CAPITOLO 22

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«Marlene? Marlene?» Amos affondò il piede nell'acceleratore. «Marlene!» continuò a chiamarla a gran voce.

Di sottofondo sentiva solo urla, grida e poi il nulla. La chiamata saltò.

Il pasura raggelò, colpendo ripetutamente il volante. No, no, no. Cosa cazzo stava succedendo? Possibile che fossero state attaccate dai cacciatori? Dannata, Victoria.

Le strade erano deserte, non c'era anima viva in giro. Scorazzò ad andature impensabili, passando perfino in strade a senso unico, ignorando limiti di velocità e semafori rossi. In quel momento le regole stradali erano l'ultimo dei suoi pensieri. Soprattutto quando la vita di Marlene era in pericolo.

Il petto gli batteva all'impazzata. Non riusciva a descrivere quel timore che si era insinuato in lui e che continuava a tormentarlo. Cosa poteva esserle successo? Non poteva nemmeno lontanamente immaginarla ferita o anche solo spaventata.

Quella preoccupazione crescente gli fece comprendere che quella femmina valeva veramente qualcosa, per lui. Non aveva ancora compreso bene cosa c'era tra loro ma si erano in qualche modo avvicinati e ora sembrava che la sua felicità dipendesse dalla felicità di lei. Sperava di non essersi fregato con le sue stesse mani. Lui non era un tipo avvezzo all'amore, anzi, ne scappava il più lontano possibile. L'idea però che provasse per Marlene anche solo qualcosa di lontanamente simile, lo terrorizzava. Non poteva invaghirsi di una femmina. Non era da lui.

Svoltò nuovamente imboccando la via principale che conduceva alla villa di Victoria, di lì a poco sarebbe stato vicino a casa sua. Ancora non c'era traccia di loro. Temeva le avessero prese. Temeva di essere arrivato troppo tardi.

Cazzo, no. Non ci doveva pensare.

Strinse il volante fino a farlo scricchiolare. Gli occhi diventarono gialli. La bestia scalpitò per uscire e fare a brandelli chiunque avesse osato farle del male. L'idea che in questo momento fosse in balia di qualche malintenzionato lo fece andar fuori di testa. Ruggì furioso.

Stava per accelerare nuovamente, quando in mezzo alla strada scorse qualcosa. I fari del pick up illuminarono due figure, chine in terra. Non appena le riconobbe, il cuore si sentì improvvisamente più leggero. Erano loro.

Inchiodò mettendo in folle e scese dall'auto quasi correndo.

Marlene soffiò non appena sentì dei rumori, accecata dai fari del pick up non si accorse che era proprio Amos quello che si stava avvicinando. Si alzò in piedi pronta per difendere nuovamente l'amica svenuta. I denti affilati e pronti ad azzannare chiunque si fosse avvicinato troppo. Era in forma umana, salvo i denti.

Il pasura si accorse subito dello stato di shock in cui versava la giovane. Si avvicinò piano e tenendo le mani in vista. «Marlene, sono io.»

La fata soffiò di nuovo e con gli occhi ancora blu luminosi lo fissò giusto un attimo prima di riconoscerlo. Quando si accorse che era lui, tutte le energie le scivolarono via, riversandosi in terra come bile. Si sentì fragile come un bicchiere di cristallo. Mise un passo dietro l'altro assicurandosi di reggersi in piedi e poi lo raggiunse correndo.

«Amos.» Gridò stringendolo e scoppiando a piangere dirotto. I singhiozzi la scossero interamente da cima a fondo. Tremava come una foglia. «Sei qui. Sei veramente qui.»

Amos restò sorpreso da quel contatto. Si lasciò stringere e quando Marlene si fu calmata un po', la scostò da se per veder meglio le condizioni in cui era. Il labbro continuava a perdere sangue tanto quanto la ferita alla caviglia, inoltre graffi più o meno profondi alternati a lividi le si estendevano in tutto il corpo. Le passò le mani sulle guance, tenendole il viso tra i palmi, i suoi occhi divennero subito gialli. La bestia ruggì nelle profondità del suo essere. Un istinto di puro possesso lo investì con impetuosità. Le lasciò scorrere le mani lungo le braccia e la strinse cercando di dominare questa sua pulsione ma l'energia mannara si estese avvolgendola come una calda coperta.

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