CAPITOLO 44

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Amos aspirò l'ennesima boccata dalla sigaretta, fissando il soffitto con lo sguardo perso nel vuoto. Sputò fuori il fumo rincorrendolo con gli occhi. Era steso su quel letto da... beh, non sapeva quanto.

Dopo l'apparizione di Nebbie aveva fatto di tutto per rintracciare Marlene. L'aveva aspettata fuori casa e da alcuni negozi dove l'aveva casualmente incrociata ma non c'era stato verso di poterle parlare. Ogni volta che lo vedeva, faceva un rapido dietrofront per barricarsi nuovamente nell'edificio da cui stava uscendo. Era perfino riuscito a reperire il numero di casa, le aveva telefonato, con conseguente chiusura in faccia della chiamata. Solo una volta gli aveva risposto, dicendogli di lasciarla stare e che se veramente teneva un briciolo a lei, non l'avrebbe mai più dovuta contattare. Insomma, si era ridotto veramente male per inseguire così una femmina che nemmeno voleva ascoltarlo. In fondo non poteva obbligarla, incappandole in casa come un pazzo.

Eppure non riusciva a pensare ad altro se non a lei. E malediceva la sua stupidaggine nel non averle detto nulla riguardo a Nebbie. Se lo avesse fatto, con ogni probabilità in quel momento sarebbero stati di nuovo avvolti in quelle lenzuola a darci dentro come avevano fatto quell'unica notte in cui si erano fusi in qualcosa che andava al di là del semplice amplesso fisico.

Allungò il braccio spegnendo la sigaretta nel posacenere che si era trascinato vicino al letto. Il cellulare continuò a vibrare per ricordargli che l'avevano più e più volte chiamato e aveva degli avvisi di chiamata non visualizzati. Ogni volta lo afferrava sperando di veder sul display il nome di Marlene e invece spesso era quello di Damian e i ragazzi.

Non aveva risposto a nessuno di loro. Fanculo tutti.

Voleva stare solo e possibilmente dimenticare tutto. Voleva dimenticare tutto, cazzo.

Si prese la testa fra le mani e sospirò. Che assurdità la vita. Era restato con il cuore barricato per anni e poi la prima volta che lo aveva tirato fuori, zack... un bel colpo secco al centro.

Estrasse un'altra sigaretta dal pacchetto, se la mise a fil di labbra e imprecò in cerca dell'accendino. Quando l'accese, inspirò con una certa urgenza, come se ne avesse un impellente bisogno e forse era proprio così.

Il ricordo di Marlene stesa lì accanto a lui gli faceva rigirar lo stomaco come la centrifuga di una lavatrice. Sentiva il cuore sgretolarsi in petto ogni volta che la pensava. Se chiudeva gli occhi poteva ancora sentire il suo profumo nella stanza e farlo lo faceva star di merda. Ecco perché non si faceva una sana dormita da giorni interi.

Con sguardo stanco fissò ancora il cellulare. Se l'avesse chiamata ancora, non l'avrebbe biasimata nel caso lo avesse direttamente mandato a fanculo. L'aveva tartassata così tanto che per un attimo si era sentito uno psicopatico.

Anche andarle sotto casa, forse era stata una scelta un po' azzardata. Ogni volta che lei lo vedeva, rientrava in tutta fretta e non usciva più per l'intera giornata. Un giorno era rimasto davanti a casa sua fino a notte fonda, anche sotto la pioggia. Lei non era uscita, lo aveva guardato dalla finestra che dava sulla strada e dopo un po' aveva abbassato la serranda.

Si sentiva un completo idiota.

In compenso una cosa buona l'aveva fatta: le aveva fatto sistemare l'auto che poi le era stata consegnata a casa, intatta e con un nuovo mazzo di chiavi.

Sperava che lo chiamasse almeno per ringraziarlo ma, niente. Nemmeno in quella occasione si era fatta viva. E dopo tutti quei tentativi a vuoto e tutto quel trambusto, Amos aveva iniziato a pensare che in realtà fosse veramente finita così.

L'idea lo tormentava da giorni.

La porta di casa si aprì con un tonfo e, un attimo dopo un vociare indefinito ruppe il silenzio di quel posto. Amos rimase steso immobile sul letto, senza nemmeno la voglia di buttar fuori chiunque avesse invaso la sua privacy.

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