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Edith

Quando al mattino aprii gli occhi, la prima cosa che vidi fu un soffitto bianco. Ci vollero pochi secondi per ricordarmi degli avvenimenti della sera precedente e, nello stesso istante in cui realizzai che Haywood Atkinson, il fratello di Heath, se ne era andato lasciandomi chiusa a chiave nella sua stanza, mi tirai su a sedere di scatto. Mi guardai intorno, confusa, e tastai la metà del letto rimasta intatta accanto alla mia, ma quando spostai lo sguardo verso la porta elettronica che si stava aprendo con un sibilo, mi resi conto di non essere più dove mi ricordavo di essere. Anche se la notte prima era buio e io non avevo prestato molta attenzione alla camera, ero sicura ci fosse un davanzale con una grande finestra alla destra del letto mentre adesso stavo osservando una porta finestra con balconcino. Com'ero arrivata lì?
Sentii la porta chiudersi e poi dei passi avvicinarsi. Mi bloccai e trattenni per qualche attimo il fiato, non sapendo esattamente cosa avrei dovuto fare. Mi ero cacciata in un altro guaio ma ero troppo stanca per ricordarmene?
«Ehi, sei sveglia.» Sobbalzai quando riconobbi il proprietario della voce, ma invece di tirare un sospiro di sollievo il cuore risalì dritto verso la gola.
Haywood era davanti a me con un sacchetto di carta in una mano e due caffè fumanti nell'altra, e mi stava osservando come se fossi una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Avrei dovuto urlargli contro per avermi chiusa a chiave e per essersi preso gioco del mio tentativo di incoraggiarlo a risolvere il caso da sè perchè era un ragazzo capace, ma la sola cosa che riuscii a fare fu quella di guardarlo attentamente.
Si era cambiato, adesso indossava un normale pantalone della tuta simile a quello che mi aveva prestato e una t-shirt, il ciuffo ribelle dei suoi capelli era tenuto a bada dagli occhiali da sole sulla sua testa, ed era molto più alto e muscoloso di quanto ricordassi. Siccome nessuno dei due accennava ad un dialogo, Haywood posò quello che teneva tra le mani sul comodino mentre seguivo con lo sguardo i muscoli delle sue braccia costellate di tatuaggi. Erano tanti, molti di più rispetto a quelli che avevo notato il giorno prima, però era altrettanto vero che solamente adesso potevo osservarlo illuminato dalla luce mattutina. Rendendomi conto di averlo studiato troppo, mi imbarazzai da sola e spostai l'attenzione sulla trapunta che copriva le mie gambe. Tesa e confusa iniziai a giocherellare con un filo tirato del tessuto, non sapendo esattamente come reagire. Non avevo più voglia di fargli la guerra, e probabilmente non ne avrei avuto motivo poichè mi sembrava seriamente rilassato rispetto la notte prima. Magari era riuscito a risolvere il caso e adesso era contento, ma io che ruolo stavo ricoprendo?
«Dove siamo?» Ruppi il silenzio.
«In hotel.»
«Okay.» Sospirai.
Comprendevo perfettamente il motivo per il quale lui avesse deciso di dormire in un luogo diverso da casa sua, perchè più volte aveva ribadito di odiare quel posto, ma non comprendevo le motivazioni che lo avessero spinto a portarmi con sè quando avrebbe potuto lasciarmi con suo fratello e andarsene a Manhattan. Avrei potuto approfittare di questa situazione per farmi aggiornare su un paio di eventi che erano accaduti in passato nella mia città di origine, e avrei potuto domandargli se avesse conosciuto mia madre, ma l'unica cosa che riuscivo a pensare erano i soldi che non avevo per pagare la stanza in cui mi trovavo. I miei risparmi erano nello zaino che aveva ancora Heath e dubitavo fortemente che Haywood l'avesse procurato prima di portarmi via. Inoltre non avevo dei nuovi vestiti, ma dubitavo potessero servirmi per il colloquio che avrei dovuto avere quella mattina dato che l'orologio sulla parete segnava le dieci, e che il mio appuntamento fosse stato fissato per le otto. Strinsi le labbra in una linea dura e accettai l'idea di non avere un lavoro e di essere al punto di partenza. Mi dispiaceva soltanto per Heath che aveva messo una buona parola per me con sua mamma, ma probabilmente era stato meglio così perché avrei potuto svincolarmi da quella famiglia. C'erano troppi ispettori e tanti intrighi dei quali non volevo essere assolutamente partecipe, e il fatto che il fratello di Haywood non avesse opposto resistenza e non mi fosse venuto a cercare ne era la dimostrazione più chiara.
