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Edith

«Ho quasi finito.» 
Haywood, che era inginocchiato davanti a me, prese la mia mano e distese le dita per liberarne il palmo, accarezzando la ferita più profonda che mi ero procurata durante l'episodio con Ray. Mi appoggiò sopra un batuffolo di cotone intriso di disinfettante e io sussultai, stringendo i denti mentre lo osservavo prendersi cura di me, infine prese un rocchetto di bende e mi fasciò la mano, abbandonandola sulle mie cosce parzialmente scoperte.
«Sei bravo.» Constatai quando mi accarezzò le dita.
«Non ci va una scienza.»
Haywood scrollò le spalle, si alzò dal pavimento dopo aver raccolto il kit del pronto soccorso, e lo ripose nell'armadietto accanto al lavandino prima di voltarsi in mia direzione. Si avvicinò a me, che ero ancora seduta sul bordo della vasca, e mi scostò i capelli dalle spalle per avere una più ampia visione della mia pelle violacea. Rabbrividii e lui se ne accorse.
«Posso?» 
«S-sì.» 
Mentre trattenevo il respiro per la tensione, Haywood ispezionò attentamente il mio collo, premendo le dita contro i miei lividi, e lo sfiorò delicatamente con i polpastrelli. Tremai ancora quando scese giù per le mie braccia, strofinando la sua mano contro il cotone dell'accappatoio che mi aveva prestato -mi aveva concesso una doccia-, arrestandosi sui miei polsi altrettanto lividi. 
«Te li ha fatti sempre lui, questi?» 
Haywood cercò il mio sguardo, che in un primo momento gli sfuggì, perciò mi armai di coraggio e incontrai i suoi occhi. Deglutii, perchè non mi ero resa conto fossero così vitrei e profondi, e tentai di mettere insieme una frase di senso compiuto. 
«Non tutti.» Ammisi abbassando il capo. 
Non avevo il coraggio di sostenere il nostro contatto visivo, perciò spostai l'attenzione sulle nostre mani che si stavano sfiorando sul mio grembo e presi un profondo respiro.
Haywood era un ispettore, e anche se in un primo momento mi aveva creduta colpevole, avrebbe potuto aiutarmi, per questo fui tentata più volte di raccontagli ogni cosa, ma dovetti trattenermi perchè avrei solamente incasinato la mia vita. Avrei potuto dirgli di Montogmery, di Ivor, però avrei dovuto rivelargli anche i motivi che mi avevano spinto da loro, quindi avrei dovuto citare Chicago e con un agente del calibro di Haywood avrei -sì- potuto raggiungere la mia sicurezza personale, ma sarei anche finita sotto interrogatorio, o peggio ancora avrei potuto essere processata. 
«È stato Heath?»
«Cosa?!» Sollevai il viso di scatto e sgranai gli occhi. «Assolutamente no.» 
Come poteva credere che suo fratello potesse fare una cosa del genere?
«Se non è Heath. Chi è stato?»  Insistette continuando a toccare i lividi. 
Se fino un attimo prima avevo cominciato a fidarmi di Haywood, provando a passare sopra il mio arresto, permettendogli di medicarmi e toccarmi, adesso iniziavo ad insospettirmi per il suo comportamento. Da quando mi aveva tolto le manette, anche se ci eravamo dati reciprocamente fastidio, avevo creduto avesse lasciato da parte il suo lavoro per godersi un attimo di libertà. Soltanto ora mi stavo rendendo conto che la sua intenzione fosse stata quella di estrapolarmi quante più informazioni possibili. 
«Non lo rivedrò mai più, tranquillo.» Tagliai corto.
Senza indugiare ulteriormente scivolai dalla sua presa e mi alzai in piedi, dandogli le spalle. Dopo il tragitto in auto pensavo avesse deciso, come me, di essere per un secondo un semplice ragazzo. Invece mi ero sbagliata di grosso. Lui era troppo egocentrico e sicuro di sè per accantonare il suo ruolo, il suo lavoro, la sua smania di essere il migliore, e io gli avevo permesso di alimentare il suo grande ego permettendogli di medicarmi.
