CAPITOLO 40

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Alla fine l'aveva portata a casa sua. Dopo quella richiesta così energica ed eloquente, Amos non se l'era sentita di lasciarla sola nel suo appartamento. A dire il vero non ci aveva minimamente pensato, a costo di dover dormire sul suo divano e senza invito. Insomma, volente o nolente quella sera non si sarebbe allontanato dal suo capezzale. E lei non sarebbe riuscita a farlo desistere.

La paura provata quando aveva scoperto che le era successo qualcosa, gli aveva fatto perdere anni di vita e ancora il cuore continuava a battergli con tumulto nel petto. Non riusciva a darsi pace e ogni volta che la fissava, i lividi e i tagli che le stagliavano su tutto il corpo lo incendiavano di rabbia.

Non era andato ad ammazzarli tutti quanti solo perché aveva preferito prendersi cura di lei, anziché cercare loro. Ma sarebbe arrivato quel giorno e avrebbero rimpianto amaramente di aver fatto tappa proprio in Michigan.

La fissò sospirando, il vestito le copriva pochissimo di quel corpo sensuale. Era bella anche se ridotta in quelle condizioni, inoltre, ora che aveva la barriera abbassata ed era nella sua forma originaria la trovava quasi più seducente, ben lontana dagli schemi comuni delle donne umane o mannare.

Allungò una mano accarezzandole il viso e lei si lasciò sfuggire un sospiro. Con delicatezza la sollevò dal sedile e si diresse verso il portico.

Dopo aver recuperato con fatica la chiave sotto il tappeto - un nascondiglio non molto originale ma utile - aprì la porta con il piede e sorreggendo ancora Marlene entrò in casa. Si richiuse la porta alle spalle usando un colpo d'anca.

Proprio mentre cercava di far meno rumore possibile, la fata mugolò di dolore e le deboli mani si strinsero attorno al suo corpo ancora nudo. Amos sollevò gli occhi al cielo mordendosi il labbro. Era completamente nudo, con in braccio Marlene e ancora il rimbombante ricordo di una promessa sfumata. Sarebbe dovuta essere una lunga nottata da urlo ma il genere di urli che c'erano stati quella sera non erano proprio quelli che intendeva lui; insomma, il suo pisello non ne era affatto felice.

Si spostò verso la camera e con lentezza inaudita fece scivolare la giovane sul letto. I capelli le si aprirono a ventaglio, di un blu intenso come la notte. Il pasura non poté far altro che restare a guardarla, incantato. Non aveva mai visto nessuno di tanto bello e contemporaneamente inusuale. Lei era speciale, unica.

Non appena notò che si stava rigirando tra le coperte, Amos corse a mettersi qualcosa di pulito. Giusto una canottiera e un paio di pantaloni della tuta. Almeno non le sarebbe sembrato un fottutissimo maniaco sessuale.

Tornò al suo fianco in tempo per vederla socchiudere gli occhi. «Ehi.» le disse piano, mandandole una ciocca di capelli dietro un orecchio. Il fatto che avesse le orecchie a punta lo divertiva. Ci lasciò passare l'indice delineandone la forma e sorrise.

Marlene si portò la mano alla gola assumendo un'espressione sofferente.

«Hai sete?»

Lei si limitò ad annuire.

Amos non perse un attimo, si alzò schizzando in cucina e le prese un grosso bicchiere di acqua fresca, portandosi in camera perfino la bottiglia. In caso magari ne volesse ancora.

Le mani di Marlene raggiunsero il bicchiere tremante. Solo sollevare il braccio le procurò una miriade di scosse che le si diffusero fino alla punta dei piedi. Lo lasciò ricadere mollemente sul letto e fissò il mannaro quasi con espressione supplichevole. Non ce la faceva da sola.

«Lascia fare. Ci penso io.» le disse Amos, avvicinandole il bicchiere alle labbra. La fata si protese e lui lo inclinò leggermente, quanto basta per far scivolare l'acqua lungo la superficie in vetro.

ARTIGLI - BACIO RUBATOWhere stories live. Discover now