62. Damon

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Si può tenere qualcuno nell'anima per sempre.

(Paola Felice)


La luce del sole penetra dalla tenda della finestra della stanza di Audrey. Ci siamo addormentati verso le tre, dopo aver fatto l'amore e parlato a lungo delle ultime settimane.

Mi sono pentito all'istante di non aver detto niente alla mia ragazza appena ho rivisto la mia madre biologica. Chiudermi in me stesso e allontanarla è stato istintivo. Non volevo mi vedesse in quello stato. Non quando mi ha conosciuto come il ragazzo allegro e spensierato che si divertiva a tormentarla.

Non volevo apparire debole ai suoi occhi. O che si stufasse di me, del mio passato e dei miei problemi.

Ho fatto una cazzata. Non avrei dovuto allontanarla.

Stanotte, quando ha confessato di amarmi, è stato il momento più bello della mia vita. Lo sapevo già, ma sentirlo è stato pazzesco. Sto ancora tremando.

Sbatto le palpebre velocemente e metto a fuoco il letto sfatto. Audrey è rannicchiata contro di me e sta dormendo. Bellissima. Le labbra gonfie per i baci, le guance rosee e il viso rilassato. È così fottutamene perfetta.

Le bacio la fronte in un bacio leggerissimo per non svegliarla, prima di alzarmi dal letto e uscire dalla sua stanza. Non sto scappando. Sto andando a cercare la colazione. È stato il mio stomaco che brontolava a svegliarmi e ricordarmi che non mangio niente da ventiquattro ore.

Raccolgo i miei pantaloncini da palestra e me li infilo. Gironzolo per la stanza raccogliendo le mie cose sparse in giro cercando di non fare rumore. Sta dormendo così bene che non voglio disturbarla. Aveva bisogno anche lei di farsi un paio di ore di sonno come si deve. Era stremata. Per colpa mia.

Scendo al piano terra in direzione delle cucine. Sono quasi le dieci del mattino e non so quanto può essere rimasto della colazione, ma ho intenzione di procurare un po' di tutto. Devo rimettermi in forze se voglio affrontare la giornata.

Devo delle scuse ai miei genitori per essere stato scostante anche con loro e devo assolutamente accendere quel maledetto telefono e fare i conti con quello che mi aspetta alla Cornell. Forse non avrò nemmeno una squadra da cui tornare. Questo weekend iniziano i playoff e io non mi sono mai presentato agli allenamenti. Il coach sarà fuori di sé dalla rabbia.

Spero che, una volta raccontato il problema, mi riammetta in squadra. Capirei se così non fosse. Ho tradito la fiducia di tutti andandomene senza avvisare.

Raccolgo quanto più cibo possibile e torno in camera da Audrey. Appena apro la porta, la trovo in piedi con solo una maglietta addosso, una delle mie che ha palesemente rubato dal mio armadio prima di partire e uno sguardo confuso in viso.

<<Pensavo...>>, inizia ma non finisce la frase. So quello che vuole dire.

Appoggio i piatti con il cibo sul tavolino accanto alla finestra e la raggiungo. Le circondo la vita con le braccia e la tiro contro il mio petto. Le sue mani si bloccano sui miei pettorali e mi guarda con gli occhi che non nascondono le sue emozioni. Paura, delusione. <<Non sono scappato, fragolina. Sono qui, con te>>, la rassicuro.

Nasconde il viso contro il mio collo e sospira. <<Ho paura che tu mi chiuda fuori di nuovo>>.

La afferro per le cosce e la sollevo dal pavimento. Mi circonda con le gambe ma si rifiuta di guardarmi. Anche lei, come me, odia mostrarsi vulnerabile. <<No, promesso>>, sussurro contro il suo orecchio. <<Sei l'unica con cui parlo e mi dispiace di averti ferito. Tantissimo. Non succederà di nuovo>>.

QUALCUNO COME TEWhere stories live. Discover now