CAPITOLO 5

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Marlene abitava al terzo piano di un condominio in cui risiedevano tranquille famigliole. Era un quartiere molto pacifico e ogni volta che tornava a casa poteva godersi la quiete del proprio appartamento, ritagliandosi qualche attimo per le proprie passioni.

Come ogni giorno, varcò la soglia della propria abitazione e si guardò attorno sorridendo. Anche se ormai abitava lì da quasi sei anni, apprezzava giorno dopo giorno la sua indipendenza e la fortuna che era riuscita a crearsi con le sue sole forze.

L'entrata si affacciava direttamente sul salotto, uno spazio molto contenuto dove era riuscita a farci stare a malapena un divano a due posti e una televisione a schermo piatto. Da lì si ramificavano la camera, la cucina e un bagno. Ogni stanza era di dimensioni ridotte, eppure lei non avrebbe cambiato nulla di tutto questo.

Si era sudata quella casa con fatica e sacrificio ma soprattutto contro il volere della propria famiglia, che l'avrebbe preferita non di certo in Michigan. Nonostante i genitori avrebbero sperato per lei una vita diversa, Marlene si sentiva libera e felice in quelle quattro mura che si era scelta senza nessun obbligo o imposizione.

Peanut la raggiunse miagolando e strofinandosi contro le sue gambe richiamò la sua attenzione.

«Ehi, piccola. Hai fame?» domandò alla dolce palla di pelo che continuava a rotolarsi mostrando la pancia. Si abbassò per accarezzarle il ventre e la gatta miagolò compiaciuta.

Aveva trovato Peanut abbandonata insieme ai suoi fratelli in uno scatolone davanti al St. John Hospital, alla fine di uno dei suoi estenuanti turni di lavoro. Quando era passata davanti al cartone, un flebile miagolio aveva attirato la sua attenzione e quando aveva aperto la scatola, era rimasta sorpresa dalla presenza dei cuccioli.

Piccoli batuffoli tigrati.

Purtroppo di quella cucciolata erano riusciti a sopravvivere solo Peanut e un fratellino, a cui però era riuscita a trovare casa. Per lei quel ritrovamento era stato l'inizio di una grande amicizia, Peanut era così piccola che le entrava nel palmo di una mano. Era stata costretta a svezzarla, alzandosi ad orari improbabili. Non avrebbe mai pensato che una creatura così piccola sarebbe riuscita a conquistarla totalmente ed ora, erano diventate inseparabili. Tra loro si era creato quel solido legame che difficilmente nasce tra due persone, molto più facile tra una persona e il suo animale da compagnia.

Marlene sapeva che per quanto quell'appartamento fosse piccolo e vuoto, ogni volta che sarebbe tornata a casa, Peanut l'avrebbe raggiunta per festeggiare insieme il suo ritorno. Non c'erano secondi fini o falsità in quella piccola creatura ma solo un amore traboccante.

La ragazza si rialzò con il braccio la gatta e stringendola al petto abbandonò la borsa in terra toccando il tasto del telefono che faceva partire tutti i vocali lasciati nella segreteria.

Quattro vocali erano della madre, tre la supplicavano di tornare a casa mentre l'ultimo era un invito a farsi sentire. Marlene alzò gli occhi al cielo, di tutta la famiglia sua madre era quella che non aveva ancora accettato la sua scelta di vivere fuori casa.

Essere una fata in Michigan non era facile, a dire il vero non lo era a prescindere dallo Stato in cui si abitava. Doveva costantemente schermare la propria natura e far attenzione a tutte le creature sovrannaturali che incontrava lungo il suo cammino.

Nel ventunesimo secolo essere una fata era molto rischioso. Oltre ad essere molto rare e in costante calo demografico, spesso venivano considerate ottimi spuntini per i vampiri e ottimi banchetti per i licantropi. Non si sentiva al sicuro quando abbassava le barriere palesando la sua natura, ecco anche il motivo per cui la sua famiglia non aveva approvato il suo trasferimento.

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