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Edith

«Okay, respira.»
Dopo aver camminato per diversi minuti, mi fermai e appoggiai le mani contro il muro che prima aveva graffiato la mia schiena, prendendomi un minuto di pausa. Abbassai il capo sulle mie scarpe, perché ero esausta, e inspirai ed espirai tentando di regolarizzare il battito del mio cuore.
Il viale che avrebbe dovuto condurmi al Saturn era deserto, ma la mia mente era troppo affollata.
Sebbene avessi provato ad archiviarle, le parole di Montgomery continuavano a ripetersi nella mia mente come un eco infinito, prendendosi gioco di me. Secondo dopo secondo, esse andavano a sfiorare le mie cicatrici più profonde, che bruciavano come un taglio ricoperto di sale. Riportavano a galla i mostri, le paure, e andavano a toccare quelle parti della sfera emotiva che, ammaccate e traballanti, avevo tentato di aggiustare con un po' di colla. Pensavo di aver fatto un buon lavoro, invece avevo costruito una barriera di sabbia. Un estraneo era arrivato così, all'improvviso, e in una sola notte l'aveva fatta crollare. L'aveva spazzata via.
Il suo discorso mi era entrato sotto la pelle, nelle vene, aveva premuto sul cuore e mi aveva ricordato di un'esistenza -la mia- destinata a protrarsi come un magma caotico ed informe. E probabilmente lo ero anch'io, una massa informe e confusa, miscela di sentimenti ingoiati e di rabbia perpetua. Ma a quel punto, Montgomery non aveva colpe.
Questa vita mi avrebbe rovinata, con il passare dei giorni. Forse lo stava già facendo e io mi ostinavo ad ignorarlo, testarda e schiava dello scorrere inesorabile del tempo, come lo ero sempre stata.
Respirai ancora, perchè stavo perdendo il controllo, dato che gli ultimi giorni erano stati assurdi e mi avevano lasciata spaesata. Cambiare radicalmente vita senza un piano non mi era mai successo, o almeno non mi era mai accaduto da tre anni a questa parte.
Staccai una mano dal muro e la passai tra i miei capelli, che erano diventati crespi, infine mi armai di buona volontà e mi voltai studiando la via che mi avrebbe permesso di tornare al Saturn. Sarebbe stato rischioso, ma avevo bisogno di sapere se Heath fosse arrivato prima di rimescolare le carte in tavola.
«Ehi, bambolina
Una voce mi richiamò in lontananza, facendomi rabbrividire, e istintivamente tornai in posizione eretta, ricercando per l'ennesima volta il coltellino nella gonna, strumento che non avrei esitato ad usare se si fosse presentato il motivo valido per farlo. D'altronde era una delle armi di difesa migliori che avessi con me, dopo la pistola, che però avrei adoperato solamente in casi estremi.
Merda. La pistola. Era nel mio zaino, che era rimasto nella macchina di Heath Atkinson.
«Hai finito di fare la spavalda, adesso?»
Finsi di non aver sentito e accelerai il passo. Pochi metri e sarei arrivata al Saturn, dove avrei potuto chiedere aiuto se non fossi riuscita a liberarmi di quell'uomo. Avevo le gambe molli e le mani mi sudavano. Ero preoccupata, spaventata, ma non avrei potuto permettere alla paura di travolgermi.
«Così la ragazzina ha perso il coraggio.»
Solo quando avvertii l'uomo alle spalle, capii che in realtà si fosse trattato di Ray, l'amico che aveva provato a difendere Montgomery pochi attimi prima, lo stesso tizio che mi aveva minacciato con il coltello dalla lama affilata.
Deglutii e strinsi la presa sulla mia unica arma di difesa, proseguendo il mio cammino come se la sua presenza non mi stesse scalfendo minimamente, quasi lui fosse invisibile per me.