«Quindi è questo il tuo piano?!» Incorciando le braccia al petto mi voltai nuovamente. «Fingere di essere premuroso con me solo per farmi parlare?!» Ridacchiai, nervosa.
«Sto solo cercando di raggiungere il mio scopo. Non essere sorpresa.» 
Haywood imitò i miei movimenti e avanzò pericolosamente. 
Al contrario, io indietreggiai e andai a sbattere contro lo stipite della porta del bagno. Non riuscivo a credere che dopo tutto quello che mi era successo lui non avesse nemmeno provato un minimo di pietà per me.  
«Sei proprio stronzo.» 
«È il mio lavoro, pensala come vuoi.» Scrollò le spalle.
Haywood mi osservò con autosufficienza e feci appello al mio autocontrollo per evitare di tirargli un pugno in faccia. Quella notte avevo già dato, con i miei ganci, e non avevo bisogno di ulteriori danni, quali una denuncia per aver aggredito una forza dell'ordine. 
«Il tuo lavoro è fare l'ispettore, non lo stronzo. Ti reputi tanto intelligente, e superiore ma sai cosa ti dico?» Gesticolai freneticamente. «Un ispettore intelligente sa anche quando è il momento di fermarsi. Stasera sono stata aggredita verbalmente, fisicamente, per poco un uomo non ha abusato di me, e ho rischiato di morire. Poi sono stata quasi arrestata, ingiustamente, e per poco non sono stata costretta a pregarti in ginocchio di lasciarmi andare perchè ero innocente. Sono piena di tagli e ferite, e sono sconvolta, stanca.» Mi si incrinò la voce.
«Ma a te non importa nulla, vero?  Per te conta solo essere il migliore, ma ti svelo un segreto: i migliori sono quelli che prima si assicurano che la vittima stia bene, e poi la interrogano perchè una persona, un essere umano, è più importante di una fottuta causa.» 
Quando finii avevo il fiatone ed Haywood, tanto per cambiare, non aveva sbattuto ciglio nemmeno una volta. Avrei voluto urlare e scappare, e probabilmente l'avrei fatto se non fossi stata in accappatoio e se il mio cambio non fosse stato nel mio zaino in macchina di Heath, che era andato da qualche parte lasciandomi nelle mani del fratello insensibile. In quale guaio mi ero cacciata?
Non avrei dovuto fidarmi di loro, ma era la giusta punizione per non aver seguito le mie regole. 
«Portami da Heath.» Gli ordinai a denti stretti.
«In accappatoio?» 
Il fatto che Haywood stesse continuando a prendersi gioco di me mi stava dimostrando soltanto quanto pessima fosse stata la sua persona, priva di contenuti e di valori. Più lo osservavo mentre rimaneva immobile con le braccia incrociate davanti al petto, più mi veniva voglia di smontare la sua presunzione. Era tanto convinto di essere intelligente e forte, ma in realtà era debole e senza spina dorsale; non ero cieca, tanto meno sorda, e avevo visto chiaramente che effetto avesse avuto Heath su di lui. Prima di chiamarlo aveva guardato per mezz'ora lo schermo del telefonino, e aveva camminato avanti e indietro nel parcheggio diverse volte nella speranza che potessi cambiare idea e dirgli che non avrei voluto che lo cercasse, e quando suo fratello mi aveva raggiunta ordinandogli di portarmi a casa loro non aveva esitato un attimo e lo aveva fatto. Probabilmente se Haywood fosse stato meno egocentrico avrebbe ricevuto qualche indizio da me, che magari avrei potuto pensare ad una storia abbastanza credibile, e avrebbe potuto chiudere la vicenda quella stessa sera, ma sembrava che per lui fosse più importante il suo compito che la salute dell'unica persona che avrebbe potuto aiutarlo. 
«Sì, in accappatoio. Ti crea problemi?»
Invece di rispondermi, Haywood mi oltrepassò uscendo dal bagno, lasciandomi sola. Avrei voluto uscire per urlargli contro, ma non volevo che sua madre -la donna che mi aveva gentilmente fissato un colloquio- mi vedesse in quelle condizioni. Farmi sorprendere mentre gridavo al figlio gli  insulti peggiori non avrebbe fatto buona impressione su lei.
