scale con i capelli umidi e arruffati per via dell'aria calda di quei giorni, con un jeans lungo sgualcito e una canottiera verde. Mamma mi passò di fianco toccandomi la nuca, «Dio benedetto, Isa! Ti ho detto che devi asciugare i capelli dopo la doccia.»

La ignorai e sentii comunque il suo sbuffo sonoro quando varcai la soglia del portone. Filippo mi corse vicino, acclamando la mia attenzione, ma zia mi stava già parlando.

«Scusami per sfruttarti in questa maniera, sapevo che dovevo trovare una babysitter...», sospirò, frustrata, passandosi la mano sulla guancia.

«No, zia, tranquilla. A me va bene.» Presi Mario in braccio.

Lei annuì, «Bene, allora Filo è da Ilaria, mentre i bambini volevano fare un giro in bici, magari li porti a sperdersi un po' così stai tranquilla pure tu.» Mi sorrise, accarezzandomi la spalla.

«Va bene», diedi un bacio sulla guancia a Mario, che avevo preso in braccio, e carezzai i ricci di Filippo. «A dopo.»

Se ne andarono dopo qualche minuto e, io e i miei cuginetti, ci armammo di bici e monopattini per fare una passeggiata lungo la via privata. La ghiaia giallo ocra specchiato dalla luce del sole strideva sotto le ruote dei loro giocattoli.

Cominciarono a correre lungo la carreggiata, rispettando la regola del "non superare l'albero di castagne e non andare oltre le piantagioni di grano". Li seguii a braccia incrociate, mi fu inevitabile non puntare lo sguardo alla mia sinistra, oltre la strada principale, sulla casa a metri da me, casa di Elia.

Lanciai un ultimo sguardo ai bambini, che s'erano fermati per ispezionare una lumaca dal guscio informe. I miei sandali sgranocchiavano i piccoli sassi, attraversai la strada a passo svelto finché non mi ritrovai sul perimetro del muretto che separava il loro giardino malcurato dalla campagna circostante.

Aveva ragione lui, a casa sua c'era sempre un silenzio angosciante, quasi tangibile. Era spesso quanto una lama di metallo, e pesava. Fortunatamente a spezzare gli equilibri fu il tuonare gioioso di due voci femminili, Ilaria e Filomena.

Spuntarono da dietro l'angolo del giardino, si rincorrevano ridendo con i piedi scalzi e con delle bambole in mano. «Ciao, bimbe.»

Entrambe si fermarono e, una volta avermi individuata, mi vennero incontro.

«Isa!»

«Che ci fai qua?»

«Ho accompagnato i tuoi fratelli a giocare.» Li indicai da lontano. Le due si affacciarono maggiormente per guardarli. «Siete da sole?»

Alla ricerca dell'albaWhere stories live. Discover now