08

118 6 2
                                    

Edith

«Quanto manca ancora?»
Ero seduta su uno sgabello di pelle consunto da più di venti minuti, e ormai mi ero stancata di aspettare che Montgomery finisse di prepararmi ciò che gli avevo chiesto.
Avevamo passato i primi dieci minuti a scattare una foto decente e i restanti ad inserire le credenziali, quindi adesso cominciavo ad avvertire un formicolio alle gambe, esauste di rimanere a penzoloni dalla sedia.
Avrei voluto camminare, ma Bandana Blu aveva proibito di spostarmi anche solo di un centimetro dal mio posto perchè continuava a sostenere che fosse pericoloso. Non avevo avuto modo di verificare di persona, ma la gente che circolava in quel piccolo salone abbandonato non mi sembrava granchè a posto, perciò avevo deciso di accogliere il suo consiglio perchè non avevo intenzione di finire nei guai.
«Li stampo e poi puoi andare.»
Montgomery premette il tasto invio sulla tastiera del computer, accendendo poi la stampante, e si girò per assicurarsi che non mi fossi mossa. Dopo aver avviato la procedura, trascinò uno sgabello vicino a me, si sedette e prese ad osservarmi come se fossi un esperimento scientifico. Ricambiai l'occhiata, puntando i miei occhi dritti nei suoi, neri come la pece, e sentii uno strano brivido percorrermi la schiena.
«Come conosci Ivor?» Ruppi il silenzio, che era diventato fastidioso.
«Siamo amici di vecchia data, abbiamo frequentato le stesse scuole elementari, medie e superiori.» Fece spallucce.
«Quindi conosci anche Heath...?» Non mi ricordavo mai quel dannatissimo cognome, e: «Atkinson. Intendi lui?» Mi venne incontro Bandana Blu, aggiustandosi l'accessorio tra i suoi capelli, che gli era sceso sugli occhi, coprendogli lo sguardo che non abbandonò mai il mio. Mi piaceva il fatto che stesse sostenendo il contatto visivo piuttosto che sfuggirgli: significava che fosse un tipo diretto e che non avesse paura di mostrarsi, proprio come me.
«Sì, esatto. Mi ha risposto nello stesso modo quando gli ho chiesto come conoscesse Ivor...» Mi fermai prima di poter aggiungere altro, magari qualche parola di troppo che gli avrebbe fatto capire che fossi Elle Hunt o Blue Gage, dato che non mi sentivo di escludere la possibilità che Ivor avesse raccontato tutto anche a lui.
«Perchè è la verità. Blake ed io conosciamo Heath da sempre, ma purtroppo negli ultimi anni ho dovuto prendere le distanze dagli Atkinson. Un tempo ero il migliore amico del fratello minore, ma poi le cose ci sono sfuggite di mano e-»
Montgomery si bloccò perchè la stampante fece uno strano rumore, bloccandosi nel bel mezzo della stampa, quindi si alzò per andarla ad aggiustare mentre la maledivo per essersi inceppata proprio quando iniziavo a scoprire di più sul maggiore degli Atkinson. Heath mi aveva già menzionato di avere un fratello, e che per causa sua avesse rinunciato alla festa della confraternita di Ivor, perciò venne quasi naturale domandarmi se non fosse successo qualcosa di grave in quell'anno. Bandana Blu aveva combinato qualche guaio e aveva coinvolto gli Atkinson? E il Saturn e le attività illegali erano stati causa dell'allontanamento?
Eppure Montgomery mi sembrava un ragazzo normale: da quando avevamo messo piede in questo salone aveva riso, chiacchierato e scherzato con tutti, ed era stato estremamente educato, quindi perché tagliarlo fuori? Aveva delle pessime abitudini, ma chi non le avrebbe avute frequentando un posto del genere?
«Quella stronza stava per giocarci un brutto scherzo, ma come ogni ragazza non è risucita resistere al mio fascino, perciò dopo averla sedotta è ritornata a funzionare come si deve.» Ammiccò con un sorriso sulle labbra, e io scossi il capo afferrando la busta gialla che mi stava porgendo, soffocando una risata per la sua ironia sfrenata.
«Sono dei capolavori, Edith Ross, fanne buon uso.»