Soffocai la rabbia, mi passai una mano tra i capelli, e mi posizionai davanti allo specchio. Sbuffai e una ciuffo si sollevò sulla fronte.
Osservai il mio riflesso e per poco non impazzii: era peggiore di quello della sera precedente. Ai vecchi lividi si erano aggiunti quelli nuovi, che avevano trovato compagnia nei graffi sulla guancia, nelle ferite sulle braccia e sulle gambe. La madre di Heath e di Haywood non mi avrebbe mai assunta in quello stato, e non avrei saputo come risolvere il problema in poche ore: i miei pochi trucchi erano con il fratello maggiore degli Atkinson, come i miei nuovi vestiti, e non avrei potuto nemmeno chiedere a sua sorella qualcosa in prestito perchè non sapeva nemmeno della mia esistenza. 
«Merda.» Imprecai mentre stringevo le mani ai lati del lavabo, abbassando il capo. Avevo appena realizzato di aver rovinato la mia unica possibilità di ripresa con la mia boccaccia. Se non avessi risposto male a Montgomery, Ray Smith non mi avrebbe mai seguito e non sarei stata ridotta così. Ero diventata un disastro in meno di una settimana.
Mi accorsi di star piangendo solamente quando il flusso dei miei pensieri si interruppe, quindi morsi il labbro inferiore per evitare di singhiozzare e crollare. Non sapevo dove andare, cosa fare non appena avessi ritrovato Heath, come reagire quando Haywood sarebbe tornato, se avesse deciso di ripercorrere i suoi passi per venire da me. Non volevo che lui mi vedesse in quelle condizioni, perchè avrebbe approfittato della mia vulnerabilità per raggiungere un compromesso o per estorcermi qualche informazione nuova. Ero fermamente convinta che Haywood avesse ascoltato il mio piccolo sfogo, ma ero altrettanto sicura che non gliene fosse importato niente e che avesse creduto di poterlo usare per i suoi interessi. Lui era debole, perchè questo posto lo rendeva tale, ma quando diceva di essere totalmente devoto al suo lavoro non mentiva, e sapevo che era abbastanza astuto da essere sempre un passo davanti a tutti. L'unico problema era che fosse difficile scoprire il suo gioco per sabotarlo. Per quanto io stessa potessi essere una stratega, in quel momento ero fragile e lui, sveglio, l'aveva sicuramente notato e non ci avrebbe impiegato molto per arrivare al suo scopo. Ero certa che sapesse, soprattutto dopo il mio sfogo, che io avessi bisogno di aiuto e sicuramente non avrebbe aspettato altro se non una mia richiesta, un tentativo disperato che avrebbe contrattato con qualcosa per sè.
Ero in trappola e lo sapevo benissimo.
«Mettiti questi, attraversa il corridoio in punta di piedi e vieni nella stanza di fronte.» 
Haywood spuntò alle mie spalle e io sobbalzai quando sentii il suo respiro contro il mio collo, ma provai a nasconderlo. Alzai il viso verso lo specchio, lanciando un'occhiata al ragazzo dai capelli ricci, e riluttante spostai l'attenzione sui vestiti che aveva appoggiato accanto al detergente per le mani. 
«Così potrai interrogarmi ancora?» Lo provocai. 
«Così troviamo una soluzione.» 
Vidi il suo volto riflesso tendersi, e il suo sguardo impenetrabile non aveva nulla dell'uomo che mi aveva medicato diversi minuti prima, perciò non mi sorpresi quando lasciò il bagno senza darmi il tempo di replicare. Non avevo idea a cosa si riferisse quella soluzione, ma avevo paura ad accettare i vestiti che mi aveva portato e a scoprirlo.
Mi passai le mani sul volto, frustrata e indecisa. Il suo tentativo di aiuto avrebbe potuto essere un'altra via per raggiungere il suo scopo, e se io lo avessi accettato sarei stata messa ancora alle strette, quindi avrei preferito sicuramente andare da Heath in accappatoio, ma una parte di me avrebbe voluto scoprire fino a dove sarebbe riuscito ad arrivare. Infondo, era meglio essere amici del nemico piuttosto che il rivale. Alla fine, seppur poco convinta, infilai una felpa che arrivava a metà coscia, e un paio di pantaloncini da basket, e in punta di piedi camminai fino alla porta della stanza che Haywood mi aveva indicato.
