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Edith

Per l'intera durata della colazione avevo ignorato Heath che, invece, aveva tentato assiduamente di instaurare un dialogo con me. Non avevo particolarmente gradito come si fosse posto nei miei confronti però, alla fine, presa dall'esasperazione, mi ero arresa. Eravamo usciti dal bar e gli avevo promesso di considerarlo solo qualora mi avesse spiegato accuratamente dove avesse trovato la moltitudine di informazioni relative al mio conto.
«Va bene.» Aveva sospirato mentre ci stavamo dirigendo presso la sua auto. Prima di venirmi a prendere, quella stessa mattina, l'aveva parcheggiata a qualche metro dal minimarket, perciò non era molto lontana. Soltanto quando ci eravamo avvicinati al veicolo, ancora in silenzio, io avevo iniziato ad esigere la verità con molta prepotenza.
«Perché conosci Ivor?»
Heath sbloccò le portiere del suo fuoristrada, e mi incitò a salire con un gesto della mano, perciò acconsentii e mi accomodai sui sedili di pelle mentre lui prendeva posto dalla parte del guidatore.
«Innanzitutto, è il fidanzato di mia sorella.» Cominciò tirando indietro il suo sedile e infilando le chiavi della macchina nell'apposita fessura. «Poi, cosa più importante, è un amico di vecchia data. Anzi, Ivor è il mio migliore amico, a dirla tutta. Noi due abbiamo frequentato asilo, elementari, medie e superiori insieme.» Continuò bloccando la cintura di sicurezza e mettendo in moto l'automobile.
«E perché sai queste cose di me? Perché sapevi che conoscessi Ivor?» Arrivai al dunque, interrompendo bruscamente il viaggio nel viale dei suoi ricordi. Non avevo tempo da perdere, e la mia prima domanda era stata pura cortesia per precedere il vero interrogatorio. Assicurai la cintura, posai lo zaino tra i miei piedi e, sentendo improvvisamente caldo, abbassai il cappuccio della felpa sulle mie spalle. Non ero abituata ad essere al centro dell'attenzione, perché mi era sempre piaciuto mantenere un profilo basso, perciò finii per agitarmi mentre stavo aspettando la replica di Heath.
«Te l'ho detto, siamo migliori amici. Tra noi non ci sono segreti.» Mise in moto il veicolo e, con una sola manovra, abbandonò lo stallo dove aveva parcheggiato e: «Hai presente la festa della confraternita di Ivor?» Svoltò a sinistra, verso il centro della città e io scrollai le spalle. Sarei rimasta vaga, per il momento.
«Beh, io e mio fratello avevamo ricevuto l'invito, soltanto che lui ha avuto dei...» Si bloccò per scegliere la parola più adatta. «Problemi, ecco. Allora ho messo Haywood prima di una stupida festa, com'è giusto che sia. Sono rimasto con lui, e quando Ivor è tornato, preso dall'eccitazione, mi ha raccontato qualcosa e ha accennato a te.»
Quando Heath interruppe il suo discorso per accertarsi che lo stessi seguendo, io mi mossi nervosamente sul sedile del passeggero. Ciò che mi stava spiegando non aveva falli, quindi mi arrabbiai con Ivor che aveva spifferato ciò che gli avevo confessato in un momento di estrema debolezza, e strinsi le mani in due pugni. Li appoggiai sulle ginocchia per trattenere il disappunto e tesi la mascella. Come si era permesso?
Le probabilità di vedersi erano minime, di questo ne ero consapevole, però Ivor non avrebbe comunque dovuto farlo. Parlare di me con i suoi amici non mi avrebbe reso più invisibile agli occhi degli altri.
«Non essere arrabbiata con lui.» Notò il mio atteggiamento. «Sinceramente non so gli argomenti dei vostri discorsi, quindi stai tranquilla. Noi ragazzi tendiamo a raccontarci l'essenziale, sai? Mi ha solo detto di aver aiutato una ragazza a cambiare l'identità, credimi. Aveva i ricordi annebbiati, dato che quella sera era ubriaco.» Mise la freccia. «Come penso lo fossi tu.» Convenne.
