12. ...but in the dark it's easier for me to get lost

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Alexia

Giorno 5
Venerdì 8 novembre 1996 ore 9:27

«In che senso... tua sorella?» domando scettica.

Mi ha preso alla sprovvista.
Cosa rispondo?
Forse non dovevo fargli quella domanda.

«Non di sangue» specifica e non so perché ma tiro un sospiro di sollievo.

Infondo non dovrebbe essere così strano.
Sono legati da un legame.
Un legame profondo che va oltre i limiti della genetica e del DNA.

Vago con lo sguardo per un po' prima di rendermi conto che è ancora a petto nudo.
Sto per redarguirlo quando noto una ferita rossa che spicca sulla sua carnagione.
È ferito.

Nota il mio sguardo persistente.

«Dovresti disinfettarla» noto pensando ad alta voce.

«È solo un graffio, brucia solo un po'» mi rassicura.

«Come hai fatto?» chiedo a un certo punto.

«Non è importante»

«Non mi interessa quanto sia importante, io ti ho chiesto come hai fatto»

Lo zittisco.
Non capisco da cosa derivi tutta questa aggressività.
Forse dallo stress accumulato durante la giornata.

Sospira rumorosamente.

«Quando stavo portando giù la ragazza e te hai lasciato la corda, quando l'hai ripresa mi ha sfregato» spiega come se stesse esponendo la sua lista della spesa.

Annuisco e senza dire nient'altro mi avvio verso il suo zaino, poco lontano da noi.

Con frenesia incomincio a cercare il disinfettante che sono sicura che lui abbia.

«Stai per caso cercando questo?» domanda alzando una mano con cui tiene stretto proprio quello che cerco.

«Potresti prendere un'infezione» gli faccio notare incrociando le braccia al petto.

«Come lo sai?» domanda per stuzzicarmi.

«Punto numero uno: anche i bambini sanno che da una ferita si possono contrarre batteri, punto numero due: prima che venisse a lavorare qua, mia madre era un'infermeria»

«E te? Cosa vorresti fare, invece?» la sua domanda azzera ogni mia possibile risposta.

Cosa vorrei fare?
Non lo so.
La scrittrice?
Il medico?
L'insegnante?

Non c'ho mai pensato fino in fondo e forse questa mia insicurezza del futuro deriva dal fatto che io non mi conosca propriamente come dovrei.
Non mi sono mai fermata ad ascoltarmi.
Non mi sono mai posta la domanda di come stessi io.
Forse per mancanza di tempo.
O più semplicemente, per non sentirmi troppo vulnerabile.
È un processo complicato, l'ascoltarsi e amarsi.
Non posso dire di averlo fatto, perché sarei soltanto un'ipocrita.

Non sono mai stata una che guarda in faccia alla realtà.
Durante questi 16 anni di vita ho escogitato molti modi per rendere questa mia permanenza sulla terra il più leggera possibile.
Anche solo leggendo.
Dormendo.
Fumando.
Bevendo.
Forse mi sto rovinando o forse sto semplicemente aspettando una di quelle cose che ti cambiano la vita.
Nel frattempo, aspetto... a modo mio.

«Penso che me ne vorrei andare via da qua, al più presto» rispondo alla sua inaspettata domanda con una scontata risposta.

«Te proprio non ci pensi a guardare il bicchiere mezzo pieno?»

Sbuffo e proprio in quel preciso instante di distrazione, gli afferro il disinfettante dalle mani.

«Stai zitto e lasciati medicare» sbotto innervosita.

Sonder // Mattheo RiddleWhere stories live. Discover now