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Haywood

Erano le quattro del mattino quando parcheggiai il fuoristrada davanti alla centrale, e durante il tragitto non ero riuscito a smettere di pensare al discorso di Edith, alle ultime parole che ci eravamo scambiati prima che la chiudessi in camera mia con una minaccia. Estrassi le chiavi dal quadrante e uscii dall'auto, sigillando le portiere con un click. Mentre percorrevo i pochi gradini che mi dividevano dall'ingresso il mio cellulare continuò a suonare, ma lo ignorai tirando dritto sino alle porte scorrevoli, che si aprirono non appena rilevarono la mia presenza. Oltrepassai la soglia del dipartimento del Queens e il mio sguardo incontrò quello di Lyle, che stava lavorando al computer con uno dei nostri colleghi. Mi riconobbe immediatamente e, con un rapido gesto della mano, le intimai di seguirmi. Svoltai a destra, imboccando il corridoio che ero certo mi avrebbe portato nell'ufficio di mio padre -conoscevo molto bene quel posto- e mi chiusi all'interno di esso quando ella mi ebbe raggiunto. Fortunatamente non c'era nessuno.
«Ti ho chiamato cinque volte, stavo iniziando a preoccuparmi.» 
Lyle si appoggiò contro la scrivania e incrociò le braccia al petto squadrandomi da capo a piedi. 
«Ho avuto un imprevisto. Sto bene.» Mentii, non sapendo cos'altro e: «Come procedono gli interrogatori?» Aggiunsi prima che potesse farmi qualche domanda di troppo.
«Non bene. Tuo padre sta interrogando Ray Smith che, pur essendo con il suo avvocato, continua a non parlare. Afferma di non conoscere nè le tre spacciatrici nè i quattro ragazzi che abbiamo arrestato al Saturn, ma sono sicura che siano collegati in qualche modo.» Arricciò le labbra. «La gang ha parlato di un locale abbandonato dietro al Saturn, ma non sono andati oltre quell'informazione. Le ragazze si rifiutano di parlare e sono fermamente convinta che la causa sia proprio quel bastardo. Le avrà minacciate, oppure in passato avrà abusato di loro. Infondo è lo stesso uomo che per poco non ha ucciso la ragazza che ti ho espressamente detto di non arrestare.»
Dopo aver ascoltato attentamente ogni parola annuii, prendendo tra le dita il ponte del naso, e presi un profondo respiro per non perdere la calma. Credevo che gli interrogatori fossero a buon punto, perchè mio padre era sempre stato un ottimo ispettore nonostante il contorno della nostra famiglia, e venire a sapere che dopo due ore fossimo ancora in una situazione di stallo mi rendeva nervoso. Volevo andarmene via, ma dubitavo che il commissario mi avrebbe accolto a braccia aperte se non avessi risolto io stesso il caso. 
«Allora.» Esordii avvicinandomi a lei. «Organizza una squadra, prendete uno dei ragazzi che ha parlato e obbligatelo a mostrarvi il locale abbandonato dietro il Saturn. Tu vai con loro, io nel frattempo provo a far parlare quelle ragazze. Hai arrestato Ray Smith perchè stava abusando di quella ragazza, non possiamo tenerlo qui se lei non parla o se non riusciamo a collegarlo alle tre spacciatrici.» Constatai.
«Se vuoi provo a rintracciare la ragazza di stasera, non dev'essere lontana.»
Si propose, ma io scossi il capo, troncando la sua idea sul nascere. Non era una buona idea cercare Edith, che oltretutto era a casa mia, perchè permettere a Lyle di trovarla ed interrogarla non avrebbe portato ad una soluzione efficace ed immediata. Lei non avrebbe mai confessato, cocciuta e ostile come si era presentata e, nell'eventualità avesse deciso di farlo, mi avrebbe sicuramente menzionato e io non ero pronto a dare spiegazioni o giustificazioni per averla arrestata ingiustamente. 