Dopo aver ascoltato la sua dichiarazione, sciolsi le dita e rilassai visibilmente le spalle. Ivor Blake si era appena rivelato un ottimo supporto, a differenza di quanto avessi creduto fino a pochi minuti prima: aveva mentito a Heath. Alla festa di tre anni or sono, infatti, né io né lui avevamo toccato alcool, e avevamo passato l'intera serata in giardino sul retro cantando stupide canzoni a squarciagola, ballando scoordinati e parlando di tutto e di niente.
Nonostante fossi stata sollevata al pensiero che Ivor non mi avesse giocato un brutto scherzo, io ero sempre dell'idea che le intenzioni di Heath avessero nascosto una fregatura. Supposto che il suo migliore amico avesse realmente accennato a me, lui come aveva fatto a riconoscermi? In più di trentasei mesi nessuno, inclusi i pochi amici che avevo trovato, erano stati capaci di scoprire chi io fossi stata. Non mi avevano notato persino quando avevo cambiato identità prima di sparire, quindi perché uno sconosciuto avrebbe dovuto farlo?
«E come hai fatto a capire che fossi io, quella ragazza?»
«Blue Gage ti dice qualcosa?» Si passò una mano tra i capelli, si fermò accanto ad un negozio con la vetrina eccessivamente colorata, e poi spense l'auto abbandonandosi contro lo schienale di pelle.
Si voltò per cercare il mio sguardo, ma lo spostai altrove, più precisamente oltre il finestrino per osservare assente il marciapiede deserto.
«Esistono tante Blue Gage, perché dovrei essere io?» Appoggiai il palmo della mano sul finestrino freddo, e con le unghie lunghe picchiettai nervosamente il vetro, scandendo secondo dopo secondo l'ansia che stava crescendo dentro di me.
Mi sentivo intrappolata, pur essendo ancora libera.
«È stata una sensazione.»
«Sensazione?» Lo schernii scuotendo il capo. Non riuscivo a decidere se fosse stato più ridicolo che l'istinto l'avesse spinto a ricordarsi della ragazza che il suo migliore amico aveva conosciuto al college, oppure l'idea che stessi seriamente considerando di dare fiducia ad Heath soltanto perché ero disperata.
«Prendimi in giro quanto ti pare e piace, ma ho un buon intuito e non ho sbagliato.» Accese la radio per riempire il vuoto che si era creato tra noi.
«Solo non credo che tu sia sincero con me. Sono convinta che tu sappia molto di più di quello che mi dici. Non sono stupida, e nemmeno te.»
Mi portai una mano sotto il mento, reggendo il peso della testa sul braccio il cui gomito era appoggiato vicino al finestrino, e sbuffai.
Odiavo i punti interrogativi, il ché era assai divertente considerando che la mia vita lo fosse, ma essere consapevoli di non poter aprire la testa ad Heath per scoprire quante cose mi stesse omettendo non mi aiutava a rimanere lucida. Uno degli aspetti più importanti nel condurre un'esistenza oltre gli schermi era quello di rimanere sempre lucidi e calmi, perché quando si perdeva l'uno e l'altro automaticamente si rischiava tutto. E con Heath stavo seriamente per mettere a repentaglio ogni cosa, o meglio, avevo iniziato a farlo tre sere prima a Chicago. Ma cosa mi era saltato per la testa?
Se non fossi stata avida, se non avessi agito impulsivamente, se fossi rimasta impenetrabile io non sarei stata lì, immersa in quel casino pazzesco.
Heath mi voleva rassicurare offrendomi il suo aiuto, quindi avrei dovuto essere tranquilla, in una campana di vetro, ma continuavo a sentirmi in trappola perché dentro di me qualcosa mi urlava di scappare. Eppure restavo lì ferma ad attendere la sua risposta, come se avesse potuto finalmente uscire allo scoperto e farmi arrestare. Stavo aspettando la pugnalata, il tradimento, ma questo non arrivava ed era assurdo. Questi giorni lo erano stati. Un grande scherzo del destino.
«Non ti sto mentendo, Elle. Perché dovrei? Non sarebbe stato più facile, per me, denunciare il tuo furto e tornare a farmi gli affari miei?»
