❈26. 𝑰𝒍 𝒔𝒖𝒊𝒄𝒊𝒅𝒊𝒐❈

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Third person pov

[Un paio di giorni più tardi...]

Jung Hiah una ragazza che era sempre parsa solare e di buon cuore ora si trovava dietro le sbarre di una cella fredda e parzialmente buia. Solo una luce soffusa penetrava appena da una finestra fin troppo piccola posta su un muro in alto.

Lei vestita con una divisa arancione, era seduta su un materasso leggermente malandato e fin troppo scomodo per dormirci beatamente. I suoi capelli erano spettinati, i suoi occhi scavati e le sue labbra screpolate.
Nei capelli lunghi e neri, le sue mani tiravano leggermente delle ciocche.

Non sembrava più lei.
Il suo aspetto bellissimo e dolce rimaneva solo un vecchio ricordo. L'unica cosa che ora tutti vedevano era un'assassina che non meritava di vedere la luce del sole.

«Come ci sono arrivata qua?.. -si chiese in un sussurro, quasi sull'orlo della pazzia. Poi strepitó- COME CAZZO CI SONO ARRIVATA QUA?!»

Gli individui delle celle affianco iniziarono a generare sgomento al seguire delle urla della ragazza, iniziando a farfugliare con fin troppo fragore.

«Silenzio! -esclamó una guardia, battendo il manganello su una sbarra di ferro- HO DETTO SILENZIO!»

Tutti si fermarono e quella quiete fin troppo assordante, che governava le giornate della ragazza, le strapparono una lacrima. Fredda e solitaria che pian piano scendeva sulla sua guancia.

Era letteralmente diventata pazza. Per alcuni poteva costituire un difetto, ma per altri ancora no. La pazzia era anche considerata una forma di genialità, ed era meglio essere assolutamente ridicoli che assolutamente noiosi. O almeno così la pensava la corvina.

«SIAMO TUTTI CHIUSI DIETRO DELLE SBARRE COME DEI CANI!» urlò ancora Hiah.

Seguirono di nuovo sgomenti di acclamazione, ma la stessa guardia di prima riportò di nuovo il silenzio.

«SILENZIO! HO DETTO SILENZIO!» urlò nuovamente la stessa guardia di prima.

Lei si era messa a gridare in faccia a tutti la verità, o almeno quella che per lei lo era.
Tutti a questo punto la potevano prendere per pazza.
Ma alla fine se lo era o no, era tutto relativo. Chi stabiliva la normalità?

Dopo poco entró nella cella un'altra guardia. Lei era una donna e dopo aver lasciato con delicatezza il pranzo alla prigioniera se ne andò senza dire una singola parola.

Un altro sentimento che offuscava la mente delle ragazza era la paura ed era quello piuttosto rilevante che poi la porterà a una scelta di coraggio.

La paura era un qualcosa che non impediva la morte, ma tutt'altro: impediva la vita, impediva di viverla fino in fondo ed era quello che Hiah aveva inflitto a molte persone, a quelle che la conoscevano veramente.

La paura iniziava ogni sapienza, e chi non la possedeva non lo poteva sapere. Il profondo rispetto che provava non era poi cosí lontano e le scelte bisognava farle per coraggio, e niente altro.

Ovviamente ci sono sempre dei pericoli per ogni cosa che si compie, ma ci sono sempre dei pericoli ancora più grandi nel non fare nulla. Ed è per quello che doveva agire.

Osservò con riguardo il pranzo che la guardia le aveva dato poco prima.

Un sacchetto con dentro un contenitore con del ramen cotto e straricotto per poi essere riproposto chissà quante volte prima di finire dinnanzi agli occhi della ragazza. Prese le bacchette di legno e si prestò a mangiare, ma il pasto ormai era fin troppo freddo e assolutamente disgustoso.

Si fermò e riprese a tremare, piangendo. Tremava cosí tanto, con fin troppa debolezza che perfino le bacchette le caddero dalle mani.

Poi guardò il sacchetto di plastica che aveva posto sul letto vicino alla sua figura. Lì aveva visto un briciolo di speranza per lasciare definitivamente la situazione che pian piano la stava divorando internamente.

❈𝑴𝒀 𝑫𝑨𝑴𝑵 𝑬𝑵𝑬𝑴𝒀 || 𝑴𝒊𝒏𝒔𝒖𝒏𝒈❈Where stories live. Discover now