CAPITOLO 37

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Un colpo. Due colpi. Tre colpi.

Al quarto schiaffo Marlene dischiuse leggermente gli occhi. Una intensa luce artificiale la colpì dritta in viso, costringendola a coprirsi con la mano. Il corpo le faceva male, come dopo ripetute percosse. Allungò le gambe e una fitta lancinante la fece sussultare.

Lentamente riemerse da quello stato di incoscienza nel quale era caduta. Sbatté più volte le palpebre prima di mettere a fuoco dov'era.

Si trovava a terra, in una stanza asettica, priva di mobili e con due grossi plafoniere agganciate al soffitto che continuavano a rimandare quella tremenda luce gelida. Cercò di sollevarsi leggermente ma un'altra scossa la costrinse a desistere.

Con lo sguardo scandagliò il proprio corpo alla ricerca di ferite eppure constatò che almeno visivamente non aveva nulla. Forse si era rotta qualcosa ma non lo avrebbe saputo fin quando non avesse fatto una lastra.

Mentre si assicurava che le gambe fossero apparentemente a posto, si rese conto di non essere più vestita con gli abiti di quel giorno. Indossava una specie di tunica ospedaliera, bianca e aperta in tutta la sua lunghezza sul retro. Inoltre era scalza.

Nick le diede l'ennesimo schiaffo e sorrise divertito quando si accorse che era sveglia e cosciente. Era piegato carponi, sovrastandola con uno sguardo cupo e indecifrabile. «Ben svegliata, zuccherino.»

«Dove sono?» bisbigliò lei, la voce le raschiava la gola con sofferenza.

Impuntò le mani a terra e cercò di sollevarsi a sedere per l'ennesima volta, nonostante la scossa di dolore si costrinse almeno a sorreggersi e appoggiare la schiena al muro. Solo per via di quel gesto si accorse delle manette che le legavano mani e piedi. Le fissò sgomenta e sollevò lo sguardo verso Nick, ancora più confusa.

«Sono di rame. Così inibiscono i tuoi poteri di fata. Furbo, eh?» il medico si picchiettò la testa, aveva le pupille dilatate e la fronte imperlata di sudore. Continuava ad aver leggeri tic con la testa e si strizzava le mani, fin quasi a farle diventare bianche.

Marlene sgranò gli occhi. Nick sapeva cos'era. Nick era a conoscenza della sua vera natura. Cercò di tirare le braccia al petto ma le manette si bloccarono a metà strada per via della catena a cui erano agganciate e che terminava impiantandosi al suolo. Una catena troppo corta per anche i più abitudinari movimenti. «Cosa diavolo vuoi da me?»

Lui scoppiò in una fragorosa risata. «Come prima cosa, ho bisogno di farmi una dose del tuo sangue. Ho finito la mia roba.» Si alzò spostandosi per la stanza e dandole le spalle armeggiò con qualcosa poggiato sopra un vassoio.

Quando si voltò aveva una siringa in una mano e il laccio emostatico nell'altra.

Marlene iniziò a tirare le catene brutalmente, il rame le bruciò la pelle tagliandogliela ad altezza polsi. Nonostante questo, cercò di tirare con ancora più forza, nella speranza che cedessero. «Smetti Nick. Smetti.» strillò cercando di divincolarsi mentre lui avanzava con un sorrisetto stampato in faccia.

«Devo farlo. Il tuo fidanzatino mi ha spaccato il naso e mi serve il tuo sangue per rimarginare le ferite.» disse segnandoselo. I loro colleghi glielo avevano curato, sicuramente data l'entità del danno erano stati costretti ad effettuare un riallineamento e ora aveva il viso fasciato e grossi lividi che si estendevano in tutta la zona circostante.

Se prima non era dispiaciuta di quello che Amos gli aveva fatto, ora le dispiaceva ancora meno. «Cosa – cosa posso fare per esser liberata?» La fata si guardò attorno alla ricerca di qualcosa da usare per difendersi. «Ti servono dei soldi? Non ne ho molti... ma son sicura che riusciresti a prendere molte dosi.»

ARTIGLI - BACIO RUBATOWhere stories live. Discover now