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Edith

«Ehi...»
Qualcuno mi scosse il braccio e di riflesso spalancai gli occhi, ritrovandomene un paio neri scrutarmi da sotto le ciglia.
Sobbalzai per la vicinanza, e mi misi immediatamente a sedere sulla panca di legno dove ero precedentemente distesa. La velocità con la quale mi ero sollevata fu tale da farmi girare la testa, quindi imprecando portai una mano sulla fronte per placare, seppur invano, il proprio vorticare.
«Devo chiamare un'ambulanza?»
Mi voltai a destra, aggrottando le sopracciglia quando provai a capire chi fosse esattamente il ragazzo che aveva una mano appoggiata sulla mia schiena, e scossi il capo in negazione.
«Cosa è successo?»
Mi scostai dal suo tocco e strisciai sulla panca di legno sino a stabilire una distanza tra me e l'estraneo con il quale ero chiusa in questa stanza da chissà quanto tempo.
«Eri in magazzino e ti ho aiutato ad uscire, ma sei svenuta non appena ho aperto la porta.»
Strinsi le labbra in una linea dura, tendendo la mascella perché non era possibile che fossi crollata prima di scappare. Avrei dovuto mettermi due biscotti in bocca e masticarli, così non sarei svenuta e avrei evitato il dipendente del minimarket che, adesso, stava alle mie calcagna. Ciò che più mi faceva stare sull'attenti e preoccupare di conseguenza, però, era che lui avesse deciso di prestarmi soccorso anziché consegnarmi a chi di dovere. Aveva rischiato il suo posto di lavoro, per me. E siccome non ero proprio il genere di ragazza sprovveduta, ero consapevole che questo avrebbe implicato l'obbligo di fornirgli delle spiegazioni qualora me lo avesse chiesto, e io non avrei potuto rifiutarmi perché, a quel punto, lui avrebbe avuto il coltello dalla parte del manico.
Ero in trappola. E mi ci ero messa da sola.
Controllai lo sguardo di Heath -così recitava il cartellino che era puntato sulla sua maglia nera- alla ricerca delle sue intenzioni, ma non trovai nulla che avrebbe potuto rassicurarmi o prepararmi al dopo. Aveva controllato i miei documenti? Mi aveva riconosciuta e per questo mi aveva portato in un...Non sapevo nemmeno cosa fosse.
«Dove siamo?»
Mi alzai in piedi di scatto e per poco non persi l'equilibrio. Heath mi afferrò nuovamente ma mi scostai riluttante.
«Ti ho portato nel mio camerino. Ti è andata bene che chiudo io stasera, quindi siamo soli.»
Le ultime parole, seppur pronunciate con tono rassicurante, mi misero a disagio poiché fecero suonare un campanello d'allarme nella mia testa, quindi reagii spostandomi verso il mio zaino e il mio giubbotto, che giacevano accanto ad un armadietto. Heath rimase in silenzio mentre mi chinavo per raccoglierli però, quando li sistemai tra le mie braccia, il contenuto cadde sul pavimento: gli oggetti personali e rubati si riversarono su esso. Ero sicura di averli chiusi a dovere.
«Li hai toccati tu?!» Accusai il mio soccorritore puntandogli l'indice contro il petto.
«Solo il giubbotto di jeans. Cercavo i tuoi documenti, ma ho trovato soltanto quelli.» Indicò le barrette e la tavoletta di cioccolato per terra: «Dovresti mangiare piuttosto.» Heath mi afferrò delicatamente il polso e riportò il mio braccio al suo posto mentre io continuavo a guardarlo furiosa. Non ero nella posizione di stabilire cosa fosse corretto o meno, perché avevo rubato, ma non avrebbe dovuto frugare tra le mie robe. Inoltre, era impossibile che non avesse trovato la mia carta d'identità poiché era vicino ai biscotti al limone.
«Smettila di guardarmi come se volessi farti un torto da un momento all'altro.»
Il ragazzo davanti a me, che sino ad allora era stato gentile nei miei confronti, si scaldò, sbuffando, e mi diede le spalle per raggiungere una porta di legno malandata.
Cosa aveva intenzione di fare? Voleva cercare il suo capo? Chiamare la polizia? Aveva chiaramente detto che ero stata fortunata perché eravamo da soli, eppure ero sicura che prima di svenire qualcuno lo stesse reclamando.
«Dove vai?!»
Un'ondata di panico mi travolse, quindi ritornai sui miei passi e lo fermai per un braccio.