«Iniziamo a fare quello che ti ho detto e se non dovessimo arrivare ad una conclusione, allora mi occuperò personalmente di trovare Ed-quella ragazza.» Mi corressi giusto un attimo prima di tradirmi, ma non fui certo che lei non mi avesse sentito. Avevo l'abitudine di scandire ogni parola quando si trattava di impartire ordini, per essere sicuro che fossero sempre chiari e distinti, per questo mi preoccupai vedendo Lyle aggrottare le sopracciglia per il mio piccolo intoppo.
«Va bene.» Si arrese con un sospiro. 
Dopo averla istruita a dovere, Lyle uscì e mi lasciò solo nell'ufficio di mio padre. Troppi erano i pensieri che frullavano per la mia testa, ma uno solo continuava a rimanere un pallino fisso: Edith Ross. Non la sopportavo, eppure sapevo che non fosse stata dalla parte del torto quando mi aveva detto che questo luogo mi bloccava. Era un semplice arresto per spaccio di droga, e lo stavo trasformando in qualcosa di più grosso solo perchè avevo paura di confrontarmi con mio papà, con il mio passato. Io non ero più la persona di tre anni prima, e lo dimostrava il mio distintivo da ispettore e la mancanza di mie foto sulla scrivania di mio padre. Per poco non scoppiai a ridere quando mi ricordai che il commissario mi avesse detto che lui era favorevole al mio trasferimento. Cacciai quell'assurdità scuotendo il capo e, ritornando serio, presi un quaderno vuoto e una penna, lasciando la porta dell'ufficio alle mie spalle. Avevo perso fin troppo tempo dietro preoccupazioni inutili, ed era ora che cominciassi a lavorare seriamente.
A quest'ora Lyle aveva organizzato la squadra, e io non avevo ancora fatto nulla di concreto se non arrestare la persona sbagliata. Mentre ritornavo sui miei passi allontanai anche il pensiero di Edith sola in casa mia, e domandai al collega che prima parlava con la mia partner di indicarmi la stanza in cui erano state portate le tre spacciatrici. Lo ringraziai e, deciso a rendermi utile, entrai nella cabina 98 dove Elizabeth Brown -così recitava il suo fascicolo- era seduta con i polsi in manette sul tavolo. 
«Buonasera.» Esordii.
«Ho già detto quello che so.»
Scossi il capo: «Quello che c'è scritto qui, non è abbastanza, e il fatto che ti stia agitando dimostra che nascondi qualcosa.»
Sottolineai continuando a far scorrere i miei occhi tra le righe del suo fascicolo. Rimasta orfana da entrambe le parti, era stata portata in una casa famiglia dalla quale era scappata negli anni successivi; con due arresti alle spalle per disturbo della quiete pubblica e violazione di domicilio, era poi stata rilasciata su cauzione pagata proprio da Ray Smith, perciò non mi sorprendeva capire il perchè non volesse svuotare il sacco.
«È stato gentile da parte sua pagarti la cauzione in passato, ma questo non le deve impedire di fare la cosa giusta.»
Mi sedetti di fronte a lei e lasciai cadere la sua cartella sul tavolo, dove intrecciai le dita mentre cercavo il suo sguardo. «È stata minacciata?»
Elizabeth sfuggì i miei occhi e si chiuse in un rigoroso silenzio, ma io continuai ad osservarla. Spostò l'attenzione sulla parete di destra e affondò i denti nel labbro inferiore per tenere a bada il tremore al mento, dato che sembrava vicino alle lacrime. Chiaramente avrebbe voluto parlare ma, ostinata e succube di Ray Smith com'era, non lo fece. Ciò mi permise di avere conferma della mia teoria: era altamente probabile che si sentisse minacciata da lui. Decisi di cambiare strategia e di affrontarla con più garbo.
«Si sentirebbe più sicura a parlare in presenza del suo avvocato?» Accesi il registratore e lei scosse il capo. «Mi difendo da sola.»
«Mi ascolti bene, Elizabeth Brown. Io posso aiutarla, ma solo se lei mi racconta la verità.»