«Allora perché non l'hai fatto?!» Alzai la voce, frustrata.
Ormai era ufficiale: avevo perso la pazienza.
Ero giovane, non ingenua.
A diciassette anni ero stata costretta ad abbandonare la mia famiglia senza potermi permettere una replica: mi avevano consegnato un borsone con i soldi e con qualche vestito, e mi avevano sbattuto la porta in faccia. Addio, GiGi.
All'epoca, essendo stata abituata a dipendere dai miei genitori, ero stata realmente sprovveduta e avevo commesso i miei errori. Mi ero inciampata e avevo imparato a leccarmi le ferite da sola. Ero stata manipolata da molte persone e poi, con il tempo, le avevo ripagate con la stessa moneta. Avevo convissuto con diverse situazioni e svariati modi di fare e pensare, e me l'ero cavata. Fino ad oggi. Adesso, ventenne, avevo alle spalle tre anni di intenso sacrificio e lavoro, per cui non avrei gettato tutto all'aria per Heath. Avrei voluto metterci un punto, ma prima avrei dovuto capire come fare.
«Ascoltami.» Appoggiò la mano sul mio ginocchio e io gliela spostai sul cambio. «Credi quello che ti pare, ma sono sincero. Sei amica di Ivor e se lui, non so perché, tiene al fatto che tu resti al sicuro, allora lo sopporterò. E non ci deve essere necessariamente una trappola. So che sei diffidente, che hai paura-»
«Io non ho paura.» Precisai.
E allora perché non te ne sei già andata?
«Sei una tosta, l'abbiamo capito, ma lasciati aiutare.» Si sistemò il ciuffo che gli era caduto sulla fronte.«Sei spaesata, Elle. Ti è successo qualcosa e hai bisogno della possibilità di stabilizzarsi che ti sto offrendo.»
«Cosa vuoi in cambio, allora?» Mi portai le mani alle tempie. Mi stava esplodendo il cervello.
«Niente. Ribadisco, sei amica di Ivor, quindi non voglio nulla da te. Lo faccio per il mio amico.»
La sua risposta mi spiazzò, tanto che scoppiai a ridere. Lo feci di gusto, come se mi avessero appena comunicato che non avrei più potuto farlo per il resto della mia vita, e mi portai la mano sulla pancia perché cominciava a farmi male. Le lacrime si accumularono nei miei occhi, ma non ci diedi peso, come non attribuii importanza ad Heath che mi stava guardando preoccupato.
Lo fa per il suo amico, hai sentito Elle? Mi sembrava di vivere in una barzelletta. Mi fermai per recuperare il fiato perso e poi, quasi fossi stata pazza, ricominciai. Una risata amara, questa volta. Un verso pietoso come la ragazza che dovevo essere parsa ad Heath quando mi aveva sorpresa a rubare. Patetica come la persona che si stava fidando di uno sconosciuto perché forse, dopo anni, si era sentita realmente sprovveduta, ma che non lo avrebbe mai ammesso apertamente.
«Elle...» Quando venni richiamata alla realtà, terminai il mio sfogo e tornai seria. Avevo perso la testa, non soltanto la pazienza. Era quasi divertente constatare che la vita, il più delle volte, fosse stata una fregatura in piena regola: proprio quando ci si convinceva di avercela fatta, di aver trovato l'equilibrio, la bastarda lo notava e stravolgeva ogni cosa. Risultato, il caos. Dimostrazione, la mia esistenza. Fino a tre giorni prima ero stata una persona normale, con la testa sulle spalle e un lavoro ben retribuito, mentre adesso avevo perso l'orientamento: le carte mi erano scivolate dalle mani, sparpagliandosi per terra, ed io non avevo più un gioco. E fu proprio la mancanza di strategia, che mi spinse a voler concludere la discussione con Heath.
«Senti.» Spensi la radio per assicurarmi di avere la sua totale attenzione: «La tua spiegazione non mi convince, però, a conti fatti, tu sei la migliore chance che mi sia rimasta.»
«Come sei romantica.» Si azzardò a scherzare sebbene non fosse stato il momento di farlo.