«Me ne vado a casa, dato che preferisci farti fottere dal tuo pessimo temperamento piuttosto che farti aiutare da me che, tra parentesi, ho rischiato di brutto nascondendoti.» Appoggiò la mano sulla mia per spostarla, ma io strinsi le dita attorno ai suoi bicipiti, affondando i polpastrelli nella sua pelle.
La verità era che non volevo alcun tipo di aiuto, perché ero sempre stata abituata a cavarmela da sola. Ero diffidente e avevo un pessimo carattere, come lui non aveva esitato a sottolineare, ma non lo facevo apposta; l'intemperanza era diventata parte della mia natura, ormai. Dato che mi ritenevo piuttosto oggettiva e che non potevo smentire un un'ovvietà, mollai la presa e mi feci da parte.
«Non andartene, per favore.»
Continuavo a non sapere che ora fosse, che cosa fosse accaduto mentre ero sdraiata sulla panca di legno, e ignoravo ancora i motivi che avevano spinto questo ragazzo a coprirmi, quindi -seppur restia- decisi che avrei fatto affidamento sul mio soccorritore.
La stanza silenziosa si riempì con un sospiro sonoro, ma Heath non si mosse di un centimetro. Lo considerai come un progresso perciò, sententendo lo stomaco brontolare, andai a raccogliere il cibo che era caduto dal giubbotto di jeans per evitare di stare male di nuovo. Mi chinai, sedendomi con la schiena contro gli armadietti metallici, e aprii la tavoletta di cioccolato fondente. Le diedi un morso ignorando la presenza che si era accostata a me, e mi sentii subito meglio. Non mettevo nulla tra i denti da moltissimo tempo, e le mie papille gustative danzarono mentre il mio stomaco esultava estasiato.
«Ho rubato queste cose.» Ruppi il silenzio.
Odiavo ammettere i miei sbagli o rivelare i miei peccati, poiché andava contro la morale che avevo costruito negli ultimi anni, ma era sembrato il gesto più corretto che avessi potuto fare nei confronti di una persona che aveva deciso di non incasinarmi.
«Lo so.»
Un fruscio di tessuto contro l'armadietto mi portò a spostare l'attenzione alla mia destra, notando quanto le distanze si fossero accorciate tra noi. Per la prima volta lo osservai attentamente: aveva gli occhi neri, i capelli castano chiaro, il naso piccolo e dritto, e doveva essere molto alto dato che fu costretto piegare le gambe perché l'angolo che avevo occupato era troppo stretto, in quanto incastrato tra una sedia e l'armadio.
«Perché non hai denunciato il furto?»
«Sinceramente non lo so, mi è sembrata la cosa giusta da fare.» Si passò una mano tra i capelli, e i suoi muscoli guizzavano sotto la maglietta mettendomi a disagio.
Erano improbabili quelle parole. Era insolito che qualcuno, di punto in bianco, avesse deciso di coprire una sconosciuta, e ancor di più era strano che avesse tutelato una ladra colta sul fatto. Heath non aveva l'aria del ragazzo ingenuo -a dire il vero esprimeva il contrario- perciò ero fermamente convinta che fosse esistito un motivo tale per cui non mi avesse già consegnata alla polizia. Se c'era una cosa che avevo imparato negli ultimi anni, era che nessuno avrebbe mai compiuto un atto di generosità se non avesse voluto qualcosa in cambio. Non esiteva il nulla per nulla. Perché tutti noi eravamo abituati a sopravvivere da soli, ormai.
«Non ti credo.» Gli confessai.
«Non credermi, allora.» Scrollò le spalle.
Ma che razza di risposta era?
Nonostante la situazione richiedesse tutt'altro, né io né Heath proferimmo parola. Il silenzio era calato come una coltre di nebbia, e mentre lui sembrava non farci caso -giocherellava con il bracciale di cuoio legato al polso-, io continuavo a rimuginare sull'accaduto. Non solo il caso isolato del furto, ma sull'intero quadro. Mi rimproverai, perché stavo infrangendo ancora una volta la mia regola più importante: stavo guardando al passato invece di dimenticarlo. Eppure non riuscivo proprio a smettere di pensare a quell'uomo che avevo creduto di riuscire ad ingannare e che, alla fine, aveva incastrato me. Lo avevo sentito parlare di mio padre, della mia famiglia e quella sezione del mio cuore che avevo archiviato si era aperta, quindi mi aveva incuriosito, preoccupato, e allora avevo provato a circuirlo. Il problema era storto quando scoprii che lo scopo di quel bastardo fosse stato quello di trovarmi e io, come una stupida ragazzina, glielo avevo promesso. Ci avevo quasi rimesso la pelle, perché mi ero guardata indietro. Avevo messo in pericolo la vita di mia madre, che era la persona più importante della mia vita, e non me lo sarei mai perdonata se le fosse accaduto qualcosa; per questo, il mio obiettivo più prossimo era quello di rivederla per accertarmi che stesse bene, che fosse al sicuro, e soltanto dopo avrei provveduto a sistemare il mio casino e sarei sparita. Di nuovo.
