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Edith

Ci sono partite che si giocano una volta sola, e te ne accorgi soltanto quando si spengono le luci.

Lo avevo letto su un muro anni prima, forse in quel vicolo dietro l'università, quello tra la caffetteria e la biblioteca, un po' stretto ma pieno di voci e di ragazzi incasinati.

Era una di quelle frasi che ti colpivano subito perché erano misteriose e profonde al tempo stesso, una di quelle scritte su intonaco scrostato e con quel dannato pennarello indelebile sempre scarico, uno di quegli aforismi che erano nati da sentimenti troppo grandi per essere inglobati in un petto solo.

Ricordavo di essermi fermata per leggerla, ma non credevo di averla incisa così in profondità da ricordarla negli anni a seguire. Mi era rimasta dentro inconsapevolmente e, nello stesso istante in cui avevo aperto il biglietto di Haywood, prendendo posto sul sedile accanto ad una signora dai capelli grigi, era tornata in superficie, a manifestarsi nella mia testa. Il ché mi faceva riflettere su quanto fossero strani i meccanismi della psiche umana che, illudendoti di registrare solo il necessario, a distanza di anni si ripresentava con una memoria diversa, quasi quel momento fosse stato concepito proprio per completare quello che si viveva nel presente.

C'erano partite che si giocavano una volta sola e la mia, quella con Haywood, era appena terminata.

Il campo era stato abbandonato, gli spalti si erano svuotati e le luci si erano spente: il tabellone aveva smesso di segnare l'esito, lo zero a zero.

Perché non c'era stato né vincitore che perdente. 

Questo, almeno, era quello che cercavo di dire a me stessa per allentare la stretta intorno ai miei polmoni, quella che mi impediva di respirare.

Avevo tentato in ogni modo di allontanare quella consapevolezza, quella che mi faceva realizzare di essermi avvicinata ad Haywood in un modo che nemmeno credevo fosse possibile, eppure non ce l'avevo fatta.

Avevo fatto il possibile per tenere separati i confini che ci eravamo imposti di rispettare e, alla fine, avevo fallito perché si erano mescolati. Il suo passato e il mio si erano incontrati a metà strada e, allora, era stato troppo tardi per ridefinire dei limiti. La situazione ci era sfuggita di mano e uno dei due avrebbe dovuto agire, altrimenti ne sarebbe uscito ferito, quindi mi ero sacrificata per il ruolo della stronza menefreghista.

Haywood aveva vissuto un lungo periodo di lutto: la vita lo aveva privato di Gyles, del suo grande amore, e lo aveva svuotato e reso per molti anni incapace di provare altro se non rabbia e sensi di colpa.
Il suo dolore lo aveva portato ad isolarsi, a rinchiudersi tra i suoi pensieri, nella forza corrosiva di un amore finito a causa di forze superiori, perché qualcuno lassù aveva scelto che la sua ragazza avesse svolto il suo compito in Terra, e soltanto adesso lui lo stava superando.

Si era ripreso e poi mi aveva incontrato.

Era stato un passo falso, avvicinarmisi, perché nella sua sofferenza mi ci ero rispecchiata. Perché mia madre era mancata, era stata presumibilmente assassinata, e ad Haywood mi ci ero aggrappata: prima perché era uno dei migliori ispettori, poi perché si era trasformato nella mia spalla senza che me ne potessi capacitare.

Ed io ero diventata la sua.

Ma lui meritava di meglio che una persona bugiarda ed egoista, il cui unico scopo era quello di ingannare il prossimo per sopravvivere come uno scarafaggio. Haywood era degno di una ragazza che non gli avrebbe scosso il cuore per poi sparire, che non avrebbe preso la sua fiducia soltanto per calpestrarla, ed io non rientravo in quella categoria.

Ne ero sicura.

Non ero alla sua altezza e mai lo sarei stata, per questo avevo insistito per andarmene. Solo...non mi ero resa conto di aver giocato quell'unica partita.

Succederebbe Tutto - H.S.Where stories live. Discover now