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N/A: sorpresa! Tic tac. Chi esploderà prima?💣


Edith

Un tuono squarciò il cielo.

Mi portai le gambe al petto, appoggiando il mento sulle ginocchia, e fissai l'asfalto davanti a me.

Ormai erano ore che aspettavo Haywood seduta sui gradini che precedevano il portone del palazzo, ma di lui nessuna traccia. Intanto la pioggia era peggiorata, si era trasformata in temporale, e io cominciavo ad avere paura.

Chiusi gli occhi e mi coprii le orecchie con le mani, iniziando a cantare il ritornello di una vecchia canzone: era un metodo di controllo che mi aveva insegnato mio padre quando ero piccola.

Ricordavo ancora quel giorno: fuori c'era la tempesta, il vento scuoteva prepotentemente gli alberi e l'acqua cadeva di stravento dal cielo, che pur essendo mattia era buio quanto la notte. Mi ero spaventata ed ero corsa nell'ufficio di papà, che mi era subito venuto incontro e mi aveva presa in braccio. Sulle sue gambe, mi aveva chiesto se avessi avuto timore del temporale e io avevo annuito con decisione, quindi aveva detto: «Il segreto per non avere paura è urlare un po' più forte della tempesta.» e poi, insieme, eravamo andati in salotto a prendere il suo telefonino. Ricordavo che mio padre avesse cercato su Youtube la mia canzone preferita e che, dopo averla fatta partire, mi avesse appoggiato a terra e si fosse coperto le orecchie con le mani invitandomi ad imitarlo. E poi aveva aggiunto. «Adesso canta forte, così il temporale si spaventa e capisce chi comanda.»
Lo avevo fatto e, poco più tardi, al nostro concerto si era unita anche mia madre. Alla fine, quella terribile mattinata era diventata una delle più belle.

Sentii una lacrima percorrere il mio viso e mescolarsi alla pioggia. 

Non vivrò mai più questi momenti.

Adesso ero sola, mio papà era in carcere e mia mamma era morta.
La mia famiglia si era spaccata irreparabilmente.
Sembrava tutto così irreale.

«Ma che cazzo ti salta in mente?» Una voce irruppe tra i miei pensieri e mi riportò bruscamente alla realtà.

Sobbalzai e, riconoscendone il proprietario, mi alzai di scatto lasciando lo zaino per terra. 

Haywood Atkinson, grondante d'acqua e in tenuta sportiva, era a pochi passi da me.

Davanti alla sua vista il cuore mi schizzò in gola, perciò presi un profondo respiro e cercai immediatamente i suoi occhi, che mi trovarono all'istante e mi freddarono sul posto. Il suo sguardo era teso, arrabbiato, infuocato, e io mi sentii come quei bambini che venivano rimproverati dai genitori dopo essere stati scoperti rubare una caramella: colpevole, piccola, sciocca.

Deglutii rumorosamente.

Non mi aspettavo un'accoglienza diversa da parte sua, piena di carinerie e disponibilità, ma la sua aria sprezzante mi sconvolse lo stesso: non ricordavo più cosa dovessi dirgli.

«Allora? Sto aspettando.» Incrociò le braccia al petto, irremovibile. 

«Io...Avevo bisogno - ho bisogno di parlarti.» Congiunsi le mani in grembo e giocherellai nervosamente con le pellicine delle mie unghie.

«Certo, come no!» Replicò sarcasticamente. «Perché non potevi chiamarmi, vero? Per parlami era necessario piantare in asso la mia famiglia, giusto?»

Scosse il capo.

«Io..»

«Tu niente.» Mi impedì di rispondere. «Adesso entriamo perché sta piovendo e fa freddo, poi ti scuserai con mia madre ed Heath, e forse -allora- potrò di nuovo chiederti che cazzo ti sia preso.» 

Succederebbe Tutto - H.S.Where stories live. Discover now