33. Stessa stazione? - Pt. 1

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"But, if the story's over why am I still writing pages?"
— Death By a Thousand Cuts, Taylor Swift.



Roma.
Autunno.



La frequenza dei giorni aumentava, così come la frequenza con cui cominciammo a vederci parsimoniosamente. Al bar a pochi passi dal Pantheon, a cena, a pranzo, ci chiamavamo a inizio giornata e ci scrivevamo prima di dormire.

Una mattina, Iolanda cominciò a tartassarmi, mangiucchiando delle patatine intinte nel cheddar prese al Mc, camminava avanti e indietro, facendomi girare la testa.

«Quindi...», si fermò, pensando, «Fammi capire se ho capito: hai paura di rompere definitivamente con Leonardo perché hai appena recuperato il rapporto con i tuoi, e loro vogliono a tutti i costi che questo matrimonio si faccia. E per di più, da come mi hai detto, non hanno un bel ricordo di Elia. Giusto?»

«Giusto.» Sospirai, roteando sopra la sedia con le rotelle, «Cosa mi consigli di fare?»

Lei riprese a camminare, «Certo, è una situazione complicata. Da una parte la tua famiglia e dall'altra l'amore della tua vita», mangiò altre due patatine e nel mentre io la fissavo rassegnata. «Qual è il tuo obiettivo?»

«Essere felice. Voglio questo, e soprattutto non voglio spezzare il cuore a nessuno.» Dissi, con serietà.

«Be', sull'ultimo aspetto ci chiudiamo un occhio.» Accennò, sincera, «Però, senti amica mi', tu pe' 'na vorta devi pensà pure a te stessa, eh.»

«Iole, non ci riesco. Lo sai, è più forte di me.» Feci spallucce, crucciandomi e schiacciando i palmi delle mani sulle guance.

«Dovresti trovare un modo per parlare di lui con i tuoi, magari cambiano idea.»

«Non li conosci come li conosco io. Credimi se ti dico che quell'estate arrivai ad odiarli.» Sbuffai, guardando l'orario, «Cacchio, è tardi, devo andare dall'estetista.»

Iolanda sospirò, guardando l'orologio, «È ora di andare anche per me. Ci sentiamo dopo, e fammi sapere se decidi qualcosa.» Mi disse, rubandosi il pacchetto di patatine.

Dall'estetista, Elia mi telefonò, nel giro di poche parole ci mettemmo d'accordo cosicché lui potesse passarmi a prendere per parlare un po'. Non appena me lo propose, senza nemmeno rifletterci, dissi di sì.

Aveva una strana influenza su di me.

Pensavo di diventare un'altra persona quando ero con lui, ma in verità diventavo un'altra persona quando ero con tutti tranne che con lui.

Quando lo vidi arrivare con la sua moto, una palpitazione sviscerata mi fece scattare in piedi, alzandomi dalle scale su cui ero accucciata, tenendo la borsa con una mano e incamminandomi a passo felpato verso di lui.

Elia si tolse il casco, una coltre di ricciolini ribelli gli sfiorarono le sopracciglia. Mi sorrise inevitabilmente, con quell'ombra di consapevolezza sulle labbra: la consapevolezza che avrebbe fatto svenire chiunque solo in quel modo così naturale. «Ehi.»

«Ehi», lo salutai, prendendo il casco che mi porgeva, abitudinariamente, portandomi i capelli di lato, «Dove andiamo?»

Elia mi osservò, togliendomi un capello dalla guancia, «Mi fai compagnia mentre fumo una sigaretta?»

Annuii, «Certo.» Abbozzai un sorriso, salendo sul motorino, e allora lui tolse il cavalletto e, infilatosi il casco, prese e partì.

Le buche e i dislivelli delle strade di Roma erano nettamente di più di quelle che c'erano ad Ischia. Mi stringevo a lui, circondandogli il bacino, sentendo contro i palmi delle mani il tessuto liscissimo della sua giacca di pelle.

Alla ricerca dell'albaWhere stories live. Discover now