Entrai senza bussare, silenziosa, e richiusi la porta alle mie spalle. L'intera camera era immersa nel buio, tranne per la porzione di davanzale che era illuminata parzialmente dalla luna, dove Haywood giaceva rivolto di spalle. Ero stata abbastanza delicata da limitare i miei movimenti, ma compresi che avesse percepito la mia presenza poichè raddrizzò la schiena quando mi avvicinai, lentamente. Si era tolto la giacca di pelle, che aveva gettato sul letto alla mia destra, e adesso si stava passando una mano tra i capelli, lasciando che i muscoli delle sue braccia guazassero tra i tatuaggi neri, che non sapevo potessero autorizzarlo a fare quel tipo di lavoro. 
«Bene, vedo che sei qui..» 
Sollevai gli occhi al cielo. «Parlami della soluzione.»
Haywood si girò e si avvicinò a me. Indietreggiai immediatamente. Se per un attimo, fuori dal Saturn, la sua presenza era stata gradita, adesso la sua vicinanza mi stava infastidendo. Mi aveva presa in giro, ma ciò che mi aveva segnata era il come glielo avessi permesso. E ora, il fatto che fosse a pochi centimetri dal mio corpo, mi faceva sentire claustrofobia. 
Non ero mai stata troppo brava a descrivere cosa provassi, però era come se una mano avesse stretto nuovamente la mia gola e la stesse chiudendo fino a farmi perdere i sensi. Come un riflesso involontario, mi portai le dita al collo e lo accarezzai negli stessi punti che Haywood aveva toccato in bagno, lì dove c'erano i lividi di un randagio sopravvissuto per puro caso.
«Sul distintivo avrai sicuramente letto che sono del dipartimento di Manhattan e che quindi sono solo di passaggio qui.» Esordì. «Ti ho già detto che non mi scuserò per aver fatto il mio lavoro, ma dobbiamo trovare un punto di incontro.»
«Dipende.»
«Mi hai detto che mi reputo superiore e intelligente, e lo credo davvero. Sono altrettanto convinto, però, che tu non sia così diversa. Questa situazione ti è scomoda, lo capisco. Io sono stato obbligato ad occuparmi del Saturn, e credimi se dico che ho voglia di andarmene tanto quanta ne hai tu. Ma se mi aiutassi, invece di fare la sostenuta, io me ne andrei e tu saresti libera. Io riprendo la mia vita a Manhattan e te continui la tua. Credi di poterlo fare?» 
Il ragionamento di Haywood filava liscio come l'olio, tranne che per un punto. «Quindi io cosa ci guadagnerei?»
«Me ne andrò e non avrai più a che fare con me.» Scrollò le spalle.
Scossi il capo, sorridendo amaramente. «Perciò io ti dovrei dire quello che so, farmi coinvolgere nell'indagine, mentre tu semplicemente vai via?» Replicai sarcasticamente. «Scordatelo.» 
Lo sentii inspirare profondamente, forse per non perdere la calma. «Non vuoi continuare la tua vita normalmente?»
«Quale vita?» Risi amaramente. «Quella in cui gli uomini provano a farmi del male, quella in cui un poliziotto mi arresta ingiustamente, oppure quella che non potrò mai avere perchè domani non posso presentarmi ad un colloquio in questo stato?»
Ero sicura di star piangendo, perchè sentivo il viso umido, ma non ebbi paura di mostrarmi. Mantenni lo sguardo fisso in quello di Haywood che, per un attimo, parve cedere. I lineamenti del suo viso si addolcirono, forse per il mio sfogo, forse perché lui si stava preparando ad attaccarmi con una nuova strategia, e i suoi occhi si fecero sempre più seri e profondi.
«Posso impedire a questi uomini, a quelli come Ray Smith, di farti del male, se mi aiuti.» 
«Mi dispiace.» Sentenziai e lui strinse le dita in un pugno.