Spinta da tale ragione ero fuggita da Chicago, avevo progredito in questa direzione, ed era per quel grande pensiero mosso dal sentimento, che avevo deciso di fare una tappa nel Queens per reinventarmi e prendere tempo per agire con cautela. Il distretto distava ore ed ore da Chicago, ed era vicino alla bella Manhattan nella quale ero cresciuta piena di sogni e speranze, eppure non avevo previsto di rimanere incastrata in uno spogliatoio con uno sconosciuto che, peraltro, sembrava saperne di più di quanto stesse dando a vedere. Chi avevo di fronte?
Era stata assolutamente una pessima mossa, quella di rubare. Avevo dei contanti con me, mille fottuti dollari che non erano una misera cifra, quindi avrei potuto semplicemente pagare e non avrei aggiunto altri problemi alla lista. Però - e questo era ciò che continuavo a ripetermi-, per chi come me non possedeva una dimora fissa e aveva perso il suo impiego, quella somma di denaro non era abbastanza per tirare avanti a lungo. Ogni dollaro valeva dieci volte di più.
Tornai a guardare il Heath e sospirai. Era un grande problema, continuavo a ripetermi. Ormai lui aveva memorizzato ogni tratto del mio viso, aveva intravisto la mia disperazione, e qualcosa mi diceva che se, per assurdo, la polizia avesse diffuso le mie foto, lui mi avrebbe riconosciuto anche con i capelli verdi e gli occhi azzurri. Dovevo riflettere, in fretta, su come dileguarmi in silenzio, senza destare troppi sospetti, soprattutto perché ufficialmente restavo Elle Hunt e, al momento, era probabile che fossi una ricercata. Perciò questo sarebbe stato il mio nuovo piano: avrei finto di accettare l'aiuto di Heath, lo avrei inquadrato, lo avrei convinto involontariamente a spiegarmi come funzionasse da queste parti -gente da ignorare, luoghi da evitare- e poi, senza che lui se ne fosse reso conto, avrei escogitato la mia prossima mossa e mi sarei dileguata.
«Mi passeresti lo zaino?» Cambiai discorso, indicandolo con il pollice.
«Un grazie per averti parato il culo ci starebbe, comunque.»
Heath scherzò mentre mi passava l'oggetto in questione. Lo misi tra le gambe, aprii la cerniera e infilai le mani all'interno per cercare dei soldi.
«Ti ripago, infatti. Pensi di poterli lasciare in una cassa?» Coprendo una mazzetta da duecento dollari con i miei capelli lunghi ne sfilai venti, li ripiegai nella mia mano, e li porsi al mio complice. «Tieni, so che non ha senso perché ho tentato di rubare, ma mi sento in colpa per averti creato delle difficoltà. Non vorrei ti licenziassero a causa mia.» Solitamente non mi scusavo con nessuno, però in quel caso sventolai comunque le banconote davanti ai suoi occhi come offerta di pace. Non mi piaceva avere conti in sospeso, e ne avevo già uno bello grosso da saldare, perciò era giusto che almeno questo lo chiudessi. Ormai ero stata colta in flagrante, io stessa avevo ammesso il mio piccolo reato, ed era corretto che lui prendesse i miei soldi. Avevo detto che venti dollari erano importanti per una ragazza nelle mie condizioni, ma era altrettanto necessario che non mi creassi dei nemici.
«Non li voglio, tranquilla. Ho risolto tutto e mi sembri una tipa a posto.» Sorrise facendo uno strano gesto con le mani, e per poco non gli scoppiai a ridere in faccia.
«Sembro.» Sottolineai sfacciatamente: «Qualcosa non ti convince?» Iniziai a prendermi gioco di lui, assottigliando gli occhi come se stessi studiando la mia preda prima di attaccarla, e poi mi tradii quando mi sfuggì un sorriso. Provai a nasconderlo mordendo l'interno della mia guancia.
«Mmh, non saprei.» Heath portò la mano sotto il mento, e finse di pensarci seriamente su: «Arrivi qui al supermercato, rubi un po' di cose, ti infiltri nel magazzino, ti sgamo, diventi bianca come un cadavere e poi svieni.» Fece un resoconto veloce e: «Inoltre ti svegli, mi confessi apertamente di aver rubato e mi vuoi pagare...»
