CAPITOLO 3

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Il pick-up svoltò in Lahser Road, fermandosi davanti al cantiere in costruzione. Amos spense il motore stringendo il volante fino a farlo scricchiolare. Inspirò a fondo fissandosi nello specchietto retrovisore. I capelli mori sempre scompigliati gli incorniciavano il viso dai duri lineamenti. La mandibola squadrata era contratta rabbiosamente. Doveva andare al lavoro eppure non riusciva a pensare ad altro se non a quelle dannatissime foto che gli aveva mostrato Damian.

Si passò una mano nei capelli abbandonandosi contro lo schienale dell'auto. Non poteva credere che nel ventunesimo secolo esistessero ancora quel genere di realtà. Braccati per essere diversi. Un bello schifo.

Scese dal pick-up con una sigaretta già penzolante dalle labbra e si diresse velocemente verso il luogo di lavoro.

Il capocantiere non appena lo vide varcare la soglia della struttura gli elargì un saluto energico, come suo solito. Amos non riusciva a capire cosa ci fosse di tanto divertente nel svegliarsi presto e andare al lavoro. Fanculo la sua positività di mattina presto.

«White... oggi sei mattiniero vedo.»

Amos camminò a passo spedito davanti all'uomo senza fermarsi a fare chiacchiere. Odiava tergiversare e soprattutto non era uno molto avvezzo alla socializzazione. Preferiva molto di più una bella cassa di birra e un posto silenzioso dove scolarsela «Tutte le fortune, vero?» domandò ironicamente il giovane dirigendosi verso gli spogliatoi per indossare la divisa.

Come tutti i giorni il lavoro frenetico del cantiere lo assorbì completamente. Correre senza sosta da un'impalcatura all'altra lo aiutava a mantenersi in forma anche se il suo fisico piazzato non ne aveva assolutamente bisogno, per lo meno quel giorno era utile per mettere a tacere tutti i pensieri cupi che quella mattinata gli aveva regalato.

Bella mattina di merda.

Il capocantiere si affacciò alla sua postazione indicando un cumulo di mattonelle da giardino. «White dobbiamo portare quella roba all'entrata. Entro oggi va posato il vialetto, altrimenti siamo indietro con i lavori.»

Senza rispondere ma limitandosi ad annuire, Amos si diresse verso la carriola e iniziò a caricare la roba svogliatamente. Alzava una ventina di mattonelle alla volta, nonostante l'ingente peso, senza ricordarsi che il posto era brulicante di colleghi totalmente estranei alla sua natura. Infatti il cantiere era per lo più capitanato da colleghi umani. La convivenza era pacifica dato che nessuno sapeva la sua natura, lo consideravano semplicemente un tizio molto allenato e prestante.

Proprio mentre caricava l'ultima pila di piastrelle, pronto per trasportarle all'entrata dell'edificio in costruzione, una di queste evidentemente rotta gli tranciò il palmo della mano e un fiotto di sangue schizzò sul pavimento del cantiere.

Amos imprecò lasciando cadere le mattonelle. Quella giornata andava di bene in meglio. Alla vista del sangue i colleghi accorsero preoccupati e anche il capo si mosse in sua direzione. «Ehi White, è tutto okay?» domandò uno dei tanti volti che a fatica Amos riusciva a ricordare.

Lavorava con quella compagnia edile da oltre otto anni ma ancora non aveva memorizzato tutti i suoi componenti e spesso capitava di incrociarsi con qualche collega che lo salutava senza però ricordare chi fosse.

Il sangue continuava a colare copiosamente dal taglio profondo. Il mannaro si afferrò la mano e con un lembo della maglietta la compresse cercando di arginare l'emorragia. Sapeva che la ferita si sarebbe riassorbita a breve e nel giro di un'oretta non ci sarebbe più stato nulla. Purtroppo però un sacco di umani avevano assistito a quella scena. «Non è niente. Non è niente.»

«Non è niente? Cazzo White... hai bisogno di fare un salto all'ospedale da un medico.»

Un lungo brivido attraversò Amos dalla testa ai piedi. Un mannaro non andava da medici che non fossero a loro volta mannari e soprattutto, non metteva mai piede in ospedale. «No, tranquillo... non è così grave. È un taglietto superficiale.»

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