Avrei tanto voluto credergli e accettare la soluzione che mi aveva offerto, ma ero bloccata. Dopo la vicenda in bagno, quando Haywood aveva sfruttato le mie debolezze per soggiogarmi, avevo capito di non poter abbassare la guardia e, di conseguenza, fidarmi di lui. Era stato crudele.
Se fossi stata una normale ragazza di vent'anni, avrei denunciato volentieri  il bastardo che aveva provato ad ammazzarmi, ma dovevo guardare in faccia la realtà. Ed io, Edith Ross, legalmente nemmeno esistevo. Come avrei spiegato davanti ad una corte quanto accaduto?
«No, dispiace a me. Sei così sciocca.» Scosse il capo. «Saresti disposta a farti fare ancora del male piuttosto che cooperare. E per cosa, poi? Per aver sbagliato ad arrestarti?» 
Seppur stesse mormorando, il suo tono aveva raggiunto il limite, per questo sperai non lo oltrepassasse mentre faceva avanti e indietro per la stanza, con il mento tra l'indice e il pollice e un ciuffo di capelli ribelli sulla fronte. Stava valutando la situazione, però non c'erano alternative che potessero farmi cambiare idea. Ogni mia mossa o legame con la giustizia contemplava il rischio di farmi scoprire. E non ero preparata ad accettare le conseguenze delle mie azioni.
«No, non è perchè hai sbagliato ad arrestarmi. Non posso semplicemente aiutarti, perchè più complicato di così.» Presi un profondo respiro, sperando di non pentirmi, e continuai: «E so che a te basterebbero dei nomi e dei cognomi, dei motivi validi, e so che potrei benissimo darteli e ritornare alla mia vita, ma non voglio denunciare nessuno.»
Fece per aprir bocca, ma alzai una mano. «So che posso sporgere denuncia in forma anonima, ma non è la paura ciò che mi frena. Se volessi denunciarlo, userei il mio nome perchè non sono codarda. A me piace il confronto e odio la violenza, ma non me la sento di andare in tribunale, di testimoniare e di coinvolgere delle persone che hanno avuto dei contatti con l'imputato ma che non c'entrano nulla con me.» Pensai a Montgomery, frequentatore del salotto di Ray Smith, e soprattutto a Ivor, che era già stato arrestato e scortato in centrale e: «Perciò no, non farò nulla per te.»
Quando conclusi avevo il respiro affannato per l'agitazione, e mi passai nervosamente una mano tra i capelli cercando lo sguardo del mio interlocutore. Lo trovai e i miei occhi vennero risucchiati dai suoi, quasi fossero stati calamite. Mi fece paura ciò che provai, un misto di sensazioni contrastanti che presero a girare nel mio stomaco, che si contorse: prima il bruciore lo avvolse come una coperta, poi lo strinse bloccando le sue funzioni vitali, e infine lo lasciò respirare. Le sue iridi, seppur annerite dall'oscurità, erano profonde come l'oceano. Boccheggiai, quasi mi fosse mancata l'aria nei polmoni, e indietreggiai di un passo. 
Haywood, che non fino a quel momento non aveva battuto ciglio, ricoprì la distanza che avevo messo tra i nostri corpi e mi guardò in un modo particolare, che mi fece tremare il cuore. Deglutii, eppure il nodo alla gola non si dissolse. 
Provai a sostenere i suoi occhi per altri cinque minuti, il tempo di attendere la sua risposta, ma fu come se avesse perso la voce e, ritronando al davanzale, si voltò e appoggiò le mani contro il marmo freddo. I muscoli della sua schiena si tesero mentre abbasttava il capo e spingeva il bacino all'indietro per impedirmi di scorgere l'espressione sul suo viso. Sospirò e io iniziai a sentirmi in colpa per non potergli essere d'aiuto, quindi rimasi ferma e in silenzio al mio posto.
«Quanto vuoi?» 
«Come scusa?» Sbattei le palpebre.
«Quanti soldi vuoi per parlare.» 
Ci impiegai diversi secondi prima di capire cosa mi avesse chiesto, e se all'inizio rimasi scovolta, dopo mi sentii ferita nel profondo. Mi stava cercando di corrompere per via del mio sfogo?
Non mi ero rifiutata di collaborare perchè avevo bisogno di denaro. Mi ero tirata indietro perchè non avevo tempo da perdere, dato che avevo riscontrato parecchi imprevisti. 