«Mi hai detto che Heath sarebbe arrivato presto, ieri. Adesso mi ritrovo con te da un'altra parte, mi hai mentito anche su quello per tenermi a bada?»
«In realtà no, non ti ho detto una bugia.»
Haywood si sedette nella porzione di materasso libera e immacolata. Sobbalzai leggermente e trattenni un sorriso che non mi seppi spiegare. Era ridicola quella situazione, soprattutto perchè ci detestavamo a vicenda.
«Caffè?»
Accettai il bicchiere che mi stava porgendo. «Grazie.»
L'aria fresca del mattino entrò dalla portafinestra dischiusa, muovendo le tende. Rabbrividii e lasciai che la bevanda calda mi riscaldasse stringendola tra le mani. Ne bevvi un sorso, mi bruciai la lingua e poi lanciai un veloce sguardo ad Haywood per vedere se si fosse accorto di qualcosa. Non appena lo vidi sorridere, capii che non avesse staccato gli occhi dal mio viso, e lo fulminai con un'occhiataccia.
«Mi sono dimenticato di dirti che è bollente.» Soffocò una risata.
«Gentile come sempre, vedo.» Borbottai spostandomi sul bordo del materasso per mettere quanta più distanza tra i nostri corpi.
«Ovvio che lo sono, altrimenti credi che ti avrei comprato anche questa ciambella?»
Mi sarei aspettata una risposta scontrosa, ma sicuramente non il dolce che mi stava porgendo con un fazzolettino di carta. Aprii la bocca per parlare, però la richiusi non sapendo cosa dire. La sera prima avevamo combattuto una lunga ed estenuante lotta, e adesso mi stava offrendo la colazione.
Perplessa, accettai la ciambella e: «L'hai avvelenata, per caso?»
«L'ha fatta mia madre, non credo voglia avvelenare suo figlio o i suoi clienti, sai?» Scrollò le spalle e addentò un pezzo della sua colazione.
«Avevo un colloquio con lei, stamattina, ma come potrai capire ho dormito e non mi sono presentata.» Non seppi di preciso cosa mi spinse a confessarglielo, eppure mi era sembrato corretto fargli capire che non era stata una mia scelta, quella di non andarci.
Credevo mi avrebbe portato Heath, ma mi aveva dato buca, e non avrei nemmeno potuto prendermela con Haywood perchè non ne era a conoscenza. Non che gliene fosse importato qualcosa, ovviamente. Tanto a breve avrei scoperto la fregatura che si nascondeva dietro le sue intenzioni, ma per il momento mi sarei fidata e: «Non mi avrebbe mai preso, comunque. Non ho un bell'aspetto al momento.»
Senza domandarmi il permesso Haywood mi sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio per osservare le condizioni dei lividi sul collo e, successivamente, spostò l'attenzione sui miei avambracci scoperti -la felpa era arrotolata sopra il gomito-, mormorando qualcosa di sconnesso. Sembrava concentrato, mentre mi toglieva il bicchiere di caffè tra le mani per studiarne i palmi, infine cercò il mio sguardo e mi rivolse uno strano sorriso.
«Possiamo sistemare tutto, non sei ridotta così male.»
«Come scusa?» Ridacchiai nervosamente spostando la trapunta dalle mie gambe. Faceva tremendamente caldo, adesso. «Non so se hai capito ma ho perso la mia chance. Inoltre le mie cose le ha tuo fratello. Non posso presentarmi in tuta, e i miei documenti sono rimasti nel giubbotto di jeans nero che avevo quando hai avuto la fantastica idea di arrestarmi.»
Non appena finii di parlare, per poco non volli sbattermi ripetutamente la testa contro un muro fino a farla sanguinare; ero stata così sciocca da lasciare i miei documenti falsi -sia quelli vecchi che quelli nuovi- in una giacca che era rimasta nella macchina di Haywood -l'ispettore di Manhattan- tutta la sera. Notte che, probabilmente, aveva passato fuori casa.
Iniziai a sudare freddo. Mi avrebbe incastrata?
«Regola numero uno, Edith Ross.» Sventolò l'indice davanti ai miei occhi. «Io sono sempre un passo avanti tutto il resto.»
Sgranai gli occhi. Era arrivato il momento in cui la mia copertura sarebbe saltata. «Perciò?» Deglutii.
«Mi sono informato, stamattina. Sono andato a trovare mia madre che, a differenza degli altri componenti della mia famiglia, è sinceramente felice di vedermi ogni volta, e le ho chiesto di spostarti il colloquio per le sei di stasera.»
Sbattei le palpebre.