«No, non mi aiuterà.» Finalmente incontrò il mio sguardo. «Voi volete sbattermi in prigione e basta.»
Spensi il registratore e mi sporsi verso la sua parte del tavolo. «È qui che si sbaglia, signorina Brown. Io non sono gli altri, per sua fortuna. Io la metto dietro le sbarre soltanto dopo essermi accertato della vera realtà dei fatti.» Strisciai la sedia e mi alzai. «È probabile che finirà lo stesso in carcere, perché è stata colta sul fatto, ma se le sue azioni sono conseguenza di una minaccia da parte di Ray Smith, allora le carte in tavola potrebbero cambiare.»
Feci il giro del tavolo e mi misi alle sue spalle. «Se non mi racconta la verità, io non posso far altro che ritenerla colpevole tanto quanto lui. Non saprei quanto possa convenirle. Non vuole fare la sua stessa fine, o sbaglio?» Le sussurrai all'orecchio senza toccarla con un dito.
«Mi sta minacciando?» Scosse le manette.
«Errato. La sto consigliando.» Tornai a sedere davanti a lei ed incrociai le braccia al petto: «È stata arrestata per spaccio di droga, stasera, ma il tuo amico non potrà aiutarla questa volta. Le è chiaro, questo?» Fissai il mio sguardo nel suo: «Ray Smith è stato sorpreso ad un passo da uccidere una ragazza della tua stessa età. È stato arrestato, ovviamente, e gli esami tossicologici risultano positivi. Senza contare il fatto di aver trovato chilogrammi di droga nascosti tra i suoi vestiti.» Sussultò ma continuai: «Ma sa cos'è accaduto realmente con quella giovane donna? Smith ha provato ad abusare del suo corpo, lei si è ribellata e lui le ha messo le mani al collo. La stava strangolando, quando è intervenuta la mia collega. Ed è successo soltanto perché la ragazza gli ha risposto sgarbatamente.»
«Non capisco dove lei voglia arrivare.»
Misi le mani dietro la nuca e sgranchii il collo. «Ray Smith l'avrebbe uccisa per una frase detta impulsivamente, se non fossimo intervenuti. Cosa potrebbe fare con lei, Elizabeth Brown, che conosce e vive nel circolo da anni?»
Avevo la sua totale attenzione, ormai. Non appena finii di parlare, infatti, si chiuse nel silenzio. Stava riflettendo sulle mie considerazioni che, in fondo, erano vere. Conoscevo il tipo di realtà in cui Elizabeth viveva, perché in passato avevo avuto modo di sperimentarla e di scoprirne le logiche, quindi ero consapevole di quanto fosse stato difficile uscirne. Anche perché, nel mio caso, la situazione era sfuggita di mano e tutto era finito a rotoli. Avevo perso la persona più importante della mia vita, per colpa di quell'ambiente e le sue pessime abitudini, quindi ero sempre disposto ad aiutare la vittima quando mi si presentava un caso correlato a quella situazione. In particolar modo se l'imputato fosse stata una ragazza succube di un uomo che nemmeno meritava di essere definito tale. Avevo perso Gyles, ma non avrei smesso di provare a salvare la vita di altre donne per questo.
«La smetta di insinuare ciò che non è vero. Ho scelto io di fare parte del suo giro. Nessuno me lo ha imposto.»
La sua replica fu insufficiente per confermare le supposizioni della detective Martinez: tutti coloro che erano stati arrestati, quella notte, erano collegati a Ray Smith.
«Senta, la mia collega ha salvato quella ragazza, che adesso è al sicuro, e allo stesso modo potrei farlo io con lei. Ma ho bisogno dei dettagli e della verità.» Misi le mani ai lati del tavolo. «Lo so che non si è messa a spacciare perché Smith le ha puntato una pistola sulle tempie, mi creda. Però sono altrettanto certo che lei non voglia più far parte di quella vita.» Ripresi il suo fascicolo, lo sfogliai fino alla quinta pagina e la sfilai. La lessi, cercando la parte che era stata evidenziata, e quando la trovai gliela indicai.