Ma a giudicare dalla reazione di Haywood, della mia crisi non aveva capito un accidenti ed era stato scortese e meschino a chiedermi quanti dollari avessi voluto per conoscere i dettagli della serata al Saturn.
«Non voglio i tuoi soldi.» Scattai alzando il tono della voce e: «Per favore.» Aggiunsi in una preghiera.
Non mi sarei mai permessa di accettare la sua offerta, anche se ne avevo bisogno. Innanzitutto non lo avrei fatto per me stessa, per la mio onore già calpestato, e poi per Haywood, che avrebbe potuto compromettere la sua carriera qualora fosse stato scoperto il suo sporco giochetto. E glielo avrei impedito, di abbassarsi a tanto. Non lo conoscevo e non avrebbe dovuto importarmi delle sue scelte sbagliare, ma avevo capito che fosse una di quelle persone che teneva a guadagnarsi le sue vittorie e non ad ottenerle con l'inganno.
«Per favore.» Rise amaramente. «Per favore, dovrei chiedertelo io.»
Si girò di scatto, avanzando rapidamente verso di me, e si posizionò ad un passo dal mio corpo. Ancora. Il suo respiro lento solleticava i capelli schiacchiati contro la mia fronte, e ogni parte del mio corpo percepiva la sua presenza, talmente aveva preso a formicolare. Ed ecco che, tutto quello che avevo cercato di soffocare, ritornò a galla. Più forte di prima, questa volta. Non sentendomi più sicura della mia lucidità, indietreggiai.
«Perchè?»
«Perchè tu sei la via più rapida per risolvere questo caso, cazzo!» Imprecò. «Perchè non riesci a capirlo?!  Ray Smith è un pezzo di merda. Lo dico in primis per te, perchè sono sicuro che tu non voglia ricadere nelle sue mani, e poi per me, che potrei tornare subito a Manhattan. Non vuoi i miei soldi?» Si passò una mano sul viso. «Va bene, non li avrai.  Meglio così, perchè non ho mai corrotto nessuno nella mia carriera, ma almeno aiutiamoci a vicenda.»
«Io non-» Mi bloccai. Non sapevo come rispondere. «Non mi fido di te.»
Haywood aveva la capacità di mutare il suo atteggiamento in pochi secondi, l'attimo prima era premuroso e gentile e quello dopo diventava un egoista impertinente, quindi questi cambiamenti mi impedivano di credergli e di dargli una mano. Se solo non si fosse preso gioco di me, del mio momento di estrema debolezza durante la medicazione delle mie ferite, adesso starei provando a trovare un compromesso con lui. Però mi aveva deriso e si era bruciato con le sue stesse mani.
«Io ti ho dato i miei vestiti.» Afferrò un pezzo di stoffa della maglia che stavo indossando. «Ti ho portato in casa mia, ti ho permesso di fare una doccia e ti ho medicato, pur non conoscendoti.» 
«Quindi?»
«Ti sto dicendo che nemmeno io mi fido di te, ma che questo non mi ha impedito di fare la cosa giusta. Ti ho aiutato perchè sarei stato meschino se ti avessi lasciato in mezzo ad una strada in quelle condizioni, e credimi che non l'ho fatto per fare un favore ad Heath. A differenza di ciò che sostieni, io sono ancora umano. So riconoscere una persona in difficoltà. Non sono un pezzo di merda e nemmeno cattivo. Se adesso mi comporto così è perchè sono esausto. Voglio solo svolgere il mio lavoro e andarmene via, perchè io odio stare qui. Piuttosto che uscire da questa porta per andare in centrale ad interrogare insieme a mio padre Ray Smith e i suoi burattini, mi farei persino rinchiudere in questa stanza con te per altri cento giorni. E fidati che non mi sentirei onorato, perchè ti conosco soltanto da un paio di ore e già la tua presenza mi infastidisce.» Fece una pausa. «E con questo concludo perchè ti ho dato fin troppe spiegazioni.»
