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Haywood

Arrivai in fondo alla via e mi fermai vicino al lampione dell'attraversamento pedonale. Mi portai le mani sulle ginocchia e ripresi fiato: avevo il respiro affannoso e il petto si alzava ed abbassava veloce, quasi il cuore volesse uscire da un momento all'altro. 

Non ricordavo l'ultima volta in cui avessi corso così tanto, e sebbene fossi fuori allenamento, me l'ero cavata piuttosto bene. Adesso mi sentivo decisamente meglio, rinato e sollevato: la somma dei miei pensieri era uguale a zero. Ed era una sensazione meravigliosa.

Mi staccai dal palo dell'illuminazione, controllai la strada e dopo essermi assicurato che fosse libera, attraversai. Raggiunsi il marciapiede opposto giusto in tempo. Intanto la musica continuava a martellare nelle mie orecchie, perciò tirai il cellulare fuori dalla tasca del paravento e abbassai il volume. Non mi serviva più, perché adesso ero ritornato alla realtà.

Dopo aver trascorso una notte insonne, all'alba mi ero appisolato sugli appunti di lavoro e, mezz'ora più tardi, mi ero risvegliato sudato e con i postumi di un incubo terrificante. La gola mi si era chiusa, la bocca si era asciugata e il cuore era impazzito dentro la gabbia toracica. Quindi avevo preso una grande boccata d'aria, mi ero alzato dal divano ed ero andato a lavarmi il viso con l'acqua ghiacciata per cancellare il brutto sogno. Non che fosse servito a molto, però. Il viso di Gyles che mi incolpava della sua disgrazia era ancora lì, chiaro e distinto: se solo non le avessi sputato quelle parole orribili, se quella notte mi fossi presentato al Saturn per aggiustare la situazione, lei sarebbe stata ancora con me.
Allora avevo scosso il capo, mi ero spostato in cucina, e avevo messo su la caffettiera perché avevo bisogno di svegliarmi. Mentre aspettavo che il caffè salisse, avevo spostato i fogli sparsi sul tavolo, dove poi avevo appoggiato i gomiti.

Sono tutte bugie. Avevo constatato prendendo la testa tra le mani.

Il Queens non sarebbe mai diventato un ricordo lontano, soprattutto non dopo l'ultima settimana che avevo trascorso lì. Incontrare mio padre, assistere al suo sguardo compiaciuto davanti alla mia resa, e vedere la speranza disintegrarsi negli occhi di mia sorella, mi aveva devastato. Se ci pensavo, percepivo ancora la manata che Hailee mi aveva tirato sul torace.
E poi il ricordo di Heath, della nostra discussione, dei suoi sottili modi di rinfacciarmi quanto fossi stato irresponsabile con Gyles... E Gyles, cazzo. Lei mi era mancata come l'aria d'estate.

Non mi sarebbe mai passata: non appena avevo messo piede nel Queens una voragine mi si era aperta nel petto, e il mio cuore aveva bruciato come un taglio fresco a contatto con il sale. Mi ero sentito vuoto, incompleto e non avevo potuto fare altro che accettarlo. Avrei voluto solo correre da Gyles, a casa sua, dove l'avrei trovata in camera a saltare sul letto mentre cantava stupide canzoni. E lei, vedendomi sulla soglia ad ammirarla in tutta la sua bellezza, mi avrebbe sorriso felice che, ancora una volta, avessimo superato le nostre divergenze. Io avrei mirato dritto alle sue labbra e noi ci saremmo baciati fino a star male. Respiro dentro respiro. Pelle contro pelle.
E poi, pesante come un macigno, la realtà mi era piombata addosso.

Avevo sbattuto le palpebre, realizzando che la situazione non sarebbe cambiata e che, mai, io e Gyles avremmo potuto tornare ad essere un noi.
Quando poi avevo controllato l'ora, erano le sette e trentasei minuti e la caffettiera stava già sbuffando da un po', perciò mi ero alzato, avevo spento il fornello e avevo versato il contenuto nella tazzina. Così avevo sorteggiato il mio caffè e avevo letto gli appunti scarabocchiati sull'agenda, ma quando tastai l'aroma, finii per sputare tutto nel lavandino: avevo messo il sale al posto dello zucchero.

Ecco, quello era stato il segnale.

Quello era stato l'esatto momento in cui avevo capito di non esserci più con la testa.

Succederebbe Tutto - H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora