42. Damon

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 Appena varco le porte dell'ospedale e respiro di nuovo l'aria fresca e pulita, mi sento immediatamente meglio. Soprattutto perché Audrey è al mio fianco, le sue dita intrecciate alle mie e un sorriso sereno stampato in quel bellissimo viso stanco.

I miei genitori ci seguono a ruota. Sto camminando praticamente a due all'ora e mi sento un po' debole, ma non vedo l'ora di tornare a casa, vedere i miei amici e dormire nel mio letto. O in quello di Audrey.

Mi stringe la mano. <<Sei pronto? I ragazzi hanno preparato perfino una sorpresa>>.

Gemo. <<Spero non sia una festa e una casa piena di sconosciuti>>.

Ride e scuote la testa. <<Non preoccuparti. È qualcosa che ti piacerà e che la tua infermiera approva>>.

La attiro contro di me. Mi abbasso per sussurrarle all'orecchio. <<Saresti tu la mia infermiera?>>.

Mi accarezza il petto, sopra il giubbotto che in questo momento mi impedisce di sentirne il tocco. <<Proprio così>>.

Sento un fuoco vibrarmi dentro. <<Appena mi rimetto in forze, fragolina, giocherò volentieri con te a questo gioco>>.

Arrossisce di botto e si guarda alle spalle. I miei genitori sono indaffarati a cercare la macchina a noleggio per preoccuparsi della nostra conversazione sottovoce. <<Damon!>>, mi rimprovera poco convincente.

Mi abbasso e le stampo un bacio casto sulle labbra. Nascondo il lieve capogiro tirandola contro di me e quasi reggendomi a lei. <<L'idea ti piace, fragolina>>. Non mi smentisce. Uno a zero per me.

Il viaggio di ritorno è lento ma divertente. Mia madre non fa altro che raccontare aneddoti divertenti sulla mia infanzia e Audrey ride per tutto il tempo. Mi incanto a guardarla, seduta accanto a me, mentre mi rivolge i suoi meravigliosi sorrisi. Non mi stancherò mai di vederla felice. È diventato il mio scopo nella vita.

Il suo sorriso è vita.

Quando imbocchiamo la via di casa nostra, il mio cuore palpita di gioia. Mi manca da morire questo posto e quattro giorni fuori casa sono stati lunghi una eternità. Non vedo l'ora di infilarmi sotto la doccia e di buttarmi a letto. Sono esausto come in una di quelle giornate interminabili di allenamenti fisici di inizio stagione.

Audrey mi stringe la mano. <<Tutto bene?>>, chiede quando la macchina si ferma e mio padre accosta accanto al marciapiedi.

Annuisco. <<Sì, sono contento di essere tornato>>. Soprattutto sulle mie gambe.

Quando entriamo in casa, uno strano silenzio si aggira per le pareti. È strano. Molto strano. Infatti ad Audrey viene da ridere e senza dire niente, mi trascina in cucina. I miei coinquilini e la fastidiosa migliore amica di Audrey, sbucano fuori con uno striscione scritto a mano tutto storto e dei sorrisi felici.

<<Bentornato!>>, urlano tutti in coro. Un secondo dopo mi ritrovo soffocato nei loro abbracci stranamente delicati e quasi mi viene da piangere. Non sono abituato ad un simile affetto. A parte dai miei genitori, non ho mai ricevuto niente di simile in tutta la mia vita.

Mia madre, quella che mi ha messo al mondo, mi ha rovinato la mia infanzia per sempre. Non solo ero stato traumatizzato da tutto quello che avevo visto, ma mi aveva anche regalato la sua stessa incapacità di fidarsi. Adesso, però, guardando i miei amici, la mia ragazza e i miei genitori tutto quello schifo viene sostituito da questo.

<<Grazie, ragazzi>>, dico con la voce che quasi mi si spezza sulle ultime due lettere.

Audrey mi circonda con un braccio e si piazza al mio fianco quasi reggendomi anche se sarebbe fisicamente impossibile visto che pesa metà di me. Ma apprezzo il suo sostegno, come se avesse capito che ne avevo bisogno.

<<Micah ha preparato una torta. Io e Dylan l'abbiamo decorata>>, dice Ethan con una smorfia indicando una sottospecie di torta bianca con una scritta di cioccolato tutta storta.