Montgomery ritornò accanto a me e, con un gesto della mano, mi invitò ad aprire la busta per controllare i nuovi documenti. Non esistai nemmeno un secondo, l'aprii e tirai fuori il prodotto del suo lavoro, guardandolo soddisfatta. La carta d'identità, la patente e il passaporto sembravano autentici ed erano anche migliori di quelli che Ivor mi aveva procurato tempo prima. Ricambiai il suo sorriso.
«Non ti preoccupare, Montgomery, non sprecherò le tue opere d'arte.»
Ripresi i documenti, li infilai nella busta per non rovinarli, e tirai fuori dal reggiseno un rotolo di contanti. «Tieni. Duecento dollari per il pagamento, come avevamo stabilito.» Glieli porsi.
«Ti faccio uno sconto se mi dici per cosa li userai.»
«Facciamo che con i soldi dello sconto mi compro il tuo giubbotto?» Provai a trattare.
Avevo dimenticato sia lo zaino che la giacca nella macchina di Heath, che era sparito, perciò non solo ero rimasta senza qualcosa con cui potermi riscaldare e un posto in cui riporre i nuovi documenti affinché non si sgualcissero, ma avevo perso anche tutti i miei soldi. Ero stata stupida a lasciarli lì, lo sapevo, però non avrei potuto girare in un locale come il Saturn con una somma di denaro del genere.
«Facciamo che il giubbotto te lo regalo.»
Montgomery si sfilò la giacca di jeans nera, e dopo aver tolto le chiavi dell'auto che Ivor mi aveva dato, quelle di casa, il portafoglio e il telefono, me lo passò. Lo afferrai e lo indossai, constatando che fosse molto più largo di quanto credessi poiché mi arrivava fino a metà coscia.
«Grazie.» Aggiustai le maniche, arrotolandole su per il braccio e, dopo aver nascosto la busta gialla nella tasca interna, tirai fuori le poche ciocche di capelli che erano rimaste incastrate dentro il colletto.
«Voglio comunque sapere per cosa li userai.» Insistette mentre sistemava i suoi averi nelle tasche dei jeans, ma non prima di avermi rivolto uno sguardo che mi fece accapponare la pelle, tanto intenso.
«Meno sai, meglio è.» Lo ammonii, sventolandogli le banconote davanti agli occhi.
Avrei anche accettato il suo compromesso, perché mi avrebbe consentito di risparmiare quanto più denaro possibile -dovevo ancora trovare una casa e non ero sicura che sarei stata assunta dopo il colloquio del giorno seguente-, ma avevo già parlato parecchio di me e con tre persone diverse, quindi preferii lasciar perdere. Era troppo rischioso. Non volevo mandare a rotoli la mia intenzione di mantenere un profilo basso.
«Guarda che con me puoi stare tranquilla. Sarei un ipocrita se ti consegnassi alla polizia. Insomma, guardati intorno.» Mi suggerì e io lo feci.
Il locale aveva le pareti insonorizzate in modo tale che, dall'esterno, nessuno potesse capire che lì dentro venisse gestita un'attività illecita, e sembrava una vera e propria catena umana di lavoro: sulla destra c'erano cinque ragazze in abiti succinti, che si stavano infilando nelle coppe del loro reggiseno delle bustine di droga, mentre sulla sinistra degli uomini stavano sistemando altri pacchetti di cocaina insieme ad armi all'interno di borsoni per facilitare il trasporto.
«Nessuno qui è innocente, ma siamo una famiglia e ci diamo una mano a vicenda.» Provò a rassicurarmi, ma io scossi il capo.
«Prendi questi duecento dollari e non fare più domande.» Il mio tono di voce si fece più autoritario e, quando me ne resi conto, aggiunsi. «Per favore.»
Sapevo che in quel posto fossimo tutti sulla stessa barca, e che ognuno avrebbe difeso l'altro se si fosse presentato un problema, o se qualcuno si fosse messo nei guai, -perchè avevo già vissuto in quel tipo di realtà-, ma non avrei potuto iniziare a fare affidamento su di loro proprio quando mi ero imposta di non ricarderci più. Nemmeno io ero innocente, ma dopo l'episodio a Chicago mi ero promessa che avrei provato a diventare una persona migliore, per mia madre, quindi non sarei ceduta davanti alle rassicurazioni di Montgomery.
