CAPITOLO 28

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Amos bussò per l'ennesima volta alla porta di casa di Victoria. Lo avevano fatto entrare dal cancello principale, non capiva il motivo per cui lo stessero facendo aspettare tanto fuori casa.

Inspirò a fondo cercando di non farsele girare istantaneamente e sfilò una sigaretta dal pacchetto per ingannare il tempo.

Quel giorno, una volta terminato il turno di lavoro, era andato a casa di Victoria. Voleva assicurarsi che Damian avesse fatto il suo dovere di Mithpala e soprattutto voleva rincarare la dose e far sentire la mannara un'egregia merda. In questo genere di cose, Amos aveva una sorta di master. Riusciva a smerdare con una certa classe le persone.

Quando Victoria andò ad aprire aveva gli occhi gonfi e rossi di pianto ma disegnata in volto un'espressione carica di rabbia repressa. «Che vuoi?» gli domandò con arroganza, senza lasciarlo entrare.

Amos sorrise. Sì, forse per una volta quel rammollito di Damian non si era risparmiato. Appoggiò una mano contro lo stipite della porta e le sorrise. «Ero venuto a veder se Damian ti aveva parlato.»

A quel punto Victoria aprì di scatto la porta e cominciò a muoversi sull'ingresso come una furia. «Mi ha parlato?» domandò istericamente. «Mi ha parlato?» chiese con voce ancor più stridula, gridando.

Amos non disse nulla, guardandola compiaciuto e dispiaciuto contemporaneamente. Se da una parte provava dispiacere per la condizione in cui si era cacciata, dall'altra provava un senso di appagamento. Una sorta di personale vendetta per quello che aveva fatto passare a Marlene.

«Non dici niente, eh?»

Il pasura entrò in casa richiudendosi la porta alle spalle. Victoria continuava a camminare avanti e indietro così velocemente che Amos non si sorprese di vederle gli occhi gialli una volta che la mannara alzò la testa per fronteggiarlo. «Hai fatto la spia a Damian come un ragazzino di dieci anni. Per colpa tua sono stata minacciata di venir espulsa dal branco se ricapiterà una cosa simile.» Sferrò un pugno contro il tavolino vicino al salotto e questo fece un rumore poco rassicurante. Un altro pugno di quella portata e si sarebbe rotto. «Te ne rendi conto? Che cazzo ti ho fatto di male, eh?»

Amos che fino a quel momento era stato silenziosamente in disparte ad ascoltare i suoi sproloqui, avanzò con passo deciso ed una espressione indecifrabile in viso. Aveva tentato di non farsele girare, ma con scarsi risultati. Si aspettava delle scuse dopo il fatidico rimprovero e invece, quella stupida di Victoria non aveva capito la gravità della situazione. Non si era resa conto di come la sua sciocca superficialità avesse messo a rischio se stessa, il branco ma soprattutto Marlene.

«Vorrei dirti che mi dispiace, ma lo sai che non lo penso.» le disse lui, sfilandosi la sigaretta di bocca, che fino a quel momento era rimasta spenta a penzoloni tra le sue labbra. «Hai fatto una cazzata ed è giusto che finalmente qualcuno ti abbia detto qualcosa. Probabilmente se fossi stato al posto di Damian, saresti già da un pezzo fuori dal branco.»

Victoria proruppe in un ruggito. Gli occhi le tornarono ancora una volta gialli, per restarci. Un'ondata di potere si diffuse per la stanza. Amos non si mosse, a lui non faceva ne caldo ne freddo. Non era certo il potere di Victoria a intimidirlo.

La mannara colpì un vaso di fiori che rotolando in terra andò in mille pezzi. «Perché mi sono ubriacata? Perché ho sfondato la mia macchina? A te, in fondo, che cazzo frega?»

Amos si mosse rapidamente, afferrandola per le spalle. Anche i suoi occhi mutarono completamente... e il grigio così freddo e letale lasciò il posto all'intenso e luminoso giallo tipico dei mannari della sua razza. «Ti rendi conto che hai fatto ferire una tua amica? Ti rendi conto che siete state attaccate dai cacciatori e lei ti ha visto per metà trasformata?» la voce gli uscì in un ringhio. Metà umana e metà animale.

ARTIGLI - BACIO RUBATODove le storie prendono vita. Scoprilo ora