Lo fulminai con lo sguardo ed Heath nascose il sorriso. «Se scopro che stai confabulando contro di me, sei finito.» Incrociai le braccia al petto per apparire più autoritaria e: «Adesso accetto il tuo aiuto, ma le regole le detto io. Otterrò ciò che mi serve e poi me ne andrò. E tu, Heath, dovrai dimenticarti di avermi incontrata nello stesso istante in cui sparirò.» Lo guardai negli occhi, che erano diventati ancora più scuri, e con un battito di ciglia lo inchiodai sul sedile, giusto per ricordargli chi avesse comandato tra i due.
Dovetti sembrargli realmente seria perché, per la prima volta, i tratti del suo volto si fecero taglienti.
«Pensi di riuscire a non affezionarti troppo, nel mentre?» Lo stuzzicai e Heath, che era rimasto imperturbabile fino ad allora, si lasciò sfuggire un sorriso malizioso.
«Sempre che non ti affezioni prima tu.»
Era così pieno di sé. «Io non ho un cuore, come non sono più la ragazza che Ivor ha conosciuto.» Lo avvertii.
Spostai il mio busto oltre il cambio, accorciando le distanze tra i nostri corpi, e avvicinai pericolosamente il mio viso al suo: «Lei è morta.»
Heath scosse il capo e si morse il labbro inferiore per trattenere una risata roca. «Questo non cambia le cose. Non mi spaventi, sai?» Accorciò ulteriormente le distanze e sfiorò il mio naso con il suo, come a volermi dimostrare che non avrebbe mollato l'osso.
«La mamma non ti ha insegnato a non fidarsi degli sconosciuti? Stai stringendo un patto con la persona sbagliata.» Appoggiai l'indice sulla sua pelle, proprio in prossimità della sua mascella, che si irrigidí, e ne percorsi i lineamenti spigolosi fino alla sua bocca, dove arrestai i movimenti.
«Mi sottovaluti, e non poco.»
«Stai ammettendo di essere spregevole?» Lo schernii senza spostarmi di un centimetro.
«Dipende dai punti di vista.»
«Allora è meglio che ti chiarisca un concetto, mmh?» Ridendo feci scivolare l'indice sul suo collo, in prossimità del pomo d'Adamo: «Un passo falso e addio per sempre.» Con l'unghia mimai un taglio trasversale. «Perché io sono spregevole sotto ogni punto di vista. Tradiscimi e l'ultima cosa che vedrai sarà una pistola, quella vera, puntata sulla tua tempia. Intesi?»
«Sto rabbrividendo, in questo caso.» Ironizzò senza interrompere il contatto visivo con me.
Il perché Heath stesse continuando a giocare, non mi era chiaro. Di una cosa, però, ero certa: era un ragazzo impavido. Gli piaceva giocare con il fuoco, e questo era evidente, ma non avrei potuto giudicarlo perché anche io lo stavo facendo. L'amico di Ivor continuava ad affrontarmi come se non fossi stata pericolosa, quasi non fossi stata una bomba pronta ad esplodere tra le sue mani e, d'altro canto, io insistevo nel tentativo di scovare le sue reali intenzioni. Eppure, minuto dopo minuto, stavo iniziando a maturare una nuova consapevolezza: probabilmente Heath era sincero, dopotutto. Soltanto che non ero in grado di accettarlo.
Heath non aveva la più pallida di quanto fosse stato profondo il burrone in cui stava per gettarsi: non mi conosceva, e se la sua speranza fosse stata quella di farlo, sicuramente non ci sarebbe riuscito. La mia vita era precaria, la mia sicurezza sul filo di un rasoio. Se avesse voluto provare a smuovere qualcosa dentro di me, allora avrebbe dovuto rinunciarci. Non amavo nessuno, non avevo tempo per quelle relazioni labili che l'uomo era ostinato a volere e cercare, e non mi sarebbe importato di qualsiasi altra cosa che non fosse stata la mia sopravvivenza.
Un tempo ero stata una brava ragazza, ma non sarei mai tornata ad esserlo perché ormai mi piaceva essere egoista. Persino mentre ero lì a stringere la mano che Heath mi stava porgendo, sapevo che in realtà la stessi accettando solo perché mi avrebbe fatto comodo, e non perché mi sarei legata a lui. Sarei stata disposta a ferirlo, pur di salvare me stessa, ed era brutto essere consapevoli di essere meschini e non poter cambiare le cose, ma quello avrebbe sempre fatto parte di me.
