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Edith

«Ciao.»

Heath, che aveva appena aperto la porta, aggrottò le sopracciglia.

«Edith?» Sembrava confuso mentre mi scrutava come se fossi stato un reperto storico, prima in volto, poi lungo il resto del corpo. Quando, alla fine, realizzò chi fossi veramente, strabuzzò gli occhi per la sorpresa. «Mio Dio, Edith! Mi hai fatto preoccupare, cazzo!» 

Heath, sorridendo, mi abbracciò di slancio e io, che fino ad allora non avevo capito quanto mi fosse mancato, ricambiai. Lui intensificò la presa intorno alle mie spalle, schiacciandomi contro il suo petto, e io sorrisi contro la stoffa della sua maglietta.

«Beh, sto bene.» Sciolsi il groviglio delle nostre braccia e mi indicai per fargli vedere quanto fossi in forma. «Mi fai entrare?» 

Sorrisi ed Heath si spostò di lato per farmi passare, quindi mi fermai nell'atrio e lo aspettai ma, prima che chiudesse la porta, controllò un'ultima volta il cortile: «Sei sola? Haywood non è con te?» 

«No, è rimasto a Chicago.Te l'ho detto al telefono.» Scossi il capo e lo invitai a chiudere la porta.
Di fatto stavo cercando un modo per fargli distogliere l'attenzione dal mio sguardo perché, se avesse incrociato i miei occhi, si sarebbe reso conto della lotta interiore che stavo combattendo. Infatti provai con tutte le mie forze a sembrare neutrale, ad ignorare il peso che aleggiava sul mio petto o le sensazioni che avevo cercato di tenere a bada negli ultimi giorni, e ringraziai Heath quando mi ridestò dai pensieri.

«Gli ho chiesto una sola cosa e non l'ha fatta, incredibile.» Scosse il capo ed io aggrottai le sopracciglia. 

Cosa avrebbe dovuto fare esattamente? 

Poi, come se fossi stata colpita da un'illuminazione, sgranai gli occhi e mi affrettai a rispondere: «Non è colpa sua, sia chiaro. Sono io che ho insistito per tornare prima, so che non doveva lasciarmi da sola.»

«Ma è successo qualcosa?» 

Scossi il capo energicamente.

«No, si è comportato bene. Ripeto, sono io che volevo tornare.» Mentii, perché se gli avessi raccontato di quanti sentimenti e ricordi avessimo investito a Chicago, probabilmente avrei dovuto sentire ed accettare quello che stavo cercando in tutti i modi di respingere. E io dovevo restare lucida.

«Oh...okay.» Sebbene fosse scettico, mi invitò a seguirlo in camera sua che, se la memoria non mi ingannava, si trovava in mansarda.

«Stai bene, però?» Si assicurò fermandosi a metà delle scale per osservarmi attentamente.

Sorrisi con tutti i denti. «Sto bene, adesso.» 

«Okay.» E riprese a salire i gradini due a due. 

Mentre lo seguivo provando a non cadere, perché stavo guardando le pareti piene di fotografie, mi resi conto che in casa regnasse uno strano silenzio. Dato che all'ingresso non avevo visto le scarpe di nessuno, supposi che il resto della famiglia Atkinson avesse altro da fare.

Bene, meglio così per ciò che gli devo raccontare. Mi dissi, ma volli accertarmene lo stesso. «Sei solo?»

«Sì, non c'è nessuno.» 

Arrivammo in mansarda. Heath si fermò sull'uscio e mi lasciò passare prima di entrare. Lo ringraziai e, quando chiuse la porta alle nostre spalle, io scrutai la camera.

Anche se ero già stata due volte in quella casa, la mia conoscenza si era limitata soltanto alla cucina e alla stanza di Haywood, perciò non avevo ancora avuto modo di studiare quella di Heath. Prima impressione?
Non era come mi sarei immaginata.

Succederebbe Tutto - H.S.Unde poveștirile trăiesc. Descoperă acum