27. Il marinaio e la sua bussola

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"E se diventi farfalla, nessuno pensa più a ciò  che è stato quando strisciavi per terra e non volevi le ali."
— Alda Merini.


Ischia.
Estate.


«Ma che figlio di puttana!» Sbottò Fra, aprendo l'aletta della birra con il pollice gettandosi sull'asciugamano distesa sulla sabbia bollente.

Elia mi passò una fetta di pizza, una classica margherita, dopo averci dato un morso vicino. Si pulì la bocca con il fazzolletto, «Non ci pensare, è un coglione.»

A gambe incrociate e con le guance arrossate dal Sole, addentai il medesimo trancio di pizza, ascoltando Gaetano, Francesco ed Elia discutere di quanto accaduto il giorno prima con Giacomo ed Elisa.

«Ma tu guarda un po' che infamata!» Sbottò ancora, Gaetano. «Adesso quei due se la intendono?»

«Tra meno di una settimana già non si sopporteranno più.» Sbuffò Fra, poggiando la nuca sul pallone e chiudendo le palpebre.

«È una faccia da cazzo.»

«Ti dà fastidio perché te la vorresti fa' pure tu a Elisa, ammettilo.» Fra diede un calcio a Gaetano, ricevendo uno sguardo non molto amichevole.

«Ma quando mai, sce'», rispose Gaetano, «È che mi urta il sistema nervoso tutta la situazione. Ha sempre quella prepotenza addosso, un giorno di questi, se lo becco quando mi girano le palle, gli faccio il culo a strisce.»

Elia trattenne una risata, stendendosi con il capo sulle mie gambe, con tranquillità. «Non pensateci.»

Restammo sotto l'ombrellone in silenzio, col sottofondo del rumore del mare e della gente che si spandeva sulla spiaggia.

«Però c'ha ragione», borbottò dopo un po' Fra, «Vediamo che dobbiamo fa' a Ferragosto.»

«Manca ancora una settimana, fammi respirare.»

Elia sospirò, rilassato, «Poi vediamo.»

Quella settimana fu una delle più belle della mia vita. E, giustamente, è facile dirlo per me, ma c'era qualcosa, una forza invisibile che rendeva tutto ciò che facevamo assieme più magico.

Una mattina di metà settimana, Elia mi scrisse che doveva farmi vedere una cosa e dovevo farmi trovare fuori al cancello entro due minuti.

Non mi rivelò dove fossimo diretti, nonostante il mio ripetuto insistere. Oramai, tuttavia, avevo imparato a distinguere le strade e dove portavano, e avevo riconosciuto la strada che dirigeva a Ischia Ponte.

Il caldo d'agosto era tropicale, arido, i marciapiedi alle quattro pullulavano di bambini scalzi e in costume con il gelato in mano, altri che rincorrevano il pallone e turisti sudati.

Sbarcammo nel Piazzale delle Alghe, dove parcheggiò in silenzio con me impaziente e frettolosa.

«Smettila, siamo arrivati!», rise, togliendo le chiavi dal quadrante e sistemando il suo casco.

Mi afferrò per mano, trascinandomi con sé dietro un vicoletto che non avevo mai visto.

«Ma dove andiamo? Non sarà un'altra cosa illegale...», sussurrai.

«No», ridacchiò, baciandomi il dorso della mano. «È dove attraccano le barche.»

Sbucammo davanti a un pontile lungo e di pietra, c'erano tre barche ormeggiate ai lati di esso che oscillavano sul pelo dell'acqua cristallina, azzurrissima.

Mi accigliai, sorridendo, «Hai... hai una barca?», domandai in un mormorio flebile, guardandolo.

«Bingo.» Mi sorrise.

Alla ricerca dell'albaOn viuen les histories. Descobreix ara