7. Incarnazione del principio eracliteo

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"I contrari sussistono uno in virtù dell'altro. Ogni contrario è principio di spiegazione dell'altro."
- Eraclito 🌹


Ischia.
Estate.




Il pomeriggio era stato una costante crescita d'ansia nel mio stomaco. Le ore non passavano mai e io fremevo all'idea di dover uscire dalle mura della Villa per incontrare qualcuno con cui ero quasi amica.

Non seppi come spiegarmelo nemmeno in quei momenti lì, ma so dirti che si prova una gioia infantile e un po' stupida quando, dopo essere stata sola per tutta la vita, d'improvviso un estraneo prova a esserti amico, prova a fare la tua conoscenza, prova a capire i tuoi pensieri, i tuoi "se" e i tuoi "ma" senza un apparente motivo.

E forse quest'ultima frase "senza un apparente motivo" era la descrizione più azzeccata del nostro approccio; ci tenavamo compagnia senza motivo: eravamo semplicemente due persone, due adolescenti diversi, che abitavano lo stesso pezzamento di terra e che, casualmente, si trovavano bene nel scambiarsi due parole all'ombra della Luna.

Quel nostro rapporto cominciava man mano a intrigarmi di più. Cresceva a piccoli passi, fetta dopo fetta, e quelle fette — prima o poi — non mi sarebbero più bastate.

Dopo cena salii in camera. Come ogni sera, una volta tramontato il Sole, mia sorella usciva e tornava a notte fonda, e quindi tutte le attenzioni ricadevano sulla sottoscritta. Un minimo rumore e le orecchie dei miei si arrizzavano come fossero due bulldozer.

Attesi lo scoccare delle dieci, indossai una felpa rosa pallido, sistemai i capelli mossi e rosso fragola in una mezzaluna dietro al capo e infilai i sandali di camoscio. Alcun messaggio da Elia, ma sapevo non si fosse scordato di quell'appuntamento.

Scesi dalle scale lentamente, le mani nelle tasche enormi della felpa e gli occhi a girovagare per il salotto travolto dalla luce soffusa di una lampada ad olio accanto al divano. La casa profumava dei frutti di bosco che avevo raccolto quel pomeriggio, la mamma ci aveva fatto una crostata che avrei mangiato per colazione il mattino seguente.

Sentii il riverbero delle voci dei miei non appena accanto al portone, proveniva dalla veranda fuori alla cucina. Di corsa attraversai il portico, scesi in giardino e pescai le chiavi che avevo nascosto ore prima sotto ad un vaso di gerani, aprii il cancello e sgattaiolai fuori.

Una volta abbastanza lontana decisi di fermarmi, regolarizzare i battiti e camminare con calma verso il nostro punto d'incontro. Non sarebbe stato un bel vedere la mia faccia paonazza e il respiro ansante mentre gli andavo vicino.

A mia sorpresa, Elia era già lì. Stravaccato sulla ghiaia, le ginocchia a sbucare fuori dai bermuda lunghi come due cocchi scuri e la pelle bruna a illuminarsi al chiarore delle stelle. Non appena mi vide arrivare, mi rivolse un sorrisetto.

Mi fermai che ero dinanzi a lui, «Cazzo, c'hai sempre freddo? Ci sono quaranta gradi», rise, poggiando un braccio sul ginocchio issato.

«Sono una molto freddolosa», mentii.

Elia mi seguì con lo sguardo mentre decisi di sedermi di fronte a lui. Gambe incrociate, schiena ricurva. Lo lasciai scrutarmi per qualche secondo, fin quando non sentii lo scoppiettio della rotellina dell'accendino che stringeva tra il pollice e l'indice. Nella bocca aveva già la sigaretta pronta, quando se l'accese decisi di dire: «Fumi tantissimo.»

Alla ricerca dell'albaМесто, где живут истории. Откройте их для себя