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Edith

«No, no, no.» Implorai spostando la teglia fumante sul bancone. L'avevo appena tirata fuori dal forno, e la superficie della torta di mele che avevo preparato era quasi carbonizzata.
Imprecando silenziosamente mi tolsi il guanto, lo gettai accanto al mio tentativo fallito di sembrare una pasticcera, e andai ad aprire la finestra per far cambiare l'aria.

Che disastro.

Era il mio primo giorno di lavoro, ero in prova, e non solo avevo saltato il colloquio previsto per quella stessa mattina, rovinandomi la reputazione e costringendo Haywood a rimandarlo, -no!-, ero stata persino capace di bruciare la torta per chiacchierare con Heath.

Sono finita.

Dubitavo fortemente che Cindra sarebbe passata sopra i miei errori anche la mattina dopo: era stata già fin troppo cortese a concedermi una seconda possibilità oggi, figuravamoci una terza.

Sbuffando ritornai dal mio dolce e lo osservai con lo sguardo implorante, come se da un momento all'altro potesse tornare ad essere cotto alla perfezione. Ciò non accadde e io, scoraggiata, presi il coltello per procedere con una manovra che mi ricordavo di aver visto in un programma di cucina, quindi tolsi la torta dalla teglia, la posizionai sul vassoio e provai a tagliare via la crosta, se così potevamo definirla.
Fu in quel momento, quando il dolce si sbriciolò sul ripiano rigido, che la mia poca esperienza in cucina emerse in tutta la sua completezza, facendomi quasi venire le lacrime agli occhi.
Come avrei potuto continuare a lavorare qui, se nemmeno sapevo eseguire una ricetta semplice?
Forse avrei dovuto continuare a fare il mio lavoro precedente, ma ogni volta in cui ci pensavo nella mia mente si dipingeva l'immagine delle mie mani e del mio viso pieni di sangue.

«Certo che avresti potuto essere più collaborativa.» Rimproverai la torta, ora ridotta in un mucchio di briciole.

«Adesso Cindra mi licenzierà in tronco per colpa tua.» Mormorai. Stavo divagando, ne ero consapevole, ma parlare mi aiutava a smaltire l'ansia e a gestire la pressione.

«Mia madre non ti licenzierà per così poco.»

Una voce irruppe nella stanza e io, troppo stordita per rendermi conto di star condividendo uno spazio con qualcuno, sobbalzai.
Il coltello cadde con un tonfo sordo sul bancone, il cuore mi risalì in gola, e le gambe per poco non mi cedettero quando incontrai lo sguardo di Haywood.
Cercai di ricordare come si respirasse: morire di infarto non rientrava tra le mie opzioni.

Un sorriso si aprì sul suo volto.
Fui tentata di ricambiare, ma non appena realizzai seriamente chi fosse, diventai seria.
Ero arrabbiata, anzi no, ero furiosa con lui e con il suo atteggiamento pretenzioso e da uomo prezioso.
Presa dallo sfinimento per il suo comportamento mi ero convinta ad aiutarlo e, anche dopo aver ottenuto le denunce che tanto desiderava, aveva continuato a comportarsi da tale. Non mi aveva ringraziato e si era limitato a proporre di accompagnarmi in hotel. Il tono con il quale me lo aveva chiesto, o meglio imposto, mi aveva fatto alterare e da persona con poca pazienza quale fossi, ero sbottata e invece di prendere l'uscita sul retro, dove Haywood aveva parcheggiato il suo fuoristrada, avevo imboccato quella principale dichiarando di potercela fare anche senza il suo intervento. Dopo aver fermato dieci passanti ed aver preso un autobus, ero ritornata nella nostra stanza d'albergo e, questa volta munita di chiave elettronica, ero entrata procedendo con una doccia per distendere i nervi.
Era stato difficile riuscirci: due ore più tardi, infatti, mi ero ritrovata di nuovo chiusa nella sua macchina. Avrei preferito raggiungere autonomamente il Castillo's, ma non sapevo dove recarmi di preciso ed Heath, in quel momento, non rientrava più tra le mie opzioni.
L'unico lato positivo era stato il tragitto in rigoroso silenzio, che non era stato per nulla imbarazzante poiché la presenza dell'uno infastidiva l'altra ed entrambi ne eravamo consapevoli.

Succederebbe Tutto - H.S.Where stories live. Discover now