Con un gesto della mano troncò il discorso, camminò verso il letto e afferrò il giubbotto di pelle. Aprì la tasca sinistra, sbuffando, ed estrasse il telefono che aveva appena vibrato. Sbloccò lo schermo, lesse quello che doveva essere un messaggio e digitò la riposta prima di infilarlo nuovamente in tasca. Rimasi ferma anche quando lui ritornò da me. Il suo discorso mi aveva fatto sentire piccola, sciocca, e dubitavo che sarei riuscita a digerirlo in pochi minuti. Le mani mi prudevano, infatti, e la gola mi bruciava tanto grande era diventato il nodo che mi si era formato. Avrei voluto replicare ma, non riuscendo a trovare alcuna parola, rimasi in silenzio. Perchè forse, se avessi aperto bocca, avrei solamente urlato. Stavo vivendo un incubo e non sapevo come uscirne.
Haywood temporeggiò ancora qualche minuto davanti a me, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo tagliente, ma finsi di ignorarlo. Spostai la mia attenzione dietro le sue spalle, senza trovare un punto preciso su cui focalizzarmi, e lui mi oltrepassò colpendomi una spalla. Fu a quel punto che, con la coda dell'occhio, seguii i suoi movimenti: si avvicinò alla porta, appoggiò la mano sulla maniglia e tirò la porta verso di sè.  
Mi allarmai all'istante, perchè se ne stava per andare e io non ero sicura di voler restare sola, per questo lo bloccai per il braccio.
«Nemmeno io, sono cattiva. E anche io, vorrei essere da un altra parte.» Iniziai. «Purtroppo non posso collaborare, ma credimi se ti dico che non hai bisogno di me. Davvero. Sei esausto, ci sta. Ma non dimenticarti che sei soprattutto sveglio, impavido e preciso. Lo hai dimostrato questa sera con me. Fidati, se sostengo che tu possa farcela da solo. Sei solo bloccato dall'idea di essere in questo posto, tutto qui. Però sono sicura che un'altra soluzione la trovi, se decontestualizzi.»
Haywood portò l'attenzione sulle mie dita ancora strette attorno al suo braccio e sciolse delicatamente la presa con la mano libera. Non glielo impedii e mi ritrovai a giocare con i lacci della sua felpa. La sua mancata reazione mi innervosì, per questo mi appellai all'autocontrollo per non impazzire. Per quanto stessi cercando di non darci peso, non lo avevo fermato soltanto per obbligarlo a portarmi da Heath, ma anche perchè la sua espressione abbattuta mi aveva segnata in un modo che non credevo possibile. Nei suoi occhi c'era un estremo bisogno di risolvere quel caso, per stare meglio, per ritornare da dov'era venuto, e lo avevo compreso. Però si era fossilizzato con me, e stava sprecando soltanto tempo. Non avrebbe concluso nulla, tenendomi in ostaggio in casa sua. Non ero io, la chiave che stava cercando.
«I tuoi colleghi hanno arrestato altre persone che possono parlare, e il fatto che io abbia visto una sola volta Ray Smith non significa che io sappia ogni cosa sul suo conto. In realtà non lo conosco per niente. Mi sono scontrata con lui soltanto perchè gli ho risposto male.»
Per la prima volta gli esposi il mio punto di vista senza mentire. 
«Non sprecare altro tempo. Guida fino alla centrale, spedisci Heath a casa e prendi in mano la situazione.» Osai continuare quando non si mosse neanche di un centimetro, forse troppo impegnato a fermare i pensieri nella sua testa. 
«Hai tutte le carte in regola. Con me sei stato bravo a fingere di essere gentile, quindi ritrova quel grande attore e affronta tuo padre ed Heath come se non ti importasse. Anzi, potresti ignorarli ed arrivare dritto al punto con il bastardo che mi ha quasi fatto fuori.» Mi sarei pentita delle mie parole. Ne ero sicura. «Usa il tuo intuito, non hai bisogno di altro. Sei l'ispettore Atkinson e sei giovanissimo, qualcosa vorrà pur dire.》
Sollevai il viso e mi accorsi di avere la sua totale attenzione. Rabbrividii, ma non distolsi il mio sguardo dal suo. Sapevo di essere il ritratto dell'incoerenza, riflesso di una delle mie più grandi paure, lì a pochi passi dal suo corpo, eppure decisi di non farci caso. Immersi nel silenzio, riuscii a percepire i pensieri che gli vorticavano e si perdevano nella folta chioma riccia e, solo quando con un gesto meccanico rifiutò l'ennesima chiamata, cominciai a capire il suo punto di vista, il suo sfogo, la sua esasperazione. Non si trattava di essere solamente un ragazzo con delle responsabilità, bensì di essere anche un giovane ispettore, ed era una realtà impossibile da ignorare. Haywood aveva un lavoro difficile da gestire, volente o nolente, perciò decisi di andare oltre i miei pregiudizi.