Mi metto a ridere. <<Grazie del pensiero>>.

Dopo aver presentato i miei genitori al resto del gruppo, mangiamo quella torta che al contrario delle mie aspettative, ha un gusto decisamente migliore dell'aspetto.

<<Allora, come vanno gli allenamenti?>>, indago. Mancano due partite alla fine del campionato poi si passeranno i prossimi mesi a prepararci per il Rose Bowl e tutto il resto.

Micah si stringe nelle spalle. <<Bene, credo. Il coach sta provando a trovare il tuo sostituto per sabato, ma nessuno è alla tua altezza, cazzo>>.

L'idea di non giocare sabato mi manda fuori di testa. Credo sia la prima volta dal liceo che resterò in panchina senza la mia divisa ed è come se mi mancasse un arto importante. Giocare è tutta la mia vita.

<<Infatti, amico. Vedi di rimetterti presto>>, borbotta Dylan.

<<E poi non c'è più nessuno che rimette quello stronzo di Asher al suo posto. Crede di essere il re dello spogliatoio!>>, commenta Ethan. <<E' un tale imbecille! Prima o poi lo soffoco con le mie stesse mani>>.

Mia madre sgrana gli occhi. <<Asher?>>, domanda. <<Quel Asher?>>, domanda.

Annuisco. <<Sì, proprio quella testa di cazzo>>.

<<Damon!>>, mi rimprovera lei. Io ridacchio. Essere ripreso dalla propria madre a ventun anni è un po' ridicolo ma mi mancava.

Audrey sbadiglia e cerca di nasconderlo dietro la mano. È già il quinto che fa nell'ultima mezz'ora. È esausta e fatica a stare dietro alla conversazione. Da quando siamo arrivati, non ha detto una parola. Le tiro una leggera spallata. <<Hai bisogno di dormire>>, sussurro.

Scuote la testa e si appoggia con la guancia nel mio braccio. <<Sto bene>>.

Mia madre, segue la nostra conversazione. <<Perchè vuoi due non andate a dormire un po' e io nel frattempo preparo la cena per tutti?>>.

Micah è il primo ad alzarsi. <<Noi dobbiamo andare ad allenarci ora, ma apprezzeremo molto trovare una bella cena fatta in casa se non è troppo disturbo>>, dice quasi facendo le fusa.

Mia madre ci casca in pieno. Gli da un colpetto nel braccio. <<Nessun disturbo, tesoro!>>.

Micah gongola e trascina gli altri due verso la porta di casa. <<A stasera! E grazie signora Baker!>>.

Una volta che se ne sono andati, Summer ci osserva. <<Senza offesa, ma siete due zombie. Andatevene subito di sopra. Darò io una mano alla signora Baker>>. Il suo tono non ammette repliche.

Audrey non protesta quando le prendo un mano e la trascino al piano superiore. Non le chiedo nemmeno dove vuole andare. Entro nella sua stanza a la spingo delicatamente indietro sul letto. Si toglie le scarpe al volo e appoggia la testa nel cuscino.

Le palpebre le tremano per lo sforzo di tenere gli occhi aperti. <<Ho bisogno di farmi una doccia e poi torno>>, dico. Annuisce e la presa della sua mano si allenta. Aspetto che scivoli nel sonno e resto imbambolato a fissarla. Ha una espressione rilassata e serena.

Non è la prima volta che la osservo dormire, ma la stretta al cuore che sento adesso è qualcosa di nuovo. Come se dentro traboccassi di un emozione a cui non saprei dare un nome, ma mi fa una paura terribili.

Mi sono legato a questa incredibile ragazza dal primo momento in cui ho messo gli occhi su di lei quella sera di due anni fa e negli ultimi mesi è diventata il mio mondo. Quello che sento è così vicino all'amore. E per la prima volta non mi viene voglia di scappare.

Mi costringo a lasciarla e mi infilo sotto la doccia calda. Finalmente mi levo di dosso la puzza di ospedale e i miei muscoli contratti si rilassano. Non sono in forma, ma so che passerà. E in pochi giorni tornerò nel campo verde.

Nel frattempo ci sono un paio di cose che voglio fare: dedicarmi ad Audrey. Devo trovare un modo per ringraziarla per questi giorni. Ho già un'idea.

QUALCUNO COME TEWhere stories live. Discover now