«Quattro settimane fa ha sostenuto un colloquio per essere ammessa ad Harvard, e lo ha passato. Eppure mi risulta che lei lo abbia rifiutato perché non era più interessata.»
«È vero.»
Mentiva. «Erano tre anni che provava ad entrarci, mi risulta.» Girai il fascicolo verso di me ed estrassi le domande di ammissione, tutte quante respinte eccetto l'ultima e gliele passai. «Ha dovuto rinunciare perché implicherebbe trasferirsi, e andare in un'altra città significherebbe abbandonare il circolo di Smith. Lei ci ha provato, a tirarsi indietro con lui, ma l'ha minacciata ed è rimasta intrappolata.»
«Non ha senso.» Scattò fermandosi quando le manette la ancorarono al suo posto.
«Quindi non le dispiace se chiamassi Harvard per approfondire. Oltretutto, dai tabulati mi risulta che non sia stata lei a chiamare per respingere l'ammissione.»
«È stato mio padre, infatti.»
«Invece so per certo che entrambi i suoi genitori siano morti a causa di un incidente stradale quando era ancora bambina, e che da allora è passata da un'orfanotrofio all'altro senza che nessuno la prendesse in affido.»
Elizabeth Brown sussultò, perché le mie parole erano state crude come un taglio a contatto con il sale, ma ciò non mi ammorbidì. Essere fermi e diretti faceva parte del mio lavoro e, anche se mi dispiaceva per lei, non avrei esitato a girare il dito nella piaga pur di ottenere ciò di cui necessitavo. Non ero riuscito a definire il rapporto che intercorreva tra Smith e la Brown, ma ero piuttosto certo che il comportamento adottato da lui fosse stato il medesimo che era stato riservato ad Edith. Se così fosse stato, se realmente quel bastardo aveva provato ad abusare di questa giovane ragazza, quest'ultima avrebbe potuto essere proprio la chiave che stavo cercando. Il ché avrebbe significato due cose: liberarmi di Edith e ottenere un biglietto di sola andata per Manhattan.
«Questa è la mia proposta.» Iniziai. «Lei mi racconta tutto ciò che è successo stasera, mi parla del rapporto che ha con Ray Smith, mi elenca i nomi e cognomi del vostro circolo losco, mi indica la locazione e io farò in modo di essere clemente con la sua pena, circoscrivendola semplicemente a ciò che stava facendo al Saturn stanotte.» Chiusi il fascicolo. «Se dovesse ammettere di essere minacciata da Smith, allora io garantirò anche la sua protezione da lui. E la inserirò anche in un piccolo programma di recupero per ripulirsi definitivamente.»
«Non sono una tossica.»
«Magari no, ma sono comunque certo che dai prelievi che le effettueranno a breve troveranno qualche sostanza nel suo sangue.» Tagliai corto. «Se accettassi, dopo essersi ripulita, chiamerò personalmente Harvard chiedendo di poterle offrire un'altra opportunità. Ovviamente si rifiuteranno, perché é stata in carcere, ma io convincerò loro a cambiare idea raccontandogli delle minacce di Ray Smith, e farò leva sul programma di recupero, su come lei voglia essere una persona migliore, e su quanto eccellenti fossero stati i suoi voti prima di inciampare, e perché no, anche sulla sua famiglia. Le sembra un buon compromesso?» Le avevo offerto su un piatto d'argento quello che aveva desiderato a lungo, praticamente. Era impossibile desistere.
«Io..S-» Richiuse immediatamente la bocca, indecisa. Il suo sguardo, che era stato attraversato da un lampo di speranza, si fece confuso e i tratti del suo viso pensierosi. Ce l'avevo in pugno. Avanti, accetta. So che lo vuoi.