«Quindi abbiamo tutto il tempo per medicare le ferite e usare quei pasticci che voi donne chiamate trucchi per coprire i lividi. Dopodichè ti concederò dieci minuti -non uno di più- per riprenderti le cose da Heath e ritornerai qua per cambiarti e prepararti mentre io vado al lavoro.» Scandì lentamente ogni parola affinchè potessi afferrare il concetto e: «Poi ti passo a prendere e, sempre io, ti porto da mia mamma. Intesi?»
Tutte le persone che avevo conosciuto durante il corso della mia vita sapevano che finchè nessuno mi avesse imposto qualcosa, io sarei rimasta tranquilla e avrei continuato a fare il mio dovere ma, quella volta, avrei potuto considerare Haywood un'eccezione. Sicuramente non mi sarei limitata ad evitare Heath piuttosto che incontrarlo, perchè avrei veramente voluto parlarci per sapere il perchè avesse deciso di lasciarmi nella merda tutto d'un tratto senza far nulla di concreto, però lo avrei rimandato ad un altro giorno. Anche se non comprendevo il fine di Haywood e continuavo a sostenere di dover stare alla larga dalla sua famiglia, un lavoro mi serviva comunque. Avevo speso tanti risparmi in nuovi vestiti, dal parrucchiere, per i documenti, adesso avrei dovuto pagare anche l'hotel, come potevo sperare di andare avanti e trovare una casa se finivo i liquidi?
«Innanzitutto ci tengo a precisare che non prendo ordini da nessuno, ma la tua offerta mi sembra ragionevole.» Esordii mentre Haywood si copriva con il braccio gli occhi che aveva sicuramente sollevato al soffitto senza spegnere il sorriso perfetto. Trattenni a stento il mio.
«Poi non capisco due cose. La prima, è il perchè tu sia qui con me quando hai espressamente detto di non sopportarmi. Infine non comprendo se questa è un'altra strategia per convincermi a denunciare Ray Smith.» Gli spiegai finendo l'ultimo pezzo di ciambella, sprofondando a peso morto sul materasso. Adesso avevo le mani appoggiate sul grembo e anche il mio sguardo era rivolto al soffitto.
Ci furono diversi minuti di silenzio, attimi in cui mi concentrai esclusivamente sul lampadario di vetro che pendeva dall'altro fingendo di non sentirmi strana.
La presenza di Haywood aveva un effetto particolare sui miei nervi e sul mio fisico; le mie mani prudevano fastidiosamente quasi volessero toccarlo-per questo strinsi le dita- e al tempo stesso ogni cellula del mio corpo fremeva senza sapere il perchè. Se avessi affermato che Haywood era un brutto ragazzo, avrei mentito a me stessa. Mi sentivo pericolosamente attratta da lui fisicamente -emanava un magnetismo pazzesco- per questo mi tesi come una corda di violino quando lo sentii girarsi su un fianco e avvicinarsi. Il cuore mi esplose nel petto per l'agitazione e mi impegnai a controllare il respiro per non destare sospetti.
«Sì, è una nuova tattica ma non per convincerti a denunciare quel bastardo.» Mi voltai lentamente e aspettai che continuasse a parlare. Adesso stava reggendo il peso della testa con una mano, il gomito che faceva da perno e: «Potrei accidentalmente aver riflettuto sulle tue parole e dato che so come fare il mio lavoro, ho deciso di seguire la mia strada e la tua sicurezza in questo momento è la mia priorità.»
«Davvero?» Sussurrai, incredula.
Lentamente, mi voltai e incontrai i suoi occhi verdi, sguardo nel quale mi ci immersi totalmente. Era gratificante sapere che Haywood avesse dato un peso alle mie parole, però era altrettanto strana la sua scelta di mettere al primo posto la mia sicurezza. Non sapevo cosa lo avesse spinto a prendere quella decisione, probabilmente faceva parte del suo lavoro, ma non avrei indagato perchè avrei potuto rovinare tutto. Erano anni che una persona non decideva di sua spontanea volontà di prendersi cura di me, e anche se Heath mi aveva promesso la stessa cosa, negli occhi di Haywood ritrovavo maggior determinazione.
Condividere del tempo con lui sarebbe stato pericoloso ma era anche la migliore opzione che mi rimaneva. Se avessi giocato d'astuzia, avrei potuto sfruttare questa sua posizione a mio favore. Infondo la sua permanenza non avrebbe dovuto essere lunga, quindi avrei dovuto resistere solo un paio di giorni.
«Non dico mai bugie, Edith.» Mormorò senza smettere di guardarmi.
Rabbrividii, ancora, e non seppi se la causa fosse stata la sua schiettezza, o il modo con il quale aveva pronunciato il mio nuovo nome.