«Mi ricordi il tuo nome?»
I suoi occhi mi sfiorarono, ancora e ancora, e arrosii. Spostai l'attenzione altrove, a disagio, ma quando le sue dita fredde delinearono la curva delle mie guance, la riportai sul suo viso. 
«Edith Ross.» Deglutii e: «Perché?» Trattenni il fiato.
«Scusami.»
Fu questione di attimi, di piccoli istanti fugaci come il vento: il tocco di Haywood scomparve dalla mia pelle, i miei polmoni ripresero a respirare e le palpebre, che non mi ero resa conto di aver chiuso, si sollevarono. 
Fu allora, che lui sparì e alle mie orecchie giunse il rumore delle chiavi girarsi all'interno della serratura. 
Sgranai gli occhi. 
Haywood mi aveva appena confinata nella sua stanza.
«Heath arriverà a momenti.» Bisbigliò. «Non urlare, altrimenti arrestarti sarà la prima cosa che farò se mia madre dovesse scoprirti. Infondo è violazione di domicilio se fingo di non conoscerti.» Alzò leggermente il tono di voce per farsi sentire dall'altro capo della porta. «Giusto, piccola Ross?»
Soffocai un grido.
Ero in trappola.

N/A
Bentornati! Terzo aggiornamento della settimana! Che dire, sono presa bene questo weekend!
Come vi è sembrato il capitolo?
Come avrete notato, qui si iniziano a delineare le prime dinamiche del rapporto tra Edith ed Haywood che poi continuerà per molto tempo: una sorta di odio-amore, di strategia-umanità, di razionalità-istintività. Forse in un primo momento questo atteggiamento potrebbe confondere, perché il loro cambiamento e i loro pensieri sono repentini, ma mettetevi nei loro panni. Se conduci una vita basandoti su schemi, piani, strategie, valutare le tutte le opzioni diventa importante. Quindi soppesare ogni possibilità è essenziale.
Detto ciò, se da un lato troviamo una Edith palesemente confusa, dall'altro c'è un Haywood deciso. Sa cosa vuole e fa di tutto per ottenerlo. All'inizio si finge gentile, ma solo perché vuole sapere, e quando viene scoperto cambia tattica. Si mostra più pragmatico, oggettivo, cerca un compromesso e poi esausto scopre le carte del suo gioco. Eppure con Edith si trova davanti ad un muro. Lei gli parla a cuore aperto, gli dice che può farcela di sicuro da solo, perché è giovane, carismatico ed intelligente, e alla fine arriva a convincerlo. O almeno, così sembra prima che la chiuda in camera e se ne vada.
Quello che resta da capire è: spingere Edith a parlargli a cuore aperto è stata una strategia per farle abbassare la guardia? Oppure è stato il discorso di Edith a fargli cambiare idea, provando ad affrontare la situazione da solo? Ma in quel caso, perché sceglie di trattenere ancora Edith?
Voi cosa ne pensate?
La verità la scoprirete nei prossimi capitoli. Spero vi sia piaciuto!
Mi scuso per eventuali errori e vi ringrazio per le letture, per i voti e, anche se ammetto che mi piacerebbe avere un vostro parere, non posso obbligarvi. Sin dal principio vi ho detto che siete liberi di fare ciò che volete e così sarà. Questo è uno spazio libero!
Per qualsiasi cosa, i miei contatti Instagram sono:
@succederebbetutto
@_ariannabianco
E nulla, amici!
Io direi che ci sentiamo alla prossima!
A presto,
Ari🌷

Succederebbe Tutto - H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora