CAPITOLO 52

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Marlene rimase a guardare tutto quel sangue con gli occhi sgranati di terrore e un fremito persistente. Il pavimento ne era interamente intriso.

Quella macchia di rosso che si estendeva in una gigantesca pozza, sembrava un vasetto di vernice o di sugo di pomodoro caduto rovinosamente in terra.

La sua mente più osservava quel massacro, più si rifiutava di registrarne la gravità.

Con movimenti malfermi si trascinò verso l'ammasso di corpi e solo allora si rese conto che la testa di Samael era rotolata lontano da quel groviglio di arti e zampe, recisa di netto dagli affilati denti di Amos. Il silenzio calò sulla casetta nel bosco, nemmeno un rumore intaccò quell'attimo così privo di tutto, vuoto. Solo qualche secondo dopo Marlene trovò il coraggio di guardare più attentamente il corpo del leopardo, ancora riverso su quello di Samael.

Quando fu abbastanza vicina si rese conto che la bestia era immobile, non c'era nemmeno l'accenno di un movimento. Nemmeno il tenue sollevarsi dello sterno che scandiva il respiro.

«Oddio, Amos.» disse lei, scoppiando a piangere e allungando le mani che si mossero tremanti sul manto della bestia. Improvvisamente sentì sotto i polpastrelli il movimento lento e costante del mutamento, lo spostarsi delle ossa e dei muscoli.

Ritrasse le mani impressionata e fissò il leopardo mentre con un ultimo sforzo tentava di spostarsi dal cadavere di Samael.

Totalmente privo di forze, Amos si accorse che non riusciva nemmeno a sollevarsi quanto basta per crollare vicino al cadavere del suo avversario. Non era sua intenzione tornare umano sopra di lui e inoltre aveva bisogno di più libertà per riuscir a respirare, un'azione che sembrava diventare sempre più difficile di minuto in minuto.

Non appena Marlene comprese le sue intenzioni, lo afferrò delicatamente per le spalle, girandolo. Tre fori giganteschi stagliavano nel petto della bestia, il respiro gorgogliante era flebile, quasi impercettibile. Gli occhi gialli restavano fissi in un punto, perdendo lentamente di tono. La fata non riuscì ad arrestare le lacrime quando vide le sue condizioni. Scoppiò a piangere portandosi le mani alla bocca e cercando in qualche modo di trattenere la paura che la stava pian piano soffocando.

Continuava a ripetersi che sarebbe andato tutto a posto, che non c'era nulla da preoccuparsi ma a guardando quei crateri traboccanti di sangue non ne era più così sicura.

Gli arti della bestia si spezzarono e risaldarono a velocità magistrale. Un mutamento rapido e necessario. La bestia tornava nelle profondità per lasciare spazio alla parte umana. Quando le condizioni del fisico non permettevano di mantener la trasformazione, il corpo si ritirava nel primordiale stadio umano, come se cercasse di preservare le ultime forze.

Con il leopardo appoggiato sulle gambe, Marlene rimase a fissare quella lenta agonia. Gli carezzò dolcemente il manto, lasciando scorrere le dita nel pelo fulvo e intriso di sangue. «Vedrai che andrà tutto bene.» gli disse tra le lacrime, cercando di rassicurarlo.

Il felino espirò con un gorgoglio, faticosamente. Socchiuse gli occhi sopraffatto dal dolore mentre gli arti si allungavano per riassumere forme umane. Con uno schiocco alcune ossa si spezzarono, sistemandosi nei posti giusti, sormontate da nuovi muscoli.

Il pasura allungò la zampa su quella della fata, non c'erano parole nella sua voce ma i suoi occhi esprimevano tantissime emozioni. Erano tornati del loro naturale grigio, quello di cui tanto si era innamorata Marlene.

Lei restò immobile a fissare quel lento procedimento: la pelliccia spaccarsi, il liquido traboccare dagli squarci, la mandibola dislocarsi per poi tornare nella posizione usuale per una persona umana.

ARTIGLI - BACIO RUBATOWhere stories live. Discover now