«Va bene, non posso obbligarti.» Prese i duecento dollari dalla mia mano e li ripose nella tasca dei suoi jeans, ma: «Capisco che tu voglia essere una persona migliore, e mi auguro con tutto il cuore che riuscirai a diventarlo, però non potrai mai cancellare quello che sei stata. Un giorno dovresti aver bisogno di noi, non escluderci.»
Le sue parole, che forse avevano un fondo di verità, mi ferirono, ma nonostante ciò continuai a fissarlo con uno sguardo imperturbabile. In fin dei conti Montgomery non era nessuno per dirmi cosa avrei dovuto fare.
«L'ho sempre fatto. Questa volta non sarà diverso.» Gli promisi, stringendo le mani in due pugni lungo i fianchi.
«Ma un giorno lo sarà, fidati. Non puoi fuggire da quello che sei.»
Gli occhi mi pizzicarono e le mie gambe si fecero molli, però strinsi la mascella e provai a farmi scivolare addosso le sue considerazioni.
«Tu non sai niente di me, quindi smettila di parlare come se ci tenessi. Neanche ti conosco.»
Prima Heath, poi Ivor, adesso Montgomery, tutti continuavano a rivolgersi a me come se fossimo vecchi amici, come se mi conoscessero meglio di chiunque altro, e questa situazione stava cominciando a pesarmi. Cosa volevano da me?
Ci avevo messo tutta la mia buona volontà per fidarmi di Heath nonostante le falle nel suo discorso di incoraggiamento, e poi per fare affidamento su Ivor e su Montgomery, ma se c'era un atteggiamento che mi dava tremendamente fastidio, era quello di presunzione. Quei tre ragazzi si arrogavano il diritto di snocciolare consigli come se tenessero seriamente a me, ad un'estranea che era capitata lì per puro caso, quando realmente non sapevano nulla della mia vita, e mi facevano saltare i nervi.
Mi ero trovata in situazioni difficili e io, come ogni persona normale, avevo compiuto le mie scelte dopo aver riflettuto, perciò non avevo bisogno di consigli, tanto meno quelli di  Montgomery.
«Non ti conosco, hai ragione, ma so che sei come me. Altrimenti non saresti qui.»
Sgranai gli occhi, sbattendo più volte le palpebre, incredula che avesse potuto definirmi come una di loro, come lui.
«Io non sono un...Non sono come te.» Mi difesi.
Mossi un passo in avanti con l'intenzione di superarlo ed andarmene da quel posto prima che qualcuno potesse memorizzare il mio volto, però Montgomery mi afferrò per il braccio e mi costrinse a restare davanti a lui.
«Cosa dovrei essere? Un criminale pluriricercato?»
I suoi occhi neri furono attraversati da un lampo di dispiacere, e mi resi conto di averlo ferito poiché li spostò dai miei, ma non me ne importò. Entrambi avevamo una storia, che avrebbe potuto essere persino simile sotto alcuni punti di vista, però non mi ero permessa di parlare della sua condizione come se l'avessi conosciuta da vicino. Non ero nella posizione di dettare suggerimenti.
«Non indendevo questo. Solo...non sono come te.» Ribadii il concetto.
«Un ragazzo normale con delle pessime abitudini?»
Montgomery fece un passo avanti, torreggiando sopra di me nel suo metro e novanta, e mi rivolse uno sguardo infuocato. Era ferito, arrabbiato, - lo si intuiva anche dalle narici dilatate e la mascella tesa- ma non avevo paura. Non mi dispiaceva nemmeno che si sentisse così.
«Beh, sono felice per te se non lo sei, ma questo non mi definisce una persona cattiva.» Concluse stringendo la presa sul mio avambraccio.
«Non mi importa chi tu sia, non ci rivedremo mai più. Perchè non ti levi di torno così me ne posso andare?» Lo strattonai e la sua mano ritornò al proprio posto, nelle tasche dei suoi jeans, mentre io le nascondevo dentro il giubbotto che mi aveva regalato.
«Sparire, intendi.»
«Ma cosa te ne importa di cosa faccio? È la mia vita e noi non ci rivedremo mai più.»