La prima cosa che insegnavano ai corsi di autodifesa era di non dare mai le spalle al nemico, perché avrebbe potuto agire in qualsiasi momento cogliendoti impreparato, ma ormai ero vicina al Saturn, tanto da riuscire già a distinguere con chiarezza i caratteri dell'insegna a neon. Svoltando a destra, la porta che Ivor mi aveva indicato per raggiungere Montgomery rientrò nel mio campo visivo, quindi mi sentii più spavalda sapendola vicina.
«Le conviene andarsene prima che reagisca.» Lo minacciai.
«Non sono Montgomery, bambolina. Io non mi faccio mettere i piedi in testa da una ragazzina, e non permetto a nessuno di trattare i miei amici così.»
Come previsto non cedette al mio consiglio, perciò capii seriamente di dover reagire, altrimenti non sarei stata credibile ai suoi occhi.
«Il tuo amico se l'è cercata.» Lentamente mi voltai, prendendo tempo per valutare le opzioni e il campo intorno a me e: «Doveva semplicemente svolgere il suo lavoro, ed è andato oltre.» Continuai soppesando le alternative che mi avrebbero messo meno nei guai.
Avrei potuto tornare indietro alla fine della via, dove c'era il salone in cui Montgomery mi aveva portato e avrei potuto urlare per farmi soccorrere, ma dubitavo fortemente che i suoi amici mi avrebbero lasciato fuggire. Oppure avrei potuto scappare verso il Saturn, però avrei dovuto superare il corpo incombente di Ray. Se fossi stata abbastanza veloce, invece, sarei riuscita ad estrarre il coltellino per infilarlo nella sua gamba e, a quel punto, avrei potuto prendere tempo e seminarlo. Ma se anche lui avesse avuto uno strumento di difesa?
«Montgomery ti ha offerto protezione, e l'hai trattato di merda.»
Avrei corso verso il Saturn. Iniziai ad indietreggiare per prendere la rincorsa.
«Lui è un bravo ragazzo e tu non meriti di passarla liscia. Non si sputa nel piatto che ti permette di mangiare.»
Non prestai più attenzione alle sue parole, semplicemente mi munii di coraggio ed iniziai a correre, urtando la sua spalla. Ci furono pochi attimi di sbandamento da parte sua, che stava cercando di capire cosa stesse succedendo ma poi, quando la sorpresa lasciò spazio alla consapevolezza, mi afferrò per la giacca di jeans di Montgomery che, essendo larga, si sfilò con facilità. Lo scossone mi fece perdere l'equilibrio, quindi caddi con le ginocchia sull'asfalto, graffiandomele, e ritornai in piedi nello stesso istante in cui mi resi conto che Ray avesse preso in mano il giubbotto.
«Guarda cosa abbiamo qui. Cosa faresti se gli dessi fuoco?» Una risata gutturale abbandonò le sue labbra, e sgranai gli occhi non appena realizzai che avesse avuto nella mano destra i documenti e nella sinistra un accendino.
«Restituiscimi i documenti o giuro che-» Mi interruppe.
«Cosa giuri?! Mi denunci?!» Rise sommessamente e: «Come farai a farlo se legalmente nemmeno esisti?»
Mi alzai a fatica, fingendo di non sentire le ginocchia bruciare e sanguinare, e mi avvicinai a Ray per permettergli di memorizzare il mio sguardo furioso, perchè sarebbe stata l'ultima cosa che avrebbe visto prima di venire steso a terra.
Allungai la mano. «Ho pagato per averli. Ridammeli o finisci male.»
Non avevo più paura, ormai.
Avevo bisogno di quei fottuti pezzi di carta che mi erano costati duecento dollari, e non li avrei lasciati a quel viscido soltanto perché avevo risposto malamente al suo amico ficcanaso.
«No.» Sentenziò.
«No?» Sollevai le sopracciglia, guardandolo con aria di autosufficienza, e annullai le distanze tra i nostri corpi, ritrovandomi ad un passo dal suo volto.
