CAPITOLO 4

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Amos guardò Nebbie accigliato. Non la vedeva da oltre un mese e per come avevano rotto si augurava di non doverla più rivedere.

Invece la stronza, aveva avuto il coraggio di tornare da lui e dall'aria che aveva sembrava piuttosto sconvolta.

Per quanto anche la donna fosse a sua volta un pardo del branco, non si sentiva così magnanimo nei suoi confronti. Soprattutto dopo le belle corna con cui lo aveva adornato. Era stata una delle poche femmine a cui si era veramente interessato ma dopo due mesi di frequenza l'aveva beccata a letto con un altro. Umano per giunta.

Si era preso una bella scottata a quel tempo, anche se aveva recuperato alla grande.

Vederla lì però lo turbava. «Che ci fai qui?»

«Avevo bisogno di vederti.»

Amos serrò i denti con rabbia. Aveva una bella faccia tosta a presentarsi da lui in quel modo. «Ora mi vedi. Che vuoi?»

«Ecco, io... posso entrare?»

«Non lo so a dire il vero.» Se avesse digrignato un altro po' i denti, gli sarebbero saltati fuori dalla bocca. «Spero tu abbia un motivo valido per essere venuta da me.»

La donna tremò e una ciocca di capelli rosso fuoco le ricadde sul viso. «Sì... è molto valido.»

Allora Amos aprì di più la porta lasciandola passare. Nebbie gli passò accanto lasciandosi sfuggire un uggiolio. Era ancora innamorata di lui. Profondamente innamorata di lui. Quello che gli aveva fatto era stato un grosso errore, ora lo sapeva ma sapeva anche di non poter più tornare indietro.

Amos è uno che non perdona.

Appena lui richiuse la porta lei scoppiò in un pianto disperato.

«Quindi? Che succede?» domandò seccato. Nonostante non fosse minimamente dispiaciuto di vederla in quella condizione, trovava seccante la sua presenza in casa. Avrebbe preferito mille volte la petulante ed estenuante presenza di Victoria anziché la sua.

Nebbie tirò su col naso e con mano tremante si tirò un lembo della maglietta, tesa. «Ecco, dobbiamo parlare di una cosa.»

Invece di incitarla a continuare, Amos si limitò ad osservarla trucemente. Non avevano più nulla di cui parlare e lei lo sapeva bene.

«Amos, ascoltami... ti prego.»

Lui allargò le braccia esasperato. «Ti sto ascoltando, non vedi? Hai la mia più totale attenzione.»

«Credo,» la donna cercò con lo sguardo quello del Pasura, «credo di essere incinta.»

Amos strabuzzò gli occhi e barcollò giusto un secondo. «Aspetta che mi devo sedere.»

Era impossibile che quel bambino fosse il suo. Era stato attento. Attentissimo.

Si spostò sul divano e una volta seduto alzò lo sguardo per osservarla meglio. Nebbie si strizzava le mani con ansia sempre più crescente. L'agitazione la mangiava viva. Il fiuto di Amos, così allenato ed esperto, sentiva la sua paura talmente intensa da sovrastare qualsiasi altro odore.

Perfino quello di Marlene.

Nebbie si mise a sedere al suo fianco e cercò di prendergli le mani ma lui le sfilò seccamente. «Ho fatto diversi test... e sono incinta.»

«Lo sai che non è mio.»

Sul volto della donna si dipinse panico. «No, Amos, non è detto. Io - io non ne sono sicura.»

«Cazzo, Nebbie... sono sempre venuto fuori.» Si alzò di scatto dal divano cominciando a camminare su e giù per la stanza. «E poi usavamo precauzioni.»

ARTIGLI - BACIO RUBATOWhere stories live. Discover now