Lo superai con una camminata decisa, quindi mi avviai verso la porta dalla quale eravamo entrati, ma quando tirai la maglia per uscire Montgomery mi fermò per l'ennesima volta. Perché mi stava trattenendo?
«Tu ascoltami un secondo e poi te ne puoi andare.»
Sospirai, voltandomi. «Illuminami.» Mi arresi.
«Non scappare da quello che sei.» Borbottai. «Non alzare gli occhi al cielo. Ho passato una vita intera fuggendo da chi fossi in realtà. Ho provato a diventare migliore, ad essere il figlio che i miei genitori hanno sempre desiderato, ma ho tentato senza mai davvero riuscirci. Ho cercato di cancellare il mio passato, far finta che non esistesse affinchè potessi ripartire da zero, però tutto quello che ho creato dopo è stato vano.» Iniziò a spiegarmi, ma lo interruppi.
«Perchè mi stai dicendo tutte queste cose su di te?»
Il suo discorso non mi interessava -la sua vita non era affar mio-, come non mi importava del perché avesse scelto di percorrere quella strada piuttosto che un'altra.
«Perchè fino a quando non ti confronti con il tuo passato, i tuoi mostri e con le tue paure, non potrai mai creare nulla di solido. Non potrai mai avere una vita. Non potrai mai innamorarti perchè sei inconsistente. Non potrai mai essere chi vuoi, se non affronti te stessa.»
Scossi il capo, stanca di quella predica.
Io, me stessa, l'avevo già affrontata da un pezzo. Avevo degli scheletri nell'armadio, ma ero consapevole di averceli nascosti. Non stavo scappando da chi ero stata, semplicemente ritenevo che non fosse necessario rimuginarci su ogni giorno. Non avevo paura del prima, tanto meno avevo bisogno di legarmi a qualcuno per sentirmi vera, completa, viva. Ero autentica anche così, con una testa complicata e con le mie regole di sopravvivenza. L'amore era sopravvalutato, il più delle volte. Nel corso degli anni avevo conosciuto molte ragazze fidanzate, che spesso avevano provato a farmi cambiare idea con delle teorie quali la condivisione dei propri "demoni" oppure il donare parte di stessi all'altro, ma nemmeno quello mi aveva convinta a cedere. Innamorarsi avrebbe sempre implicato scendere a compromessi, se non soffrire o rimanere delusi, e io amavo la mia integrità e la mia indipendenza.
E l'avevo provato a mie spese, nella mia famiglia, quanto poco potesse valere l'amore davanti al bisogno estremo di tutelare se stessi: mio padre ne era stata la più grande dimostrazione e io non volevo fare la fine di mia madre.
«Quindi è questo che sei diventato, affrontando i tuoi mostri?!»
Indicai le persone dietro le sue spalle, che stavano osservando i nostri caratteri scontrarsi a pochi metri da loro.
«No, questo è quello che sono diventato perchè non ci ho provato abbastanza.»
Sorrisi amaramente, portando l'indice e il pollice sul ponte del naso, ed ispirai profondamente per evitare di perdere la calma.
«E allora cosa pretendi da me? Perchè mi riempi la testa con tutte queste stronzate? So benissimo come sopravvivere in questo mondo. Non ho bisogno di innamorarmi o di altre cazzate per essere me.»
Archiviare il passato.
Evitare legami interpersonali.
Essere sempre un passo avanti gli altri.
Essere estremamente egoista.
«Non pretendo nulla da te. Ti sto solo dando un consiglio.»
«Beh.» Gesticolai. «Non voglio un noioso consiglio da uno che non è stato in grado di adottarlo in primis.» Conclusi.
Montgomery, toccato dalla mia affermazione, spostò l'attenzione oltre le mie spalle e, poiché non me ne importava nulla dei suoi sentimenti, scrollai le palle e mi diressi verso l'uscita.
«Ti ringrazio, ma adesso devo andare.»
Avevo perso fin troppo tempo in quel posto squallido e avevo ancora parecchi problemi da risolvere: innanzitutto avrei dovuto trovare Heath per chiedergli delle spiegazioni e per riprendermi lo zaino, e poi avrei dovuto cercare un luogo per la notte che non mi fosse costato un patrimonio.
«Levati.» Gli ordinai quando si parò davanti a me, bloccandomi in quel salone desolato.