Il suo alito puzzava di un misto tra birra ed erba, e la sua barba era piena di pezzi di cibo. Era grosso e tatuato, ma non mi sarei fatta intimorire ancora da lui. Era un pezzo di merda e lo avrei trattato come tale.
«Peggio per te.»
Il seguito fu estremamente rapido, tanto che mi resi conto di avergli tirato un pugno in faccia solo quando sentii le dita pulsare dal dolore. Si piegò per la sorpresa e per il male, i documenti gli caddero dalla mano e io ne approfittai per afferrarli insieme al giubbotto, correndo rapidamente verso il Saturn. Avevo il cuore in gola e ancora non riuscivo a realizzare di avergli tirato un gancio in pieno viso, ma sentivo l'adrenalina nel sangue. Non mi sarei fermata.
«Sei finita, bambolina.» Udii la sua minaccia e, invece di tremare dalla paura, sventolai un terzo dito in sua direzione.
«Ti piacerebbe, coglione!»
Corsi senza mai voltarmi indietro, continuando ad osservare l'insegna del Saturn farsi sempre più vicina, ma nel volgere la mia attenzione in alto non mi resi conto delle bottiglie vuote di vodka ai miei piedi e inciampai su esse, cadendo rovinosamente a terra. Le mie gambe coperte soltanto dai collant neri scivolarono sui pezzi di vetro grossolani, che le tagliarono per diversi centimetri.
«Merda.» Portai istintivamente le mani sulla ferita, tentando di fermare il sangue che continuava a fluire a flotti, e poi volsi lo sguardo verso Ray che stava venendo verso di me. Guardai un'ultima volta le mie gambe sanguinare e, dovendo trovare una scappatoia, spostai ulteriormente la mia attenzione, che si fermò su una campana di vetro nascosta nella penombra. E fu allora, che tentai una mossa disperata: troppo affaticata per reggermi in piedi, con le braccia mi trascinai fino ad essa. Tentai di schivare le schegge sull'asfalto, che graffiarono lo stesso la mia pelle, ma quando la mano che avevo usato per colpire Ray - dolorante- cedette, io la seguii a ruota. Caddi a terra.
«È inutile nascondersi, tanto ti trovo.» Sentii la voce avvicinarsi, quindi trattenendo il fiato e con una spinta decisa della gambe, mi nascosi dietro la campana di vetro. Appoggiai la schiena contro di essa, provando a mandare giù il cuore che mi era salito in gola, e mi maledii per il respiro troppo pesante.
Inspira ed espira. Lentamente.
Avvertii i passi di Ray oltre il contenitore dei rifiuti, perché i frammenti di vetro scricchiolavano sotto le sue scarpe, e mi paralizzai. Trattenni il fiato, sperando che non mi scoprisse, e senza perdere la calma spostai la mano sinistra per tastare il terreno finché non trovai un frammento di vetro piuttosto grande e appuntito. Lo strinsi tra le dita, evitando di pensare al sangue che continuava a colare dalle ferite inferte sulla mia pelle, e mi preparai psicologicamente all'azione.
Nei minuti successivi rimasi ferma sul posto, tendendo il collo per sentire meglio gli spostamenti del mio inseguitore, e non appena constatai che non ci fosse stato più alcun movimento, decisi che fosse giunto il momento di andarsene sul serio. Non sarei più passata davanti al Saturn per vedere se Heath fosse arrivato, -avrei trovato un altro modo per riprendere lo zaino e per sfogare la mia rabbia-, perciò tentando di far meno rumore possibile mi rimisi in piedi e, zoppicando, mi allontanai dal riparo. Allungai il collo un'ultima volta, e controllai prima a destra e poi a sinistra. Non c'era nessuno. Via libera.
Mossi un passo.
«Mettiti ad urlare e io ti taglio la gola.»
Ray era dietro di me. Il suo braccio mi tenne ferma per la vita mentre piegava l'altro per puntare un coltello alla mia gola e: «Intesi?»