Più scrutavo Haywood, più mi rendevo conto che non c'era nulla del ragazzo che avevo conosciuto la sera prima. Non era più crucciato, le sue sopracciglia non erano accigliate bensì rilassate mentre incorniciavano il suo sguardo, ed era decisamente calmo e pacato sia nei gesti che nelle parole. Era ancora sicuro, determinato, ma non era più spavaldo e da quando era arrivato sembrava estremamente normale. Continuava ad esserci tensione tra noi, eppure non era la stessa che si era percepita il giorno precedente. Cosa l'avesse reso tanto tranquillo, non lo sapevo, ma mi piaceva. Era lo stesso ispettore che mi aveva arrestato e non voleva rilasciarmi. Era il medesimo narcisista e presuntuoso che mi aveva intrappolata mentre cercavo di scappare. Non aveva senso.
«È frustrante.» Sbuffai togliendomi il cuscino da sotto la testa per soffocare il piccolo urlo nervoso che abbandonò le mie labbra e: «Cosa?» Mi domandò.
«Ero fermamente convinta che tu fossi uno stronzo.» Biascicai spostando il guanciale dal mio viso.
Ritornai ad osservare il soffitto.
«Continuo a non sopportarti, tranquilla.» Iniziò con tono autoritario e: «Sono lo stesso stronzo di ieri.» Dichiarò, ma nella sua voce potei sentire una vena di divertimento.
Mi voltai, lo fulminai con lo sguardo e trattenni a stento un sorriso mentre lui apriva il suo. Era ampio, le fossette incorniciavano i lati delle sue labbra e i denti grandi e dritti, e io mi dimenticai per pochi secondi come si respirasse. Qualunque cosa avesse avuto in mente, avrebbe dovuto cancellarla perchè non capivo più nulla. Non avevo bisogno di un amico, un confidente o delle distrazioni, e il fatto che Haywood continuasse a starsene sdraiato a guardarmi mi fece venire voglia di tirargli qualcosa in viso per farlo smettere.
«Sei frustrante.»
D'istinto presi il cuscino tra le mani e lo colpii in volto.
Fu un movimento talmente rapido che Haywood non ebbe il tempo di realizzarlo: il gomito che faceva da leva cadde e lui scivolò contro il materasso, atterrato dallo scontro. Rimase per qualche secondo in silenzio sotto il guanciale dopodichè, con una pericolosa lentezza, lo spostò e mi lanciò un'occhiata che mi fece accapponare la pelle. I suoi occhiali erano tra noi, i capelli stravolti e le sue labbra imbronciate. Provai a reprimere una risata e spostai il mio sguardo, ma non appena riportai l'attenzione su di lui cedetti.
Inarcai la testa e risi di gusto fino a quando Haywood non si vendicò colpendomi a sua volta e io, dato che mi stavo rotolando sul letto, colta alla sprovvista, caddi sul pavimento.
Fu in quel momento, nell'istante in cui mi trovai prona sul pavimento, che ogni rumore cessò di esistere. Rimasi con la guancia schiacciata contro la moquette e imprecai silenziosamente contro il comodino che avevo urtato con il gomito durante la caduta.
«Stai bene?»
Haywood allungò il collo fuori dal materasso e mi scrollò il braccio che continuava a formicolare per richiamare la mia attenzione.
«Più o meno.» Biascicai.
Mi rimisi sulle ginocchia, spostai i capelli dal mio campo visivo, e massaggiai la zona che aveva subito l'urto. Haywood, invece, ritornò serio non appena sollevai il volto e incontrai il suo, che non si era spostato dal bordo del materasso.
I nostri visi erano talmente vicini che potevo sentirlo respirare e i suoi occhi erano talmente magnetici che mi fu impossibile evitarli. Nonostante il suo sguardo severo, come la posa del suo corpo e i tratti della sua mascella, mi sentii nervosa. Fui attraversata da una strana tensione, tanto fastidiosa quanto piacevole, e capii che Haywood avesse percepito la mia stessa sensazione quando chiuse per pochi attimi le palpebre dopo che si rese conto di aver appoggiato la mano sulla mia spalla. Il pollice alto a sfiorare gentilmente il mio collo.
Il contatto dei suoi anelli contro la mia pelle mi provocò un brivido e, spaventata dalla situazione che si era creata tra noi, cercai nuovamente i suoi occhi.
«Credo che sia arrivato il momento di metterci al lavoro.» Mi scostai rapidamente dal suo tocco e: «Lo credo anche io.» Concluse passandosi una mano tra i capelli.
Il resto della mattinata lo passammo, in silenzio, ad evitarci.

Succederebbe Tutto - H.S.Where stories live. Discover now