«Ultima occasione per fuggire.» Lo ammonii prima di mollare la stretta intorno alle sue dita.
«Sto bene così, grazie. Tu no?»
Adesso ero nuovamente ad un passo dal suo viso, i nostri nasi erano vicini e un ricciolo caduto dal suo ciuffo ribelle solleticò la mia fronte. Sollevò la mano e l'adagiò sulla mia guancia, ribaltando la situazione. Con l'indice solleticò prima la linea dalla mia mascella, poi scese verso la clavicola, quindi risalì e si fermò dietro le mie orecchie, dove assestò una ciocca di capelli. Mi fissò negli occhi e, in un attimo, la sua attenzione si spostò sulle mie labbra. Si inumidì le sue e io schiusi la mia bocca. La sfida che gli avevo lanciato mi si era rivolta contro e, per la prima volta, mi sentii veramente in trappola. Non era più divertente giocare, adesso che mi ero trasformata in vittima sacrificale. Iniziai a sudare freddo, il cuore mi salì in gola e mille pensieri mi vorticavano nella testa. Avvertii l'impulso di scostarmi, eppure non lo feci. Per scoprire le sue reali intenzioni avrei dovuto resistere. Prima o poi avrebbe ceduto, continuavo a ripetermi.
«Questo trucchetto non funziona con me. Non ti bacerò, Heath.» Lo avvisai senza spostarmi di un centimetro.
«Nemmeno io, ma mi piace sapere che non lo farai.» Mi sorrise e si staccò dopo avermi lasciato un buffetto sulla guancia. Mi stava prendendo in giro?
«Perché?» Le mani mi tremavano e le seppellii nella felpa che mi aveva prestato.
«Perché potresti baciarmi, qui ed ora, e io non farei una piega. Dopo esserci staccati, mi potresti pilotare a tuo piacimento perché io sarei talmente in preda agli ormoni da non capirci più nulla.» Si indicò. «Eppure sono certo che non lo farai. Tu non sei stupida e nemmeno io, e lo sai.» Annuii ritrovandomi in accordo con lui.
«La ragazza che ha incontrato Ivor lo scorso anno l'avrebbe fatto.» Aggiunse e non avrebbe dovuto farlo.
Le sue parole furono come uno schiaffo in pieno viso. Sgranai gli occhi e schiusi la bocca in uno stato di disarmante incredulità. Un fremito indistinto percorse la mia colonna vertebrale e la rabbia mi ribollì nelle vene, perciò mi scostai all'istante dal suo corpo, quasi la vicinanza mi avesse bruciato, e lo guardai sprezzante. Cosa avrebbe voluto insinuare con quell'affermazione?
Heath mi osservò sganciare la cintura di sicurezza, ma non si intromise. Rimase immobile sul lato del guidatore, con l'espressione seria e il corpo rilassato, quasi non mi avesse appena offeso. Ed era probabile che lo stesse pensando veramente, di non avermi ferito. Fu in quel preciso istante, quando incontrai il suo sguardo perplesso, che compresi di aver abbassato troppo le barriere, quindi aprii lo sportello dell'auto e abbandonai in fretta il fuoristrada. Non avrei passato un solo secondo in più, in sua compagnia.
«Non mi conosci affatto, Heath.» Chiusi la portiera con tutta la forza che possedevo nel corpo e, mentre prendevo le distanze da quel ragazzo prepotente ed ambiguo, alzai in aria un terzo dito.
Ero furibonda. La sua presunzione aveva superato ogni limite, oramai. Insinuare quel tipo di cose, come se io fossi stata una ragazza leggera e frivola, era stato da persona ignorante o maleducata, se non da entrambi. E io non volevo né l'uno né l'altro, nella mia vita. E -sì!- forse me l'ero cercata nello stesso momento in cui avevo iniziato a provocarlo, -ero disposta ad ammetterlo- ma non avrei mai pensato che mi sarebbe sfuggita la situazione di mano. Se prima mi ero divertita, adesso non avevo più voglia di continuare perché non tolleravo l'insufficienza.