Feci un piccolo cenno con il capo, rimanendo immobile sul posto. Mi guardai intorno, ma la via era totalmente deserta.
Portai la mia attenzione sull'uscita del Saturn, però sembrava che nessuno fosse intenzionato a lasciare la pista da ballo prima della chiusura, quindi abbassai le palpebre provando a pensare.
Un secondo più tardi compresi che non avessi nulla su cui riflettere.
Ero in trappola.
Un passo falso e sarei finita per terra in una pozza di sangue.
«Adesso io mollo la presa, ma tu devi seguire ogni mia indicazione. Va bene?»
La sua voce nel mio orecchio mi fece rabbrividire. «S-Sì.»
Ray tolse lentamente il coltello dalla mia gola, a pochi millimetri dalla mia pelle -riuscii a percepire la lama vicino alla giugulare- e lo ripose nella tasca intimandomi di restare ferma. Mentre percepivo la sua mano viscida spostarsi dal ventre, risalendo verso l'alto, mi venne la nausea, e quando raggiunse il mio seno, giocando con i bottoni della camicia, capii dove avrebbe voluto arrivare.
Strinsi gli occhi, deglutendo rumorosamente, e non appena Ray ebbe finito di sbottonare la camicetta bianca, sentii la rabbia ribollire nelle mie vene. Piegai le mani in un pugno e, quando lo feci, un rivolo di sangue scivolò dalle mie dita. Il pezzo di vetro.
Improvvisamente spalancai gli occhi. Perchè non ci avevo pensato prima?
Mi armai di coraggio, cercando di non pensare alle sue mani luride contro di me, e intensificai la presa sul vetro tra le mie mani. Stavo respirando affannosamente e avrei voluto piangere, ma non sarei crollata per un pezzo di merda che aveva deciso di fare i suoi sporchi giochetti.
Mi girai rapidamente tra le sue braccia, e prima che se ne rendesse conto conficcai il grande frammento di vetro nella sua spalla.
«Puttana.» Quello bastò per sottrarmi dal suo tocco, poiché si portò una mano nel punto sanguinante, e io ne approfittai per scappare.
Essendo zoppa e dolorante non fui molto veloce, e Ray mi raggiunse nuovamente: mi fermò per le braccia, mi spinse all'indietro intrappolandomi tra il muro e il suo corpo, premendo il suo inguine contro il mio, e mi strinse una mano intorno al collo.
«Sai che fine fanno le stronze come te?» Intensificò la presa e mi mancò il fiato. Mi sembrò un pessimo scherzo del destino, un dannato deja-vù.
«Fot-ti-ti.» Biascicai con un fil di voce, provando a divincolarmi dalla sua presa, un tentativo vano poiché mi sbattè contro il muro, stordendomi. Mi girava la testa, e fui ad un passo da perdere i sensi.
Davanti a me passarono le immagini di quando ero piccola, ricordi di me e mio padre a spasso per le montagne, frammenti del volto di mia madre e poi, più offuscata, la mia intera vita dopo di loro: il liceo, il primo anno al college, il primo lavoro come barista, il RedMoon, il viso di Ivor. E ancora diverse sere prima il mio cliente, che mi chiudeva nella sua camera e che mi obbligava a spogliarlo, il mio rifiuto, le sue mani intorno al mio collo...
«Questo è quello che ti-» Proprio quando pensai di arrendermi, udii un colpo, poi un tonfo sordo, e infine i miei polmoni furono liberi di respirare.
Crollai a terra, con le lacrime agli occhi e le gambe molli, con la mano che provava a cancellare il ricordo di quel tocco sudicio sulla mia pelle, e mi lasciai sfuggire un singhiozzo e anche un sospiro di sollievo non appena scorsi Ray svenuto davanti al mio corpo.
«Questo brutto pezzo di merda avrà casini per un bel po'.»
