36. Il filo rosso di Arianna

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"Checkmate, I couldn't lose."
— Mastermind, Taylor Swift.


Roma.
Autunno.



Avevamo approfittato insolentemente della settimana libera concessa da Leonardo e dai problemi che sarebbero arrivati dopo.

Non sapevo che fare.

Eppure la presenza costante di Elia destava equilibrio al mio disordine. Non raccontai ancora niente a Iolanda, volevo ritagliare solo per me quei momenti con lui senza pensare a chi dovessi raccontare tutto.

Elia mi rendeva facile il vivere.

Quando poteva sapeva come farmi felice, tramite quei piccoli, minuscoli gesti che fanno capire molto di una persona. Mi lasciava biglietti ovunque mettesse piede, lasciava la sua impronta eternamente come se non fosse già stampato nelle mie ossa.

Prese la palla al balzo, qualche giorno prima che Leonardo tornasse, invitandomi a stare da lui per il fine settimana, giusto per non stare da sola. Io accettai: il meteo minacciava burrasche e temporali, non volevo subirmi i tuoni da sola.

Casa sua era un vasto e moderno appartamento in un edificio a Trastevere, definiva molto bene i suoi gusti. Pareti bianche decorate da un paio di quadri, un televisore appeso in salotto, un divano lungo e in pelle, una sala da pranzo dal tavolo sferico che affacciava direttamente sul fiume e una camera da letto accogliente.

Ci finimmo dentro nell'arco di tempo di un secondo. Sapevo dovessi sentirmi in colpa, sapevo fossi una persona orribile e sapevo che non fosse una cosa giusta quello che stavamo facendo, eppure c'erano milioni di motivi che mi facevano credere mi fosse lecito provare quelle emozioni e sentirmi di nuovo viva.

I nostri corpi nudi si sfioravano, toccavano, univano armoniosi come le rime di una poesia. Tra le sue mani mi sentivo in balìa al mare, ci nuotavo senza sapere dove andare, ma non mi sentivo persa o afflitta, piuttosto era senso di libertà, dolcezza.

Le nostre bocche si toglievano, rubavano il respiro come se fossero destinate a farlo, come se non ci fosse altra scelta. Elia mi tolse i capelli dal viso, baciandomi le labbra lentamente e con delicatezza, con la punta dell'indice mi sfiorò l'angolo degli occhi, osservandomi. Ogni volta era la prima volta.

Ad avvolgerci ancor di più era il lenzuolo immacolato. I miei fianchi nascosti nei suoi, le mie gambe ad intrappolargli i polpacci, i nostri petti uniti, ossa contro ossa, incastrati perfettamente. Una mano a grattargli la schiena, sentendo l'essenza della sua pelle sotto le unghie, e l'altra a passare piano tra i suoi ricci, uno ad uno.

Scesi con lo sguardo per guardarlo direttamente negli occhi. Gli sorrisi senza nemmeno pensarci. Elia fece lo stesso, aprendo una voragine nel mio stomaco. Fossetta. Si avvicinò per darmi un bacio a fior di labbra.

«A cosa pensi?», sussurrai, sfregando il pollice sul suo labbro soffice.

Elia fece spallucce, infilando le dita tra le mie ciocche, «A tante cose.»

Annuii, bagnandomi le labbra, «Non posso saperle?»

Elia sorrise, si morse il labbro e si sistemò tra le mie braccia. Le mie dita a sentire i muscoli delle spalle e della schiena contrarsi. «Pensavo a quanto avessi sperato di averti qua, nel vederti in questa stanza, in questa casa.»

«Non hai rimpianti?» Chiesi, accarezzandogli il lobo dell'orecchio.

Negò, lasciandomi un bacio sul collo, assorbendo il mio profumo, «Neanche uno. Tu rimpiangi qualcosa?»

Alla ricerca dell'albaWhere stories live. Discover now