Non si spostò nemmeno di un centimetro. «Levati, Montgomery.» Ripassai concetto, anche se fu come parlare ad un muro.
«Basta.» Tagliai corto, perdendo la pazienza.
Lo presi per la stoffa della maglietta in prossimità delle spalle e, cogliendolo impreparato, lo strattonai lateralmente. Si inciampò e probabilmente sarebbe caduto se non ci fosse stato lo stipite della porta a reggerlo, ma non me ne curai.
Gli passai accanto e: «La prossima volta non mi limiterò a questo.» Gli promisi.
«Ehi ragazzina, lascia stare Montgomery.»
Un uomo, che doveva essere sulla quarantina, si mise tra me e Bandana Blu e, fulminandomi con lo sguardo, mi invitò a spostare il mio tra le sue mani, dove vidi un coltello stretto tra le sue dita. Deglutii e istintivamente mi portai una mano sul collo, dove ero certa giacessero ancora i lividi di diverse sere prima, sentendomi soffocare.
«Ti è chiaro?» Mi incitò, ma continuai a mostrare disinteresse mentre sentivo le gambe tremare per l'inquietudine presente nei suoi occhi.
«Tranquillo, Ray. È tutto a posto.»
Montgomery intervenne afferrando l'amico per il polso, costringendolo a lasciar la presa sul coltello, per cui l'uomo aprì le dita e il ragazzo afferrò l'oggetto affilato prima che potesse finire conficcato da qualche parte, come nella mia gamba o nel mio torace.
Approfittai della loro distrazione per scappare a gambe levate, quindi intensificai la presa sul coltellino che neanche mi ero resa conto di aver impugnato nella tasca della mia gonna, e uscii all'aria aperta. Una leggera brezza notturna sfiorò la mia pelle e tremai.
Mi strinsi nella giacca che Bandana Blu mi aveva regalato e spostai più volte lo sguardo a destra e a sinistra, cercando di ricordare la strada percorsa per arrivare fin lì, ma avevo un vuoto. Ero ancora troppo frastornata a causa della minaccia di Ray per capirci qualcosa: il suo atteggiamento mi aveva ricordato quello dell'uomo che, a Chigaco, per poco non mi aveva fatto fuori. Se avessi chiuso gli occhi, infatti, sarei riuscita a sentire sulla pelle il suo tocco viscido e le sue parole meschine sussurrate all'orecchio.
«A destra, poi dritta per duecento metri, e poi ancora a destra.» Sobbalzai quando la voce di Montgomery giunse alle mie orecchie, portandomi la mano sul petto. Si avvicinò e provai a placare i battiti agitati del mio cuore.
«Lì c'è il Saturn.» Indicò un punto alle mie spalle, ma non osai girarmi perché Montgomery avrebbe potuto colpirmi con il coltello che aveva sottratto a Ray.
«Perché continui ad aiutarmi?» Mi strinsi nelle spalle per il freddo.
«Fuggire sarà la tua rovina.»
Montgomery si congedò con quell'affermazione, che seppe tanto di minaccia, e io rimasi ferma ad osservarlo mentre mi superava e raggiungeva la macchina rossa che avrebbe dovuto portarci in salvo se fossimo stati scoperti.
«La mia rovina arriverà quando qualcuno mi fermerà. Mi dispiace deluderti, ma questo non accadrà mai.» Urlai e, appena partì, mi sentii tremendamente sola.

N/A
Bentornati! Come state?
Mi scuso per aver aggiornato in ritardo, non era nelle mie intenzioni farlo, ma mi è successa una brutta cosa e non me la sentivo di aggiornare. A dir il vero, neanche oggi sono propriamente in me, la mia concentrazione è fragile, sono un po' frastornata, però quello che ho preso con voi è un impegno ed intendo rispettarlo. Mi sembra giusto che voi abbiate il vostro capitolo, quindi vi chiedo di perdonarmi se ci dovesse essere qualche errore, revisionerò il capitolo corrente al più presto.
Intanto vi ricordo che sulla pagina Instagram @succederebbetutto, potete trovare gli aggiornamenti relativi al romanzo nonché le anticipazioni dei capitoli futuri.
Grazie mille a tutti.
Spero di risentirvi presto.
Ari🌹

Succederebbe Tutto - H.S.Where stories live. Discover now