Avrei voluto urlare, tanto ero nervosa, invece ingoiai la rabbia e tirai su il cappuccio della felpa. Salii sul marciapiede e poi mi ricordai di aver dimenticato lo zaino nella macchina. Soffocai un grido tra i denti. Irresponsabile. Incosciente. Stolta. Ecco le grandi qualità che aveva iniziato a possedere la ragazza in cui mi ero trasformata nell'ultima settimana, e la parte peggiore era che ne fossi totalmente consapevole. Ottimo lavoro, Elle.
Calciai un sassolino.
«Nemmeno tu.»
Realizzai che Heath mi avesse raggiunto solo quando mi scontrai con il suo petto, che mi aveva tagliato la strada. Recuperai l'equilibrio e deviai il suo corpo, provando ad ignorarlo, ma non ci riuscii poiché mi afferrò per il polso. Mi strattonai sentendo l'ira crescere sotto la pelle per la sua fastidiosa insolenza.
«Cosa vuoi ancora?!» Ero stanca di averlo alle calcagna. Era dotato di un temperamento troppo forte per restarsene in disparte. Non ero abituata alle teste calde, ed era asfissiante averlo intorno senza sapere come liberarmi definitivamente di lui.
«Voglio che tu stia ferma qui mentre ti procuro un lavoro.» Sollevai un sopracciglio. Ma per chi mi aveva presa?
«Non prendo ordini da te.» Avanzai ma Heath mi bloccò per le spalle, costringendomi a restare ferma sul posto.
Mi stava irritando. Anzi, ero già alterata. L'amico di Ivor non solo si era preso troppa confidenza, ma stava esagerando anche con l'invadere il mio spazio personale. Gli avevo permesso di toccarmi, però adesso il suo contatto fisico mi stava infastidendo tanto quanto la sua presunzione e intransigenza: sapevo a malapena il suo nome, perché era così ostinato nel voler offrire il suo aiuto? Oltretutto, che tipo di agevolazione sarebbe stata? Un lavoro? A meno che non avesse conosciuto qualcuno, nessuno avrebbe risposto alla sua richiesta con "Ma certo! Farò avere un colloquio alla tua amica.", per cui non avevo poi così bisogno di Heath, no? Ero in difficoltà, non incapace.
«Sono in difficoltà, Heath. Non incapace.» Diedi voce ai miei pensieri, scrollandomi le sue mani di dosso.
«Lo so, ma abbiamo stretto un patto e io adesso andrò a fare la mia parte. Non incazzarti per nulla.»
«Per nulla?» Gli feci eco, ridendo nervosa. «Hai chiaramente insinuato che ti avrei baciato se fossi stata realmente la ragazza che Ivor aveva rivisto l'anno scorso.» Mi agitai. «Tu non sai nulla, quindi taci.»
«Non intendevo que-» Provò a giustificarsi ma lo interruppi. «Solo perché ho fatto la spogliarellista non significa che sia una facile.»
Il fuoco cessò e potei sentire le sirene dei vigili del fuoco spegnersi. L'incendio finì nello stesso momento in cui terminai di replicare.
L'alba colorò il cielo sul fondo della strada, dietro gli alberi e le case, e ci avvolse con esso. Heath, che fino ad allora si era dimostrato irritante, restò in silenzio con la bocca schiusa. Il perché, alla fine, avesse deciso di desistere mi era ignoto: avrebbe potuto rimanere colpito dallo spettacolo tanto quanto avrebbe potuto sorprendersi per la mia affermazione, ma non rimuginai a lungo e gli diedi le spalle per godermi i colori che stavano illuminando flebilmente quello scorcio di città. Non avevo mai assistito al sorgere del sole. Mi emozionai, tanto magico era quel momento. Se fossi stata un'artista, sarei già corsa alla ricerca di una tela per riprodurlo.
«Hai fatto la spogliarellista?» Sai sempre come goderti un istante bello, non è vero Heath?
Mi morsi il labbro inferiore per trattenere una risata. Sollevai il mento, abbassai le palpebre e presi un profondo respiro per evitare di impazzire. Inspirare ed espirare stavano diventando il mio nuovo mantra.