Asciugando le lacrime, spostai lo sguardo e lo posai sulla mano tesa dinanzi a me, quindi sollevai il capo fino ad incontrare lo sguardo di una ragazza dai capelli blu, che mi stava sorridendo educatamente. Sbattei le palpebre, cercando di metterla meglio a fuoco e, ancora confusa, rimasi immobile.
«Dovresti andare prima che si svegli.» Indicò con il mento l'uomo steso ai suoi piedi.
Non le dissi nulla, semplicemente accettai il suo aiuto e, fortemente provata, ritornai in posizione eretta. Volsi un'ultima occhiata di gratitudine alla persona che mi aveva letteralmente salvato la vita, che mi fece un cenno del capo, e scappai, questa volta correndo sul serio.
La testa mi stava vorticando come se fosse stata una barca alla deriva, le ferite sul mio corpo stavano bruciando come se ci avessero appoggiato del metallo incandescente, e le lacrime si stavano seccando sul mio viso perciò, quando svoltai l'angolo -affannata- e riconobbi in lontananza la figura di un ragazzo noto, mi sentii tremendamente sollevata.
«Heath.» Sussurrai, stanca, sconvolta, e cercai di prendere quanta più aria possibile per urlare a pieni polmoni il suo nome, contenta che alla fine si fosse presentato, ma quando credetti che tutto sarebbe finito presto, l'attimo successivo capii che sarebbe stato soltanto l'inizio.
Il mio peggior incubo si avverò, e fu tutto estremamente veloce: qualcuno mi afferrò per le spalle, mi voltò affinché potessi essere con la faccia al muro e, dopo avermi bloccato le braccia dietro la schiena, unì i miei polsi assicurandoli con le manette.
«Dove crede di scappare, signorina

N/A
Bentornati! Come va?
Anzitutto vorrei ringraziarvi per la pazienza, per le letture e per i voti che mi avete lasciato nel corso dei giorni: mi fa piacere vedere che la storia inizi ad interessarvi.
Nello scorso capitolo Edith ha avuto modo di conoscere Montgomery, un ragazzo buono ma con delle pessime abitudini, che diventerà un personaggio cardine della storia. Adesso è ancora ambiguo, a tratti presuntuoso, ma più avanti avrete modo di capire il perché sia così.
Il capitolo di oggi, invece, è solo di passaggio. Nonostante ciò, si ha avuto la possibilità di scoprire di più sul carattere della nostra Ross: non è una ragazza che le manda a dire, questo è certo. Edith è determinata, scaltra, forse un po' troppo temeraria, dato che arriva a mettersi in pericolo con il suo brutto temperamento, ma al tempo stesso non si arrende mai. Se si mette una cosa in testa, la deve fare. Costi quel che costi.
Ma arriviamo a ciò che rende importante questo capitolo: «Dove crede di scappare, signorina
Una sola persona può aver detto questa cosa: Haywood Atkinson. La macchina della giustizia per eccellenza.
La nostra Edith non è ancora consapevole di essere stata incastrata dall'unica persona da cui avrebbe dovuto restare lontana un miglio.
Non si immagina che passerà una delle sere più ostiche della sua vita. Ma cosa succederà?
Se da un lato, Edith farà di tutto per scagionarsi, dall'altro Haywood sarà irremovibile. Perché anche lui, come lei, è testardo e determinato quando si tratta di difendere le proprie convinzioni. Quindi, quali strategie useranno per conseguire i loro scopi?
Quali tattiche metteranno in atto per difendere ciò in cui credono?
È risaputo che quando due caratteri forti si incontrano, è quasi impossibile scampare una guerra.
Per sapere come andrà a finire, vi basterà restare aggiornati: sulla pagina Instagram @succederebbetutto, infatti, è possibile trovare delle anticipazioni.
Per qualsiasi cosa, io sono a vostra completa disposizione:
IG: @_ariannabianco @succederebbetutto
Grazie mille. A presto!
Buona giornata!
-Ari🌹

Succederebbe Tutto - H.S.Where stories live. Discover now