CAPITOLO 50

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Non c'era nessun orologio che segnasse l'ora in quel posto. Marlene si fissava attorno alla ricerca di un punto di riferimento ma dalle finestre filtrava solo un tenue bagliore lunare e tutto ciò che vedeva, era una massa informe buia. Sicuramente era ancora notte.

Sospirò, stringendo la manina di Marie Anne, ancora addormentata su quel freddo e lurido pavimento. Restò a fissarla a lungo assorta nei propri pensieri. Era solo una bambina e già era stata catapultata in una realtà orribile, obbligata a conoscere una parte del mondo che a volte, nemmeno tutti gli adulti son costretti ad affrontare, per loro fortuna.

Le accarezzò la mano e la sentì borbottare qualcosa, un mamma biascicato a denti stretti, ancora addormentata. Iniziò a muoversi nel sonno con agitazione, chissà cosa stava sognando. Si rigirava senza mollarle la presa sulla mano, sbuffando e gemendo con crescente angoscia. A vederla così sembrava in preda ad un incubo.

Istintivamente, Marlene riprese a canticchiare la nenia che aveva da poco imparato e Marie Anne dopo un forte sospiro si acquietò, tornando a dormire profondamente. Il volto le si distese in un'espressione rilassata e la fata si sentì più sollevata nel vederla finalmente riposare serena.

Quella schifosa situazione in cui erano finite, non sarebbe durata per sempre. Marlene era sicura che qualcuno le avrebbe cercate, se non Amos, sicuramente il fratello di Marie Anne. Mordendosi con insistenza il labbro, tornò a guardare la piccola.

Nonostante fossero rinchiuse in delle gabbie e fossero diventate merce in vendita, quella ragazzina, seppur così piccola e indifesa, sembrava cento volte più tenace di lei. A parte la crisi di pianto più che lecita, Marie Anne si era dimostrata molto più matura per la sua età e questo dava molto da riflettere alla fata che in parte si sentiva ancor più sciocca per quello che le era successo con Amos.

Si era lasciata sopraffare dai propri timori e aveva reagito in maniera immatura, forse più immatura perfino della giovane a cui stava tenendo la mano per dormire.

Chiusa in quelle quattro mura di rame, si era trovata a rimuginar su tutta una vita; una vita passata a fuggire dai sentimenti e dall'amore. Un'intera esistenza passata nell'ombra di se stessa con la paura di mettersi in gioco realmente.

Tormentò nuovamente il labbro, cercando una soluzione ai suoi problemi, sia quelli più urgenti come la loro prigionia che quelli sentimentali. Ancora il cuore non le smetteva metaforicamente di sanguinare. Il dolore che aveva procurato ad Amos le era tornato indietro come un boomerang, sapeva che sarebbe successo. Quando si ama, si soffre a propria volta nel veder la persona amata soffrire.

Si ripromise che se mai fosse uscita viva da quella situazione, sarebbe andata a casa del mannaro per parlargli e provare a rimettere insieme i cocci rotti dei loro cuori. Sempre che lui volesse saperne ancora qualcosa di lei.

Samael raggiunse le gabbie e sorrise nel veder quella scena tanto dolce quanto triste, le due prigioniere che si tenevano per mano attraverso le gabbie di differenti metalli. Quasi commovente, quasi. Ormai il suo cuore era talmente arido che nemmeno spettacoli tanto strazianti lo scalfivano più, anzi, spesso trovava buffi quegli atteggiamenti così pietosi.

Passò il coltello sulle sbarre, facendolo tintinnare e subito Marie Anne riemerse dal sonno con un gemito di terrore, portandosi le mani al petto e rannicchiandosi in posizione fetale.

Sul volto dell'uomo si dipinse un sorrisetto soddisfatto, divertito. «A momenti arriverà un altro dei nostri. Passerà a prelevare un po' di merce che abbiamo fatto in questi giorni.» le informò il cacciatore, rigirandosi il coltello fra le mani e sorridendo sbieco. Vederle lì in trappola lo rallegrava enormemente. Erano una sorta di trofeo ben guadagnato, soprattutto la fata. Quella dannata sovrannaturale gli era costata un uomo, meno soldi da dividere, certo, ma più mole di lavoro per ognuno di loro. «Mancano solo delle fialette di sangue.»

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