25. Cicatrici di ricordi

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"Yes, yes, yes. I do like you. I am afraid to write the stronger word."
— Virginia Woolf.


Ischia.
Estate.



Decidemmo di andare da Silvia, l'unico rifugio plausibile in cui poterci nascondere.

Lasciai la macchina lì, parcheggiata davanti al cimitero. In sella al motorino, cinsi i fianchi di Elia, abbracciandolo delicatamente.

Arrivammo da nonna Silvia in cinque minuti. Ci aprì il portone e un odore di torta alle mele mi invase le narici. La sua espressione si storpiò quando lanciò uno sguardo al calendario vicino alla porta.

Non era il fine settimana.

La sequenza di avvenimenti fu: Silvia che lo bombardava di domande, Elia che aveva applicato il mutismo selettivo ed io che gli disinfettavo i tagli.

Solo una cosa disse: «Posso andare a dormire?»

Silvia sospirò, guardandolo intristita, «Non hai fame?» Ma dopo l'ennesima negazione di Elia, lei si decise ad annuire e lasciarlo andare.

Elia si alzò dalla sedia in cucina, facendo uno sforzo con la gamba, «Vieni?» Chiese, rivolto a me.

Gli sorrisi, cercando di rassicurarlo, «Arrivo, dammi cinque minuti.»

Lo osservai incamminarsi oltre il corridoio per poi scomparire dietro un muro. Senza rifletterci manco una volta, feci il giro del tavolo e abbracciai Silvia.

Non so per quale assurdo motivo lo feci, ma avevo la necessità di dimostrarle quanto fossi grata per quello che aveva fatto per Elia. Quell'insistenza che Elia non tollerava era, in realtà, il suo modo di manifestare l'importanza che dava a suo nipote.

Silvia aveva la costante paura di perderlo.

«Ti ha raccontato, non è così?» Sussurrò, intrufolando la sua leggera mano tra i miei capelli.

Annuii, con il mento sulla sua spalla, «Mi dispiace per tutto ciò che avete passato.»

Silvia mi asciugò le guance con il pollice, «Non devi dispiacerti, perché mai dovresti?»

Perché non c'ero.

Mi dispiaceva non esserci stata. Mi dispiaceva che Elia avesse dovuto passare tutto quello da solo. Mi dispiaceva anche solo non saper cosa dire per far capire a tutti quanto stessi male. Oramai Elia era entrato dentro di me, nel mio cuore, lo sentivo un po' mio, e mi sentivo tremendamente in colpa per non aver carpito i messaggi che mi dava, anche senza farlo apposta.

Ci sedemmo al tavolo, una di fronte all'altra. Silvia mi preparò una tazza di latte caldo con una fetta di torta di mele appena sfornata perché mi vedeva "giù di morale". Cominciammo a chiacchierare, del più e del meno.

«Gioele andava matto per Elia», disse, sorridendo, in mano il rosario, «Sono convinta che siano anime affini, quella di mio marito corrisponde a quella di Elia. Forse perché è cresciuto con noi, ma mio nipote non ha assolutamente niente di Simona e quella sottospecie di padre che si è ritrovato, la mia povera creatura.»

«Come si sono conosciuti Simona e...»

«E Giovanni?», alzò le sopracciglia, massaggiandosi la tempia come ad attivare qualche marchingegno della memoria, «Simona è sempre stata una ragazza senza limiti, dall'animo libero come diceva Gioele. Giovanni è figlio di un carrozziere a Barano, Ettore, una famiglia dai principi strani e bigotti che non abbiamo mai condiviso e, come puoi immaginare, soprattutto Gioele non era d'accordo alla loro relazione. Per farmi capire meglio: Gioele non s'è mai permesso di impedire a nostra figlia di chi innamorarsi, chi frequentare, ma la metteva in allerta, le diceva quelle paroline che le facevano capire che quel ragazzo non era un buon partito. Ma Simona non se l'è mai bevuta, ha sempre insistito e quella gioia mia ci è passata per sotto, così come quelle altre due creature. Quando è uscita incinta, sapevo benissimo che Simona non sarebbe stata in grado di capire l'importanza di un figlio, aveva la testa altrove e pensava ancora come una ragazzina e, come difatti, ci siamo ritrovati un neonato perennemente in casa un anno dopo.» Sospirò, facendo spallucce, «Ti ho chiesto di non lasciarlo solo, qualche settimana fa, perché so che Elia è stato fin troppo tempo da solo con se stesso e, non lo vuole ammettere, ma si odia. Io sembro scema, ma lo conosco meglio delle mie tasche. È da due anni che sta provando a riprendersi, sembra stia meglio, ma lo vedo che pensa sempre, pensa, pensa, pensa e non si ferma mai. Vorrei tanto sapere a cosa e ho paura che non riesca a restare a galla.»

Alla ricerca dell'albaWhere stories live. Discover now