La storia raccontata dal suo punto di vista doveva sembrare parecchio ridicola. Quale razza di ladro in gamba sarebbe svenuto proprio quando era stato colto sul fatto? Ero stata pessima, e non mi era mai successo.
«Perciò hai ragione, non sembri a posto. Sei a posto.» Lui evidenziò le ultime parole e tirai un sospiro di sollievo perché significava che la polizia non avesse ancora diffuso la mia foto al telegiornale. Probabilmente non ero neanche nella lista degli indagati, ma io c'ero quando quell'uomo mi aveva messo le mani al collo e aveva minacciato di farmela pagare, ed ero presente durante la sparatoria nei minuti successivi. Nessuno mi aveva vista sgattaiolare via dalla finestra, eppure avevo avuto la sensazione che la polizia mi stesse ricercando.
«Oltretutto hai del succo di frutta sulla maglia. Chi ti crederebbe se dichiarassi di essere una criminale?» Rise sommessamente e io mi irrigidii, portando le mani attorno al mio collo, dove il foulard che ricopriva i lividi era sparito. Me lo aveva tolto lui?
Abbassai lentamente lo sguardo sulla mia t-shirt con un sorriso tirato e il cuore in gola. Succo di frutta, certamente. Sudai freddo e con le dita tremanti toccai le macchie secche di sangue, indecisa tra l'esultare per la gioia e il preoccuparmi. Ero sicura che Heath fosse un ragazzo intelligente e che avesse visto i miei documenti, e probabilmente stava escogitando un modo per prendere tempo e per consegnarmi agli agenti di polizia. Era sveglio, mi aveva immediatamente scoperta ed era impossibile che non avesse capito nulla. Non che avrei voluto lo facesse, ovviamente. La cosa puzzava e io avrei dovuto verificare che grado di fiducia attribuirgli.
«Stai mettendo in dubbio la mia credibilità? Sono una perfetta criminale.» Portai la mano destra sul petto, fingendomi ferita nell'orgoglio.
«Certo.» Mi derise e presi una decisione.
Avrei giocato un po', sapevo come farlo, e se avesse tramato qualcosa alle mie spalle lo avrebbe ammesso in questo spogliatoio, questa stessa sera. Aprii lo zaino e scavai sul fondo alla ricerca di una pistola. Non quella vera, però.
«Ti dò dieci secondi di vantaggio. Scappa o te ne pentirai. Questo colpo sarà doloroso, te lo prometto.» Lo minacciai con uno sguardo tagliente, ma Heath scosse il capo divertito e non si spostò di un millimetro.
Non dovevo sembrare così spaventosa e pericolosa ai suoi occhi, ma continuai: «Dieci, nove, otto...» Possibile che non mi temesse? «...Sette, sei, cinque...» Ancora nulla, nemmeno un respiro accelerato. Diamine, due anni prima vivevo di pane e pisola, perché non scappava?
«Quattro, tre, due...Ti conviene correre.» Con la mano sinistra, che era libera e nascosta dietro la mia schiena, diedi un colpo all'armadietto simulando di caricare la pistola. «Uno.» Sogghignai. «Tempo scaduto.» Fui velocissima. Con un gesto rapido mi misi a cavalcioni su di lui -bloccandogli le gambe-, gli immobilizzai con la mano libera le sue che erano appoggiate sulla pancia, e lo fissai mentre mantenevo l'arma nascosta dietro la schiena.
«Povero ed ingenuo Heath.» Ridacchiai avvicinandomi al suo viso, che si irrigidì. Bene, iniziava a preoccuparsi.
«Credevi seriamente che mi sarei fidata di te?! Mi fai restare anche se ho rubato, mi aiuti perché svengo, dici di non aver trovato i miei documenti anche se erano accanto alla tavoletta di cioccolato...Chi credi di fottere, eh?!» Lo guardai compiaciuta quando lo sentii deglutire a disagio. I suoi occhi erano nerissimi e spalancati.
«Non mi importa chi tu sia, puoi essere Amanda, Marylin, Julia, ma non sei una criminale e ti fidi di me. Altrimenti mi avresti già fatto fuori.»
Era serio, troppo, e per poco riuscì a convincermi, e probabilmente ci sarebbe riuscito se solo non fossi stata così prevenuta nei confronti di chiunque.