«Pensavo lo sapessi.»
Lui ed Ivor non erano amici di vecchia data? Se entrambe le volte Blaike lo aveva informato della nostra rimpatriata, Heath avrebbe dovuto sapere anche il luogo dove esse erano avvenute, no?
«No, scusami se ti ho offesa.»
Le strade erano deserte e silenziose, perciò percepii i passi di Heath avvicinarmisi. Mi raggiunse, silenzioso, e si arrestò dietro di me. Appoggiò le mani sulle mie spalle e io mi irrigidii estremamente a disagio, eppure decisi di non respingerlo più: mi ero stancata persino di allontanarlo, il ché mi rendeva veramente pessima ed incoerente.
Sospirai, senza mai girarmi per incrociare il suo sguardo, e poi scossi il capo lasciandogli intendere che non mi importasse. Non avrei dovuto nemmeno arrabbiarmi, ma per pochi attimi avevo scordato la regola numero uno -mai guardarsi indietro- e mi ero lasciata trasportare dalle emozioni. Mi ero sentita toccata nel profondo, nel parlare della vecchia Blue o della disgraziata Elle. Se solo mi fossi dissociata dalla Hunt, io non mi sarei offesa per così poco. Il problema era che fosse stato più difficile del previsto, distaccarsi della spogliarellista del RedMoon, perché non mi era mai dispiaciuta la vita di quella ragazza tutto pepe. A volte, mi dimenticavo persino che ci fosse stato molto di me, in lei. Come in Blue, d'altronde. Ma adesso?
Ero incastrata in un limbo e non ero capace di uscirne.
Risi amaramente per quel pensiero.
«Scusami tu, se sono sbottata. Sto passando un momento difficile.» Radunai le idee senza smettere di guardare l'orizzonte. «Puoi perdonarmi andando a procurarmi quel lavoro di cui mi stavi parlando, magari. Che dici?»
Anche se ogni mio passo era sbagliato, insensato e spropositato, Heath continuava ad essere l'ultima via d'uscita. Sebbene fosse una testa calda, una di quelle tanto cocciute da farti saltare i nervi un minuto sì e l'altro pure, lui era anche estremamente sveglio ed intelligente, e quello non lo avrei potuto contrastare ed ignorare. Era un dato di fatto. E tutto ciò che lo era, ai miei occhi, si trasformava in possibilità.
«Non ti incasinerò la vita in alcun modo, te lo giuro.» Sussurrò al mio orecchio.
Con quella promessa Heath fece scivolare le mani dalle mie spalle, indietreggiò d'un passo e poi fece dietrofront sino all'auto. Mi lasciò sola con i miei pensieri, le mille incertezze e le numerose debolezze, e gliene fui grata. Calai le palpebre. Avevo una necessità estrema di restare qualche minuto da sola, di respirare l'aria fresca del mattino e di riordinare le idee, per questo presi un profondo respiro e aprii gli occhi. Guardai il cielo, coltre di luce e di colori maestosi, e sorrisi al sole.
Una lacrima stanca, lenta e provata solcò il mio viso. Non la fermai. Aveva bisogno di non sentirsi più sola. Ed ecco che si fece accompagnare dalla sua gemella, caduta subito dopo perché l'una non avrebbe mai abbandonato l'altra. Le due sorelle si ritrovarono sulle mie labbra, e corsero felici lungo il mento e poi scivolarono via dalla mia pelle. Finalmente erano libere e allegre.
Si erano purificate.
Un'alba, fu il tempo che ci impiegai per azzerare il passato.
Un'alba, fu il tempo che ci misi per tornare sui miei passi.
Un'alba, fu il tempo che mi aiutò a capire chi avrei voluto essere dopo quel giorno.
E qualche settimana, era il tempo che mi sarei concessa per diventarlo.
Vivendo solo per me stessa.
Con astuzia.
Con diligenza.
Con lucidità.
Senza passato.
Senza legami.
Senza complicazioni.

Ma lei non aveva ancora conosciuto Haywood.

Succederebbe Tutto - H.S.Donde viven las historias. Descúbrelo ahora