la strada di casa

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[il testo e il titolo della canzone mi sembravano particolarmente accurati quindi se vi va di ascoltarla]

[ pov T/n ]

Il senso di colpa non mi è mai appartenuto, conoscevo solo quello che era perfetto e quello che poteva diventarlo.

Ogni mia azione era giusta, ogni mia affermazione o pensiero, ma ce n'erano alcuni che si avvicinavano enormemente alla perfezione, altri che, invece, a malapena la sfioravano.

Per questo non conoscevo il senso di colpa, ogni cosa che facevo, che avevo fatto o che avrei fatto era semplicemente giusta, era così che doveva andare, la vita, la morte.
Era il volere di Dio.

E io ero Dio.

Così come per caso toglievo una vita, ne donavo un altra.

C'erano alcune regole di integrità morale, per un nuovo neonato dovevo prendere un anziano e non un ragazzo, per un umano portato via ne dovevo far nascere un altro, non un fiore, cose scontate in un certo senso ma giuste.

Ma anche se non avessi rispettato una di queste regole non mi sarei sentita in colpa, anche se la nube nera avesse condotto l'essere umano all'estinzione non mi sarei sentita in colpa, anche se tutti loro e le generazioni future avrebbero conosciuto solo la notte eterna, non mi sarei sentita in colpa perché era il volere di Dio.

Eppure c'era qualcosa che mi tormentava, costantemente, in ogni mio pensiero, in ogni mio respiro.

Un mio errore.

Un qualcosa di imperdonabile che aveva minato l'equilibrio così delicato tra luce e ombra.

Una vita.

Un'anima pura, di quelle rare e uniche, un'anima che avrebbe potuto portare luce ora condannava tutti a notti infinite.

E non provavo pena per l'umanità condannata.

Piuttosto per quella luce snaturata, spinta a rinnegare la propria natura per diventare qualcos'altro, un ombra senza cattiveria, un ma un semplice nuvolone di dolore.

Ed era mia la colpa, solo mia.

Ero stata io portar via quella vita ancor prima che potesse venire al mondo.

Quell'errore che nessuno avrebbe mai potuto scoprire, perché a sua unica testimonianza non vi erano che i miei occhi azzurri di lupa.

Era più o meno per questo che adesso stavamo litigando.

Aveva chiesto udienza due settimane o forse due mesi fa non ricordavo bene.

Io l'avevo semplicemente ignorato, ma adesso me lo ritrovavo davanti a pretendere di parlare, in effetti non avevamo più parlato dopo quella notte.

"NONO ADESSO TU SCENDI DA QUEL CAZZO DI TRONO E MI STAI A SENTIRE!" urlò lui.
"Perché hai annullato il matrimonio?"

"Perché non ci parliamo più, non è abbastanza ovvia come risposta?" risposi monocorde.

"Mi vuoi dire cosa ti succede?"
"Sono Dea non ho tempo per certe stronzate mortali."

E senza che potessi accorgermene le sue labbra piombarono sulle mie con tutto l'amore e la rabbia che in queste settimane non ci eravamo dati.

"Non voglio litigare con te, non serve a nulla, io ti amo d'accordo? Non ho mai smesso. Ma tu devi dirmi cosa ti passa per quella testolina divina." soffio sulla mia bocca mentre eravamo ancora terribilmente vicini, fronte contro fronte.

"No non posso."
"Non puoi cosa?
"Io non ti amo va bene?"
"T-Tu non-"
"Mi dispiace..."
"Dimmelo negli occhi, parla, avanti, dimmi che tutto questo ti è indifferente, dimi che noi non siamo niente, che non abbiamo futuro!"

I wait for you in hell//Mattheo RiddleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora