CAPITOLO 32

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Marlene la sera prima era uscita da casa Jasmann con un diavolo per capello e tanta voglia di fare baracca e burattini per tornarsene a casa sua in Scandinavia.

C'era stato un momento nel tragitto, che ci aveva veramente pensato ma poi il bollore della rabbia era scemato lasciandole in bocca un sapore amaro che non avrebbe digerito tanto facilmente.

Si può dire che in un'unica cena aveva liquidato tutti i contatti che si era creata negli anni in Michigan. Tutti in una botta sola. Un colpo da maestro.

Si era per un attimo aspettata che Amos la seguisse e invece, l'aveva lasciata percorrere il vialetto dei Jasmann a velocità sostenuta, quasi fatata da quanto si muoveva in fretta e alla fine, quando al primo chilometro se n'erano aggiunti altri aveva capito che nessuno l'avrebbe rincorsa.

Non riusciva ancora a credere al susseguirsi degli eventi della sera prima. Quella sciocca di Victoria aveva riempito Nick di domande subdole e fuorvianti a cui lui aveva risposto in maniera altrettanto fuorviante. Ne era rimasta talmente spiazzata che da brava stupida non aveva proferito parola ed era rimasta ammutolita davanti a quella scena così priva di logica.

Doveva imparare a reagire di più. A dire le cose come stavano realmente anziché aprire la bocca sgomenta e richiuderla a fine serata.

Di cose ne erano successe parecchie e quella mattina quando si era svegliata era rimasta a fissarsi le mani per una buona mezz'ora. Mai avrebbe pensato che un giorno avrebbe schiaffeggiato proprio la sua migliore amica. Mai avrebbe pensato di litigare con lei per qualcosa che ancora non aveva del tutto fatto e contro cui aveva combattuto sin dal principio.

Perché sì, tra lei e Amos le cose si erano fatte un po' calde la mattina prima ma non erano ancora scattati al livello successivo, quello della camera da letto e i vestiti in terra. Victoria le aveva dato della puttana a prescindere, senza nemmeno saper veramente i fatti nel dettaglio.

Non che ora avesse più importanza, ma le dispiaceva che la ritenesse una poco di buono quando aveva combattuto con tutta la sua razionalità per resistere a quel gran figo. Perché diciamocelo, Amos era figo. Su questo non ci pioveva.

Marlene sospirò, allungando le mani sulla testa e strofinandosi il viso. Indossava uno di quei pigiami degni delle migliori catene per dodicenni romantiche, un completo color rosa pallido con disegnati innumerevoli gatti in svariate posizioni. Il suo preferito era uno sul colletto che rincorreva un gomitolo.

Peanut si allungò al suo fianco, imitandola e la fata non riuscì a trattenere un sorriso. Nonostante la sera prima le avesse regalato un misto di emozioni contrastanti tra cui rabbia, delusione e tristezza, Peanut sapeva sempre strapparle un attimo di leggerezza.

«Vieni qui, cicciona.» L'afferrò per la vita baciandole a ripetizione il capo. La micia miagolò socchiudendo gli occhi e subito prese a far le fusa. «Andiamo a fare colazione.»

Come se avesse compreso quelle parole, Peanut saltò giù dal letto e corse in cucina iniziando a miagolare concitatamente. Aveva fame.

Quando la fata finalmente si alzò, accusò un terribile cerchio alla testa. La sera prima si era così tanto arrabbiata che alla fine non era riuscita nemmeno a piangere. Dopo aver chiamato il taxi era rimasta per tutto il tragitto imbambolata con lo sguardo fisso avanti a se, tanto che il taxista le aveva chiesto se stava bene.

No, non stava bene. Dannazione.

Per quanto quella mattina tentasse di non pensare a niente se non a se stessa e alla giornata di lavoro che l'aspettava, non riusciva a smettere di portare i propri pensieri ad Amos. Lo sguardo che le aveva lanciato per tutta la sera precedente era pieno di disprezzo e delusione. Solo a fine serata, Marlene aveva compreso il motivo della sua rabbia. Lui pensava che lei e Nick fossero una coppia. Solo a immaginarselo le venivano i brividi.

ARTIGLI - BACIO RUBATOWhere stories live. Discover now