Avrei rispettato ogni punto del mio patto, e avrei potuto andarmene quella notte stessa senza dover passare da casa per implorare l'amica di mio fratello affinché collaborasse con me, se solo Elizabeth avesse accettato. Il ché avrebbe rappresentato un grande traguardo per me, che mi sarei liberato di quella spina nel fianco che portava il nome di Edith. Non mi era piaciuto come mi avesse fatto sentire, ore prima. La rabbia incastrata in gola davanti alla sua presunzione, il fuoco nel corpo quando ci eravamo scontrati, la sensazione di libertà provata dopo aver abbassato il tettuccio del fuoristrada, e ancora il prurito alle mani ogni volta in cui l'avevo sfiorata, il suo sguardo che mi aveva fatto paura, tanto mi aveva guardato dentro. Era stato tutto un fottuto pasticcio. E mi era rimasto inciso nella pelle. E la voglia di tornare a Manhattan si era fatta sempre più insopportabile.
«Sa cosa? No.» Scosse il capo. «Non accetto la sua offerta.» Si sporse in avanti cercando il mio sguardo.
«Se crede che i suoi occhi verdi e le sue parole ricche di buone intenzioni abbiano effetto su di me, perché è giovane, si sbaglia di grosso. Traffico droga da anni, stasera mi ha colto sul fatto, e sono colpevole. E nessuno, specialmente Ray Smith, si è permesso di abusare di me. Come nessuno mi ha costretta a rifiutare l'ammissione ad Harvard.» L'ho persa, cazzo. La sua devozione al gruppo supera i suoi dannati bisogni. Ma come si fa?! «Quindi farebbe prima a dirmi quanti anni di carcere mi aspettano e a lasciar stare Ray Smith. Perché io non lo condannerò soltanto perché volete fotterlo per bene e non sapete come fare. Non inventerò delle bugie per lei. Le sembra una buona motivazione?» Mi sfidò usando le mie stesse parole.
Elizabeth Brown era affannata, oltre che estremamente ostinata. Il suo petto si alzava ed abbassava velocemente, il viso le era diventato rosso dalla rabbia, e io compresi che non avrei potuto salvarla come avevo sperato. Aveva compiuto la sua scelta e l'avrei lasciata stare, ritornando ad un punto morto, ma non l'avrei abbandonata comunque nelle mani di Ray Smith. Anche se si era giocata il suo futuro, io avrei cercato di far marcire quel bastardo in carcere, e lo avrei fatto percorrendo un'altra via.
«Faccia pure come crede. È maggiorenne e si assumerà la responsabilità delle sue pessime azioni.»
Con la voglia estrema di spaccare qualcosa, mi alzai dalla sedia e presi il fascicolo giallo tra le mani. Mi diressi verso la porta e presi un profondo respiro, perché stavo passando uno dei giorni più infernali di tutta la mia vita. Troverai un'altra soluzione, Haywood. Provavo a convincermi. Magari avrei potuto indagare a fondo sulle vite delle altre ragazze e proporre un patto simile a quello che avevo stipulato per la loro amica. Anche se dubitavo fortemente nella loro adesione. Elizabeth Brown era la più manipolabile tra le cinque.
«Me le assumo volentieri, perché sono piuttosto certa che la ragazza di stasera non esista nemmeno, e che le sue parole siano tutte bugie.» Sentenziò cattiva.
Sorrisi sghembo, scossi il capo, ritornai sui miei passi e raggiunsi il tavolo. Appoggiai le mani ai lati della scrivania e avvicinai il mio viso al suo. «La ragazza esiste eccome. E quando la vedrà prima di essere portata in prigione, perché mi creda che la vedrai, le concederò qualche minuto per farsi raccontare tutto. Ma a quel punto, signorina Brown, sarà troppo tardi per lei.» Sollevai il busto e le diedi le spalle. «Con questa decisone ha detto addio ad Harvard. Per sempre. Ma ci pensi, cosa crede di fare con Ray Smith a marcire in carcere?»
Rimase in silenzio e tirai la maniglia. «Stia tranquilla, la risposta non la voglio adesso. Si può prendere tutto il tempo che vuole per rifletterci. Tanto non avrà molti impegni dietro le sbarre nei prossimi anni, giusto?»

Succederebbe Tutto - H.S.Where stories live. Discover now