«Invece mi hai sottovalutata ed ora sei finito.» In realtà Heath avrebbe potuto spostarmi con una semplice mossa se solo l'avesse voluto, perché avevo evitato volontariamente di stringergli la presa, eppure rimase immobile come se avesse capito di essere sottoposto ad un mio malsano test di fiducia. Se prima non avesse veramente avuto dei sospetti, adesso avrebbero potuto iniziare a sorgere. Forse era stata una pessima scelta, ancora.
«Avanti, sparami. Un giorno potrei decidere di denunciarti e di incasinarti la vita, no?» Mi istigò e per un istante mi irrigidii con le gambe ai lati dei suoi fianchi.
«Non lo faresti.» Gli dissi. «Altrimenti non sarei qui.»
«Come tu non mi spareresti perché non sei una criminale.» Mi rise in faccia alterando la mia pazienza, forza di volontà che ormai aveva raggiunto il limite.
«Come tu non sei il paladino che credi di essere.»
Era frustrante sapere di essere nel torto, e di dover accettare il fatto che questo ragazzo fosse onesto e che avesse ottime intenzioni. La verità era che, per qualche strana sensazione, mi stessi fidando di Heath; quel teatrino era stato montato solamente per testare la sua sincera offerta di aiuto.
«Boom.» Estrassi l'arma che consisteva nel dito indice e medio puntato contro il suo torace, e il pollice rivolto a novanta gradi verso l'alto. «Boom
Non avrei mai usato la mia pistola, e allo stesso modo non gli avrei mai sparato seriamente, perciò la trasformai in un terzo dito. Mi aveva fottuta, ed era veramente sincero.
«Oh. Cazzo.» Heath si portò la mano sul petto simulando dei gemiti di dolore, ma poi lo zittii coprendogli la bocca.
«È questo il dolore che si prova quando ci si prende gioco di me.»
Passarono pochi attimi e con una risata mi spostai al lato del suo corpo -continuando a serrare le sue labbra-, quindi mi sedetti sul pavimento perché se per assurdo qualcuno fosse entrato e ci avesse trovato nella precedente posizione avrebbe pensato male. Una ragazza a cavalcioni, un ragazzo bloccato e che gemeva sicuramente non avrebbero avuto un esito pulito, ecco.
«Che schifo!»
Heath mi leccò il palmo della mano e, disgustata, la ritrassi asciugandola contro la sua maglietta nera.
«Sei strana forte, ragazza.» Ridacchió, ma: «Ammetto di essermelo meritato. Sei una criminale davvero pericolosa, e la pistola era troppo professionale. Posso rivederla?»
Finsi di rifletterci, quindi la ripresi e con un sorriso gliela mostrai nuovamente: «Attenzione che è un modello costoso, altrimenti mi tocca seriamente ucciderti.» Lo avvertii.
Non ero strana, nemmeno folle o pazza, questo perché ogni cosa che decidevo di fare aveva delle solide basi. Non agivo mai casualmente e, seppur illogici, i miei movimenti erano ben pensati e misurati, quindi lo spettacolo che avevo creato non era una bambinata. Mi serviva per una maggiore sicurezza, e tirare fuori una vera pistola gli avrebbe seriamente fatto credere che fossi stata pericolosa.
«È un modello raro, vedo.»
Heath mi prese la mano, scrutò le mie unghie laccate di nero, e finse di aggiustare il grilletto girando l'anello che portavo sul dito medio.
«L'ho pagata una fortuna.»
«Sei seria? Io le avrei dato pochissimo, qui è tutta storta.» Mi fece notare l'indice che avevo rotto anni prima e che non avevo avuto modo di far guarire correttamente, motivo per cui il dito mi era rimasto storto.
«Fanculo.» Ritrassi la mano e: «La prossima volta non mi faccio scrupoli a tirarti un pugno. Uomo avvisato mezzo salvato.» Gli sorrisi.
«Che paura.» Roteò gli occhi al cielo, fingendo di tremare.
«Sembri preso da uno spasmo.» Lo punzecchiai.
«Piantala.»
Non sapevo esattamente la ragione che mi spinse a non scappare anche se Heath aveva conosciuto Elle Hunt prima che diventasse qualcun'altra, ma decisi di restare con lui un paio di minuti in più. Doveva avere circa la mia età- anno più anno meno-, ed era piuttosto simpatico, e forse questa botta di umorismo mi aveva impedito di contemplare la fuga. Nell'ultimo anno avevo vissuto isolata dal resto dei miei coetanei, e avevo svolto lavori con persone comprese tra i quaranta e i cinquanta anni, perciò mi sarei goduta il momento.
Avrei pensato successivamente a coprire le tracce. Perché, a volte, era anche giusto godersi il presente.

Succederebbe Tutto - H.S.Where stories live. Discover now